• Non ci sono risultati.

I MASTRI FERRAI

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1981 (pagine 123-132)

Piera Condulmer

Ho sfogliato alcuni giornali del luglio del 1814 per venire a conoscenza anch'io di quei clamorosi furti che ave-vano scosso le coscienze dei buoni pie-montesi al punto da indurre il presi-dente del consolato al commercio, il conte Ghiliossi, a scrivere al ministro dell'Interno, Cerutti, per chiedere mag-giore severità nei confronti dei mastri serraglieri, sia per quanto riguarda gli esami di abilitazione alla professione, sia per quanto riguarda il vaglio della loro integrità morale. Si avanzava inol-tre la proposta di considerare l'oppor-tunità di estendere oltre i confini citta-dini regolamenti di severità professio-nale.

Il ministro giustamente rispondeva che di regolamenti dal 1738 al 1778 se ne erano accumulati già parecchi, occorre-va solo rinfrescarne la memoria agli in-teressati, obbligandoli a severamente osservarli, estendendoli semmai anche ai borghi.

Ebbi già a dire come il curriculum del-la corporazione dei fabbri ferrai mi aveva alquanto delusa perché, indivi-duatala tra le 26 che costituivano la Compagnia di S. Giovanni, tenuta a fornire il cereum e ad accorrere col piccone alla difesa della città in caso di chiamata da parte del vescovo; ritrova-ta tra le 51 attività artigianali ricono-sciute legalmente da Carlo Emanuele I nel 1582, nella pienezza della sua de-nominazione, scompariva con tale no-me dalle Costituzioni di Vittorio Ano-me- Ame-deo II del 1723, per rientrarvi all'art. 39 col titolo di Università dei serraglie-ri. La nuova intitolazione era perciò restrittiva, anche se indicava la funzio-ne più esclusiva e delicata del fabbro, che è quella di fornire sicurezza alle chiusure con cui si vogliono salvaguar-dare persone e cose. Sull'uso del termi-ne di serragliere avrà influito il termitermi-ne francese di serrurier diffusosi con la in-combente suggestione francese? Ma se è vero che nomina sunt

existen-tia rerum, mi meraviglia che la caduta

del termine infocante la più ampia atti-vità fabbrile sia avvenuta proprio in un momento in cui si apriva la migliore stagione per l'impiego del ferro con ampia significazione artistica, trala-sciando nel contempo di considerare l'uso del ferro a scopo militare, ché in

questo caso entreremmo nel campo de-gli armaioli che ha una storia a parte, strettamente legata al progresso tecnico e scientifico, al sistema fortificatorio ecc.

Il discorso sul ferro potrebbe trascinar-ci in una infinità di campi d'indagine, cosi anche sulla presenza o meno di giacimenti del prezioso minerale nella mappa del Piemonte, giacimenti che hanno caratterizzato l'attività e l'eco-nomia di alcuni paesi delle nostre valli. Ma ci rendiamo conto che nel campo delle indagini bisogna saper circoscrive-re gli orizzonti, proporzionarli all'enti-tà del lavoro che ci si prefigge. Perciò limitiamoci a considerare la vita civile del ferro a Torino, a quali forme di organizzazione sociale ha dato luogo la sua lavorazione, quali sono state nel passato le sue migliori espressioni alla luce del sole, prima che il suo impiego massiccio si nascondesse nell'edilizia del cemento armato, divenendo prota-gonista in primo piano, anche se na-scosto, della dimora umana attuale. A preludio di ciò, ecco la contempla-zione di Jacopone da Todi:

Ferro che rugginoso Si mette entro fucina, Se man poderosa Lo batte ben s'affina

e prescindendo dall'intitolazione data alla categoria artigianale di serruriere al fabbro ('). diamo uno sguardo al-l'uso artistico del ferro limitandoci a Torino, perché se dovessimo ampliarci al Piemonte c'imbatteremmo in Saluz-zo, che per la sua arte nel forgiare tale metallo richiederebbe un capitolo a sé, e nella valle dell'Ossola con le sue ma-gnifiche produzioni, e nella valle d'Ao-sta un tempo parte dell'antico Piemon-te. E in questa disamina, a ben ripen-sarci, considerando la natura del me-tallo in qualunque modo trattato, e considerando la sua utilizzazione, in quasi tutti i suoi manufatti c'è l'idea del chiudere, del delimitare, del circo-scrivere, del recingere, oppure, per converso, di strettamente unire in un interno ciò che si vuol dividere da un

1 In documenti non ufficiali però, si trovano elencati i «ferrarj» ai quali sì affiancano gli ottoneri, e gli stagna-roli' ecc.

