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Da Maritain a Paolo VI

Parte seconda

COME NUOVO UMANESIMO INTEGRALE

1. Da Maritain a Paolo VI

Di “umanesimo integrale” parlava Jacques Maritain nell’omo-nimo volume del 1936; di “umanesimo plenario” parlava Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio del 1967; di “ecologia integrale”

parla Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ del 2015. La questio-ne che poniamo è che esista una ideale continuità fra queste forme di antropologia, una continuità che tuttavia fa i conti con le res novae, per cui si potrebbe dire che siamo in presenza di significative articolazioni di un “umanesimo dell’incarnazione” (tale era il titolo che Maritain aveva in un primo tempo pensato per il suo libro del

’36), un umanesimo che in Maritain si configura come “personali-smo comunitario”, in Paolo VI come “umanesimo trascendente” e, infine, in Papa Francesco come “umanesimo cosmico” o “ecologia integrale”.

Il legame tra l’umanesimo di Paolo VI e quello di Maritain è evi-dente per ammissione dello stesso pontefice, il quale esplicitamente cita Umanesimo integrale del pensatore tomista, di cui era stato esti-matore fin dagli anni Venti traducendone Tre riformatori e facen-done negli anni Quaranta tradurre lo stesso Umanesimo integrale;

per non dire poi della richiesta di consulenza, che Paolo VI avanzò a Maritain durante il Concilio ecumenico Vaticano II riguardo ad alcune questioni (i cosiddetti memoranda, tra cui quello sulla libertà

religiosa), e della consegna di Paolo VI a Maritain del “messaggio degli intellettuali” da parte dei Padri conciliari alla chiusura del Va-ticano II, e infine della definizione di “maestro dell’arte di pregare, di vivere e di pensare” che Paolo VI diede di Maritain all’indomani della morte del Filosofo. Tant’è che si potrebbe arrivare a definire Paolo VI un “papa maritainiano”: sia sul versante ecclesiale, per far superare alla Chiesa l’arroccamento preconciliare (un superamento che Maritain aveva preparato con volumi come Religione e cultura del 1930, Umanesimo integrale del 1936 e Cristianesimo e demo-crazia del 1944), e per far evitare alla Chiesa l’inginocchiamento di fronte al mondo (che Maritain aveva paventato ne Il contadino della Garonna del 1966); sia sul versante civile con la difesa e la promozione dei diritti umani (che Maritain aveva invitato a coniu-gare con la legge naturale nel libro del 1943) e della democrazia (su cui Maritain aveva insistito non solo in alcune opere già citate, ma soprattutto nel libro L’uomo e lo Stato del 1951).

Dunque, l’umanesimo integrale di Jacques Maritain può essere considerato all’origine dell’umanesimo plenario di Paolo VI, il quale peraltro colloca l’umanesimo in un nuovo contesto, quello dello

“sviluppo dei popoli” identificato con la pace, uno scenario che solo in parte Maritain aveva ipotizzato in Umanesimo integrale che è del

’36 (ma alcune anticipazioni erano contenute in saggi di qualche anno prima) e ne L’uomo e lo Stato del ’51 (ma le lezioni che vi sono contenute risalgono al 1949): facciamo riferimento a questi due volumi, perché il primo è il suo libro più noto, tanto da far rischiare a Maritain di essere considerato “unius libri auctor”, e il secondo è il suo capolavoro di filosofia politica, ed è opera caratterizzata da una laicizzazione della riflessione, per cui la filosofia della democra-zia che vi viene proposta è individuata attraverso due coordinate che prescindono da connotazioni religiose; infatti, da una parre,

Maritain insiste sulla distinzione tra “razionalizzazione tecnica” e

“razionalizzazione etica” della convivenza civile, attribuendo a que-sta il senso dell’autentica democrazia, e, dall’altra parte, Maritain insiste sulla interdipendenza tra i popoli quale “necessità” da vivere come una “scelta”, per dire che il perseguimento della pace non può prescindere da considerazioni di carattere mondiale che chiamano in causa l’etica delle relazioni internazionali.

Sono, queste, alcune delle premesse per la riflessione che Paolo VI svilupperà nella Populorum Progressio, dove senza mezzi termini la pace viene identificata con lo sviluppo dei popoli e questo è tale se è sintesi di progresso materiale e di crescita spirituale e la dimen-sione economica è condizionante non meno di quella morale. Da qui tutta una serie di imperativi per promuovere effettive e effettua-li condizioni di pace.

Sotto questo profilo la proposta montiniana è posteriore al Con-cilio, più precisamente alla costituzione pastorale Gaudium et Spes, che aveva fatto tesoro di alcune indicazioni maritainiane, ma era andata oltre Maritain; infatti, aveva riconosciuto la “legittima auto-nomia delle realtà terrene” (Maritain le aveva considerate come ca-ratterizzate da “fini infravalenti”) ma in un rapporto chiesa-mondo che aveva posto fine all’alternativa Chiesa o mondo (che già Maritain aveva denunciato come arroccamento), e superato il binomio Chie-sa e mondo (che Maritain aveva proposto) per arrivare ad affermare l’idea della chiesa nel mondo contemporaneo (così suona la intitola-zione della Gaudium et Spes), cioè in un atteggiamento di coinvolgi-mento com’era detto nell’incipit della stessa costituzione, parlando di una chiesa che partecipava delle gioie e delle speranze, dei dolori e delle angosce dell’umanità intera.

Con questa umanità - di cui Paolo VI considerava la chiesa

“esperta”- papa Montini aveva dichiarato di voler dialogare fin dalla

sua prima enciclica, Ecclesiam suam, che ha un carattere program-matico del pontificato montiniano e che anticipa le conclusioni del Concilio. Infatti, muovendo dalla rivendicazione della libertà re-ligiosa come madre di tutte le libertà conseguente alla originaria dignità umana (così nella Dignitatis hominis), il Vaticano II auspica il dialogo interconfessionale nell’ambito del cristianesimo (così nel-la Unitatis Redintegratio), il dialogo interreligioso nell’ambito dei monoteismi e con le religioni universali (così in Nostra Aetate) e il dialogo con il mondo contemporaneo (così nella Gaudium et Spes).

Forme dialogiche a livelli diversi, ma accomunati dalla convin-zione, di cui si era fatto paladino Maritain, secondo cui occorre distinguere tra piano teoretico (o dottrinale) in cui il dialogo s’i-spira alla “giustizia intellettuale” e produce reciproche conoscenze, e piano pratico (o operativo) in cui il dialogo s’ispira alla amicizia fraterna e produce forme di cooperazione. Così Maritain in molte-plici scritti, in particolare nel discorso del 1948 all’UNESCO in-titolato La via della pace e successivamente riproposto con il titolo Possibilità di cooperazione in un mondo diviso nel volume Il filosofo nella società, in cui è pubblicato anche un altro saggio Verità e tolle-ranza in cui ribadisce la convinzione secondo cui il dialogo non può compromettere la verità e, nello stesso tempo, non può rinunciare alla tolleranza.

Dunque, tenendo fermi questi punti, l’umanesimo di Maritain, quello del Vaticano II e quello di Papa Montini hanno in comune il carattere dialogico, che in Paolo VI diventa addirittura primario e prioritario. Detto questo occorre ribadire che l’orizzonte dell’uma-nesimo “integrale” o “plenario” si colloca in un tempo “ideologico”

che negli anni Trenta si pone in alternativa al liberalismo indivi-dualista e al socialismo collettivista e negli anni Sessanta si pone in alternativa al mondo in croce tra Est e Ovest, tra Nord e Sud.