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E RUOLO DEL GOVERNO LOCALE

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1981 (pagine 69-75)

Enrico Luzzati

1. I problemi del settore, o comparto, della componentistica auto sono evi-dentemente inseparabili da quelli com-plessivi dell'auto. Poiché in una breve nota, non è possibile affrontare en-trambi gli argomenti, ci limiteremo a ricordare alcune recenti tendenze gene-rali del settore dell'auto, concentrando poi l'attenzione sul tema dei compo-nenti.

Il quadro relativo all'industria dell'au-to, come è nodell'au-to, è cambiato radical-mente da alcuni anni a questa parte. La crescita continua e sostenuta della domanda appartiene inevitabilmente al passato: e non vi sono prospettive rea-listiche di un'inversione significativa di tendenza, neppure in mercati diversi da quelli occidentali (dove si registra il grosso della domanda di automobili). Quest'ultima, d'altro canto, sempre più si configura come domanda di so-stituzione, con le ben note caratteristi-che di variabilità e incertezza congiun-turale.

Questi due fattori, sommati all'aumen-to del cosall'aumen-to del carburante, hanno por-tato le imprese operanti nel settore a sviluppare una accesissima lotta con-correnziale, giocata sul piano di inve-stimenti dell'ordine dei milioni di dol-lari, con la concreta possibilità della scomparsa di industrie che occupano centinaia di migliaia di lavoratori. L'imperativo dominante è divenuto, per un'esigenza primaria di sopravvi-venza, da un lato, quello della riduzio-ne dei costi, e d'altro lato quello del-l'innovazione e del miglioramento qua-litativo del prodotto.

2. La questione dei componenti ha una rilevanza centrale: si pensi che essi costituiscono probabilmente circa l'80% del valore di un'autovettura. In-fatti, per una casa automobilistica di grandi dimensioni, gli acquisti, di nor-ma, tra componenti e semilavorati, so-no pari a circa il 60% del valore di una autovettura. Se si aggiunge il valo-re dei componenti che vengono prodot-ti all'interno, si otprodot-tiene la percentuale sopra stimata.

Come si vede, per componenti si inten-de qui tutto ciò che entra fisicamente a comporre un'automobile, indipenden-temente dal fatto che sia prodotto

al-l'interno o all'esterno dell'impresa au-tomobilistica. Restano escluse quindi, dalla nozione di componentistica, sol-tanto le attività di lastroferratura, ver-niciatura ed assemblaggio.

Non ci sono motivi logici per conside-rare componente un pneumatico o una frizione, e non il motore o lo stesso particolare stampato. È vero che, nel-l'esperienza locale, ci sono certe cose che sono prodotte tradizionalmente in Fiat e altre che sono prodotte fuori: per cui è abitudine concentrarsi sull'in-dotto auto. Ma si tratta di un'ottica sostanzialmente distorcente; moltissime attività sono state decentrate, dalla Fiat, ad aziende esterne: ed il confine tra ciò che si produce dentro e ciò che si produce fuori è continuamente va-riabile; inoltre, da sempre, le stesse produzioni sono state talora realizzate in parte dentro e in parte fuori degli stabilimenti automobilistici. Nell'ana-lizzare la problematica dei componenti non avrebbe dunque molto senso limi-tarsi alle produzioni che avvengono al di fuori della fabbrica dell'auto. Per rafforzare questa tesi, si consideri un'ulteriore argomentazione esemplifi-cativa: a Torino si è abituati a conside-rare lo stampaggio, in linea di massi-ma, almeno per i pezzi di grande di-mensione, come un'attività da compie-re tipicamente all'interno: ma la Bri-tish Leyland, tra le altre, ha recente-mente affidato le attività di stampag-gio alla British Leyland Components, una holding, che, per l'appunto, insie-me ad alcune altre società che produ-cono componenti nel senso tradizionale del termine, comprende anche una so-cietà che svolge l'attività dello stam-paggio.

Il settore dei componenti è natural-mente molto differenziato e segmenta-to; sono possibili numerose forme di classificazione. Tra le tante, riteniamo utile proporre la seguente: scocca; sel-leria; componenti elettrici; trasmissio-ne-freni-frizione-ruote-sospensioni; motore.

3. Il settore della componentistica è at-tualmente interessato da profondi pro-cessi di ristrutturazione a livello mon-diale: gli obiettivi che vengono perse-guiti sono gli stessi che si sono sopra

ricordati per il settore dell'auto in ge-nerale: riduzione dei costi e migliora-mento della qualità.