Torino. Chiesa di S. Francesco d'Assisi. Cancello posto sopra la balaustra della cappella a S. Pietro, patronato dei Mastri serraglieri. 1700.

Torino. Palazzo Madama. Mostra del gran cancello, col Monogramma di Madama Reale al centro di fantasiosa decorazione

eseguita da Enrico Zo. 1718.

Duomo di Torino: cancelletto in ferro battuto d'altare; sec. XVIII, con motivo di nodi di Savoia alternati a roselline e ghirlande di lauro.

esterno; è un elemento di forza per la protezione di qualcosa contro ogni estraneità. Perciò i modi anche artistici della sua utilizzazione non possono non tener conto di questa sua fonda-mentale natura. Nell'arte italiana que-sta sua espressione la ritroviamo si può dire ovunque, anche dove la lavorazio-ne artistica di questo metallo ha rag-giunto le manifestazioni più raffinate, come a Firenze, Venezia, Siena, a dif-ferenza di quanto è avvenuto in Spa-gna e anche in Germania, ove la sua lavorazione assume aspetti innaturali addirittura di trina, di pizzo, pur tenu-to contenu-to che l'arte non conosce limiti. Perciò ferro, scaldato nella fucina dove la combustione del carbone è ravvivata da getti d'aria fino a raggiungere una temperatura vicina a quella di fusione, quando la massa ferrosa si rammollisce e con relativa facilità può rispondere alle sollecitazioni della mano vigorosa del fabbro, del colpo fecondo dell'uo-mo che lo può allungare, ammassare, piegare, appiattire, tagliare a mezzo di magli, martelli, trafile, cilindri, scalpel-li, stampi; allo stato di acciaio il fred-do rapidissimo lo rende duro, elastico e fragile. E dopo il primo lavoro di di-grossamento si rifinisce ancora con martelli, scalpelli, seghe, cesoie, trapa-ni, punzotrapa-ni, lime, ceselli, bulitrapa-ni, mole, smerigli, può essere ancora adornato con punzonature. Ne vengono fuori re-ti o ragne in filo cilindrico variamente attorte, sbarre e legature in tondino, ri-porti fucinati. E dai colpi fecondi di cui risuonavano i casolari si può dire di tutto il Piemonte, e le stradette dell'antica Torino, uscirono le varie espressioni dell'industre ferruriere rude e forte, che forse sentiva con la natura del metallo trattato una certa affinità. E guardiamo che atteggiamento autori-tario assumono certi picchiotti di porta configurati simbolicamente in forma di cani, di draghi, di serpi, che spesso possono anche assumere una funzione decorativa: guardiamo certe serrature di portoni di palazzi antichi, sono dei veri capolavori d'ingegnosità, capi d'opera per una ipotetica sicurezza (un esempio è quella di palazzo Barolo, con possibile manovra d'apertura dal piano superiore, in cui mise le mani quello spiritaccio irrequieto di Monsù

Torino. Palazzo Barolo.

Balconcino interno al salone centrale. Lavoro del secolo XVIII in quadrello a morbido movimento,

con sovrapposte lastre in ferro lavorate a ghirlande di fiori stagliati e dipinti.

Druent, che tanto fece parlare le cro-nache del suo tempo.

Vediamo certe roste di portoni o di cancelli, o interi cancelli in quadretto, piegato a freddo con molte legature che danno effetto di forza e leggerezza insieme.

Tra il '600 e il '700 si direbbe che il ferro conosce qui in architettura la sua stagione migliore, ed è rimasto celebre un nome, purtroppo isolato in mezzo a tanti altri pur dotati delle stesse abilità, ma che non hanno avuto la fortuna di lasciare depositato il loro nome in qualche conto di Tesoreria dal quale poterli esumare. Ed ecco perciò cam-peggiare il nome di Enrico Zo come ar-tefice del cancello e della rosta dell'an-drone di palazzo Madama a Torino, con gli imponenti battenti ornati a spi-rali contrapposte su cui spicca il mono-gramma di Madama Reale tra nodi d'amore e rose e cordoni d'alloro, e croci di Savoia, e il motto In stipite

re-gnai. Si può anche stabilire la data

del-la posa in opera di tale manufatto nel 1718.

Questo potente cancello assolve poi la sua funzione di difesa, tra l'altro, di altri manufatti fabbrili che

costituisco-no il tesoro, relativo a questo genere, del Museo d'arte antica contenuto nel palazzo stesso, cui già ho accennato nel precedente articolo, ma che po-tremmo completare col nominare la presenza di un bel catenaccio antico a motivi ogivali risalente al XV secolo e già appartenuto al duomo di Aosta, mentre della stessa provenienza è lo sportello di un ciborio traforato e ce-sellato, il cui disegno goticizzante lo fa appartenere allo stesso secolo XV, e i motivi dei quattro gigli sono proprii del capitolo di Aosta.

Dello stesso mastro serragliere Zo è il vago cancello che chiude l'ingresso del palazzo dell'università dal lato di via Po, datato 1713, eseguito su disegno del Garove: ancora dello Zo è il bel balcone del castello di Rivoli, che in ariosa semplicità di ringhiera, lascia campeggiare il monogramma e la coro-na ducale.

Non ha attribuzione il bel cancello all'interno del palazzo del Seminario in via Venti Settembre, con cimasa in reg-getta con modellatura a palmette. Ma in via Venti Settembre potremmo anco-ra osservare, se il tanco-raffico odierno ce lo consentisse, molte artistiche ringhiere

di balconi, come al numero civico 50 quello a balaustrini con ciocche di fo-gliami del secolo XVII, mentre l'angu-stia di via Delle Orfane poco ci consen-te di ammirare il parapetto di un bal-concino in quadrello ad ampie volute, arricchito con applicazioni di lastre di ferro stagliate e dipinte del secolo XVIII.

All'interno del palazzo delle Scienze possiamo ammirare una bellissima in-ferriata a flabello, mentre al numero 10 di via Alfieri fa bella mostra di sé un balcone in ferro battuto a balaustri-ni e ghirlande, e sotto di esso s'incurva un'armoniosa rosta sul portone. Ma a saper guardare, in tutta la città sono sparse belle opere dei nostri anti-chi mastri serraglieri, anche in strade oggi fortemente degradate, ma che conservano ancora le sagome di quelli che un tempo erano palazzi d'autore. Per trovare valide opere fabbrili negli interni degli edifici, dobbiamo andare a palazzo Reale dove nella cappella vi è una stupenda porta a grata eseguita forse su disegno del Piffetti, in qua-drello, a ricco ed elegante motivo di tarsia e fogliame in reggetta dorati; ma è soprattutto nelle chiese che dobbiamo

Semplicità elegante.

ammirare certi cancelletti d'altare, dal Corpus Domini a Superga, al Duomo, dove, datato 1630, ve ne è uno a telaio in ottone nel cui interno si snodano vi-ticci e palmette e su di un battente pre-senta un medaglione con effigiato il battesimo di Gesù Cristo.

Ma parlando dei serraglieri dobbiamo entrare nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, dove prese la sua sede l'uni-versità dei mastri serraglieri col patro-nato sulla cappella intitolata a S. Pie-tro, divenuto questi il santo protettore della categoria all'atto della costituzio-ne della università. La scelta di questo santo ha una sua giustificazione, in quanto depositario simbolico delle chiavi del paradiso, ed è anche colui cui l'angelo spezzò le catene della pri-gione perché potesse compiere la mis-sione affidatagli da Dio. Motivazioni religiose dunque portarono il pescatore di Cesarea ad essere patrono dei fab-bri, e come tale essi lo celebrarono, al costituirsi della loro corporazione, nel-la chiesetta ora scomparsa di Santa Croce (o del gonfalone), dalla quale si allontanarono per contrasti sorti con i monaci, a causa di funzioni celebrate dai fabbri che interferivano con le fun-zioni parrocchiali della chiesa. Pareva che nel luglio del 1700 le controversie fossero state appianate con la defini-zione precisa dei rispettivi orari, ma si vede che qualche favilla sprizzata dal maglio percosso era caduta sui difficili accordi, perché abbiamo notizia che nel 1705 i fabbri si trovavano già nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, e nel 1714 compravano dai frati Minori la prima cappella in cornu evangilii, dedi-cata appunto a S. Pietro. Le vicende ricostruttive della chiesa non pare che abbiano influito sul regolare godimen-to della cappella; tuttavia non riesco ad essere persuasa dell'autenticità dell'iscrizione dedicatoria riferita al