In passato, le case automobilistiche, e in particolare la Fiat, non davano ai problemi dell'economicità e della qua-lità dei componenti un rilievo priorita-rio. Prevaleva l'esigenza della sicurezza degli approvvigionamenti. Naturalmen-te non è che non ci si preoccupasse di risparmiare. Ma nel complesso i forni-tori, parliamo sempre della Fiat, sia pur sempre sottoposti a revisioni e ta-gli sui prezzi, riuscivano a realizzare profitti consistenti. Una riprova, a ti-tolo di esempio, di questo atteggiamen-to sostanzialmente poco preoccupaatteggiamen-to di realizzare rigorose economie era da-to dal frequente ricorso alle prime se-rie, il cui costo, anche per il necessario utilizzo dei battilastra, era molto eleva-to. Discorso analogo per quanto ri-guarda la qualità; non è che non ci si preoccupasse della qualità, ma il com-ponente che non superava la prova di collaudo veniva rimandato al mittente, e quindi successivamente ripreso in esame, e cosi via, fino a che, prima o poi, finiva in qualche modo per essere accettato.

Alla luce della nuova situazione che si è venuta creando, questo atteggiamen-to paternalistico e condiscendente nei confronti dei fornitori non è più possi-bile; e più in generale, per quanto ri-guarda tutti i componenti, sia prodotti all'interno che all'esterno, si impone una rigorosa ricerca di economicità e di qualità.

4. La via maestra per ottenere delle ri-duzioni di costo nei componenti è quella di realizzare delle economie di scala. E queste, a loro volta, possono essere ottenute in vari modi. Una pri-ma possibilità, per ogni casa auto, consiste nel ridurre il parco fornitori, per consentire a quelli che rimangono di produrre a dimensioni maggiori. Una seconda possibilità, più importan-te, consiste nel perseguire l'obiettivo della standardizzazione; e ciò sia all'in-terno di una data casa automobilistica, (nella misura in cui ci si muova nella direzione della c. d. concezione modu-lare del prodotto), ma sia soprattutto nei rapporti tra le varie case, che

sem-pre più spesso adottano componenti identici (o molto simili). Tende cosi a cambiare il rapporto tradizionale tra casa automobilistica e produttore di componenti. Tradizionalmente il pro-gettista dell'auto, poco vincolato da considerazioni di riduzione di costo, per ogni nuovo modello progettava ex novo molti componenti, senza preoccu-parsi troppo di riprendere quelli già presenti in altri modelli, o già adottati da altre case. In questo senso il settore dei componenti costituiva un vero e proprio indotto del settore dell'auto. Oggi invece la tendenza è sempre più ad esaminare, prima di definire le ca-ratteristiche di un componente da inse-rire in un modello, ciò che il mercato è in grado di offrire. Il settore dei com-ponenti tende dunque a perdere il ca-rattere di settore indotto di quello del-l'auto; anzi, il rapporto tra i due setto-ri tende quasi ad invertirsi.

Ci sono pezzi per i quali è normale che le case auto recepiscano quello che è

prodotto sul mercato: tipico il caso delle candele o delle batterie. Ma gli esempi si possono moltiplicare; sempre più numerose ormai sono le grandi ca-se di componenti, che producono pezzi con caratteristiche sostanzialmente si-mili, e li impongono agli assemblatori. Il mondo della componentistica è sem-pre più il mondo di grandi case come la Bosch, per i componenti elettrici, o la Lucas o la Sev Marchal (del gruppo Valeo); oppure della GKN per i giunti

o della FZ per le trasmissioni; o della TRW per i sistemi di guida; o della Bendix per i freni; o ancora della Va-leo per le frizioni. Si tratta di aziende che, da molti anni, realizzano impor-tanti quote del loro fatturato attraver-so l'esportazione; di recente esse si attraver- so-no venute multinazionalizzando, co-struendo stabilimenti nei vari paesi in cui sono localizzate fabbriche di auto-mobili. In questo modo sempre più le automobili tendono ad assomigliarsi «sotto la pelle», e la differenziazione delle marche è affidata in misura cre-scente alla diversa linea della carrozze-ria.

Nel comparto della componentistica, a livelli dimensionali consistenti, non operano soltanto, come nei casi citati, grandi gruppi indipendenti. Le stesse case di automobili intervengono attiva-mente, potenziando le aziende loro col-legate produttrici di componentistica, o costituendone o acquisendone di nuo-ve: e ogni casa cerca di spingere le sue collegate a vendere anche alle altre ca-se. Valga per tutti l'esempio della AC Delco della General Motors. Un esem-pio interessante si ha anche in casa no-stra, nonostante la scarsa multinazio-nalizzazione della nostra componenti-stica (come vedremo). La Teksid, la più importante produttrice di compo-nenti collegata alla Fiat, esporta negli Stati Uniti testate di motore in allumi-nio. Da ultimo, sono gli stessi produt-tori di auto che intervengono in prima persona in questo processo di standar-dizzazione, relativamente ai componen-ti che producono al loro interno. In questo caso di regola si procede me-diante la costituzione di joint ventures (tipico l'accordo fra la Fiat e la Peu-geot): infatti si tratta qui di componen-ti strategici, ed è difficile, salvo ecce-zioni, che Una casa si metta nelle mani di un'altra, accettando il rischio di es-sere dipendente per le parti vitali del-l'autovettura.