1715, nonostante l'uso del latino nella parte aggiunta quasi per far risaltare la differenza dei tempi. Il testo della tar-ga è questo: Cappella Università

Ma-stri Patroni serraglieri della regia città di Torino, 1715. Restauravit anno 1864, con una marcata accentuazione,

mi pare, sull'idea del padronato, dalla quale sembra volersi escludere l'insie-me delle maestranze.

Ed è strano questo, dal momento che nel 1864 le università delle arti erano state abolite ormai da più di venti an-ni. Il che fa pensare che tutta l'iscrizio-ne sia stata rifatta l'iscrizio-nel 1864, e in essa perciò si rispecchi quel dissidio che si era verificato all'interno della corpora-zione stessa, tra mastri e lavoranti, giu-sto cento anni prima e che non si era mai placato del tutto.

Sappiamo infatti che l'8 novembre 1765 i lavoranti ottennero con Regio Biglietto il permesso di fare collette a beneficio dei loro compagni ammalati 0 bisognosi, e di promuovere per loro una festa religiosa da celebrarsi nella chiesa di S. Tommaso il 29 giugno, fe-sta di S. Pietro.

1 mastri patroni, irritati da questa pre-sa di posizione di autonoma personali-tà dei dipendenti, contestarono loro la facoltà di organizzare alcunché di per-sonale essendo legati alla loro catego-ria. Allora i lavoranti ricorsero ad una nuova forma associativa, consociando-si in società di mutuo soccorso. I ma-stri tentarono di pervenire ad un

mo-dus vivendi che salvasse la loro dignità,

e si dichiararono disposti a concedere qualche sovvenzione ai lavoranti infer-mi, purché essi non facessero più coin-cidere la celebrazione della loro festa in S. Tommaso con la celebrazione dei mastri in S. Francesco. Si pervenne al-lora al componimento della vertenza, spostando i lavoranti la loro festa all'ottava di S. Pietro, e accettando di collcttare sotto il controllo del sindaco della università.

Si ebbe perciò un rallentamento della tensione che si era andata stabilendo tra mastri e maestranze, ma non erano cessate del tutto le ragioni del conten-dere, perché anche gli operai, a somi-glianza dei patroni, volevano cimentar-si nei parti letterari, scrivendo e pub-blicando sonetti che venivano distribui-ti nello stesso giorno di S. Pietro quan-do i mastri li distribuivano attraverso i cabassini, con 1400 michette. Era una coincidenza che irritava sommamente i nostri poderosi serraglieri, e che si pro-trasse insoluta fino alla soppressione delle università, quando per far so-pravvivere alcunché della potente orga-nizzazione fabbrile, l'associazione tutta dovette trasformarsi in associazione

assistenziale, benefica, cioè di mutuo soccorso.

Dell'antica autoritaria università come segno visibile della sua passata potenza rimane la cappella di S. Pietro nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, ancora patronato dei mastri serraglieri, che si distingue dalle altre per la alta, robusta cancellata che la serra, in ferro e fer-raccio a volute convergenti, con cimasa in reggetta, in uno stile che si accosta al neoclassico, per certa compostezza di disegno, priva di eccessive fioretta-ture barocche.

La cappella, illuminata da una finestra flabelliforme, è visibilmente anteriore alla cancellata, e si adorna di un qua-dro del Beaumont giovane, quando an-cora non noto ma protetto dallo scul-tore Plura e da Carlo Emanuele

Lan-franchi, figlio di Francesco Lanfranchi il costruttore del palazzo del Comune, ebbe l'incarico dalla università dei fab-bri di eseguire questa sua prima opera. L'altare è tuttora privilegiato tutti i ve-nerdì e nell'ottava dei morti.

Come già accennato a proposito dell'abolizione delle altre Università delle arti, anche per i serraglieri erava-mo giunti al erava-momento storico del

tra-Torino. Palazzo Reale. Magnifico lavoro in quadrello con applicazioni in reggetta dorati per la porta grata della cappella. Sec. XVIII.

Torino. Palazzo della Università degli studi. Cancello, lavorazione in quadrello di E. Zo, 1713,

su disegni di M. Garove uno degli architetti dell'edificio.

monto di essa: Carlo Alberto infatti nei meditativi silenzi di Racconigi, ave-va elaborato il suo editto di soppressio-ne stante l'evolversi del progresso tec-nologico che superava di gran lunga le possibilità di aggiornamento dell'arti-gianato su scala industriale. Utilissime al loro sorgere per disciplinare le varie attività in regole di onesto lavoro e di salvaguardia dei lavoranti dipendenti, ora la loro funzione si era esaurita; il progresso sociale, l'ansia di esprimere una propria personalità da parte di tut-ti, fuori da pastoie e dalle forche cau-dine sotto cui il giovane doveva passa-re, mortificanti e limitative, vera tiran-nia di anziani o di privilegiati sulle for-ze nuove di lavoro, «ora con le mac-chine e i mirabili perfezionamenti in-trodotti dall'industria, finiscono per es-sere nocive » dice Carlo Alberto nel suo Editto del 6 settembre 1844; e co-me nel 1841 era già stato abolito il ca-po d'opera, cosi ora vengono abolite le residue corporazioni d'arti e mestieri. Piena libertà d'iniziativa perciò senza obbligo di pagamenti di quote per eser-citare un mestiere. Nel termine di tre mesi l'esercente dovrà presentarsi dal sindaco a denunciare sé e i suoi even-tuali aiuti, e tutti verranno iscritti dal sindaco in due differenti registri, pa-gando solo un diritto al fisco.

Cosi dispose il re «l'anno del Signore 1844 e del regno nostro decimoquarto». Pare che questa totale liberalizzazione abbia provocato un po' di sbandamen-to nell'arte, come sempre avviene per la presunzione dei giovani; ma poi a poco a poco la coscienza del lavoro si desta, lo spirito di emulazione gioca la sua parte. Ma forse questa diminuzio-ne di tono delle opere fabbrili ha coin-ciso con l'instaurarsi dello stile neo-classico più sobrio e lineare e con mi-nori esigenze ornamentali. Ma ecco che con l'avvento dell'art nouveau trovia-mo già pronta tutta una schiera di la-voranti del ferro pieni d'estro e di fan-tasia e di capacità, per fornire alle costruzioni del liberty dei nuovi quar-tieri, tutte quelle fiorettature ornamen-tali di balconi, finestre, bovindi, rin-ghiere, cancellate, che si integrano con quelle decorative, capaci di scrivere anch'essi una loro pagina d'arte all'esterno e all'interno delle case.

NASCITA

DI UN MARCHIO

Bruno Cenato

Il nuovo laboratorio chimico-merceologico delle Camere di commercio di Torino. In via Ventimiglia 165, ne! verde di «Italia '61 ».

Quando sabato 28 marzo 1981 le auto-rità hanno tagliato il nastro per inau-gurare il nuovo laboratorio chimico-merceologico della Camera di commer-cio di Torino, il pubblico presente ha potuto anche prendere visione del mar-chio adottato per contraddistinguere l'attività dell'organismo.

Simbolo di semplice lettura e sintetiz-zante immediatamente il campo di la-voro della moderna struttura d'analisi, la stilizzazione di un microscopio è su-bito piaciuta pure agli addetti ai lavori ed agli stessi designers partecipanti al concorso bandito dalla Camera di commercio per la relativa creazione, i quali hanno colto nella realizzazione del vincitore una notevole forza espres-siva, nonché una chiarezza ed una faci-lità di riconoscimento superiori a tutte le altre proposte fatte pervenire. La strada del concorso era d'altra par-te stata battuta nella convinzione che fosse proprio quella più sicura, oltre-ché meno dispendiosa, per arrivare ad un marchio valido, senza privilegiare a priori questo o quello studio grafico, ma rimettendosi esclusivamente al

giu-dizio di una qualificata commissione di esperti in materia (presidente Giovanni Brunazzi, docente di entipologia al Po-litecnico di Torino; membri: Claudio Fontana, esperto di semiotica; Guido Moro, esperto di ricerche sulla comu-nicazione; Eros Sogno, grafico affer-mato; Mario Catella, ingegnere,

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1981 (pagine 123-132)