Ma la ricerca di costi minori non è il solo fenomeno che interessa il mondo dei componenti. Altrettanto importan-te è la ricerca di una miglior qualità del prodotto, sia sotto l'aspetto del controllo di qualità, che sotto quello dell'innovazione.

Ora, le grandi dimensioni favoriscono

al tempo stesso le riduzioni di costo e la ricerca della qualità. Per finanziare l'innovazione occorrono grossi capitali: solo le grandi case, possono permetter-si di istituire grandi centri di ricerca. 5. Si potrebbe obiettare che questa im-postazione è troppo rigida, a senso unico; e che trascura un'altra via im-portante per ottenere riduzioni di co-sto, quella del decentramento produtti-vo. È questo un fenomeno ben noto, ed ampiamente registrato negli anni scorsi: si ricerca la piccola dimensione, non solo perché il piccolo sia bello, ma perché nel piccolo è più facile trascura-re le misutrascura-re di sicutrascura-rezza, non pagatrascura-re i contributi, pretendere lo straordinario, ecc. Sicuramente queste argomentazio-ni non possono essere trascurate. Però esse valgono soprattutto quando si tratta di produrre per delle piccole se-rie, per il mercato dei ricambi, o per dei modelli a bassa tiratura. Perché, quando sono necessarie delle grandi produzioni, in linea di massima, non c'è economia del vicolo che possa otte-nere costi inferiori a quelli ottenibili con la tecnica delle grandi dimensioni. Inoltre non bisogna trascurare il proble-ma già accennato della qualità: il picco-lo produttore non è in grado di garanti-re, in genegaranti-re, una accurata qualità del prodotto, che diventa invece, come si è visto, sempre più importante.

Piuttosto, si può accennare ad un fe-nomeno nuovo: molti piccoli produtto-ri, attuali fornitori delle case auto, ten-dono a divenire subfornitori, nel senso che tendono a produrre per delle im-prese capocommessa, che a loro volta riforniscono le case auto.

La gestione di un ampio parco fornito-ri è costosa per il produttore di auto; è più conveniente che il rapporto con i fornitori di piccole dimensioni sia te-nuto dai capicommessa, che si assumo-no in proprio il compito di garantire la qualità della produzione. Inoltre il ca-pocommessa è in grado di realizzare un pre-assemblamento dei pezzi, ridu-cendo cosi il lavoro di assemblaggio nelle catene dei produttori di auto. Questo modello, basato sulla presenza di capicommesse, è tipico dell'industria au-tomobilistica giapponese; e, al di là delle più generali caratteristiche dell'econo-mia giapponese, esso ha potentemente favorito l'espansione di quell'industria dell'auto. Logico dunque che si tenda ad imitarlo in altre parti del globo.

Talora si sostiene anche che in Giappo-ne si realizzano notevoli economie di scala, grazie ad una elevata standardiz-zazione dei componenti tra le varie ca-se, e inoltre che il livello qualitativo dei componenti è molto elevato. Ora sembra che le cose stiano esatta-mente nei termini opposti. Ogni casa dispone di una sua propria rete di componentisti: c'è l'associazione dei fornitori della Toyota, quella della Nissan, ecc. Ed è piuttosto raro, sem-bra, che una casa si rivolga ad un for-nitore che appartiene al gruppo di una concorrente.

Non dimentichiamo che il Giappone è uno strano miscuglio di feudalesimo e di capitalismo (oltreché, secondo mol-ti, di pianificazione centralizzata). Per quanto riguarda poi la qualità, sembra che, con le debite eccezioni, il livello della componentistica giapponese non sia affatto superlativo, anzi sia in note-vole arretrato rispetto ai livelli alti del-la componentistica europea ed ameri-cana. Quindi, quando si parla di model-lo giapponese della componentistica bi-sogna pensare alla caratteristica struttu-ra basata su capicommessa, piuttosto che alle elevate economie di scala (tranne naturalmente quelle connesse alle elevate produzioni di ogni singola casa) e alla elevata qualità.

6. Il settore della componentistica nel nostro paese, se confrontato con quel-lo degli altri paesi produttori di auto-mobili, appare gravemente arretrato.

Le grandi case indipendenti sono pres-soché inesistenti. Vi sono alcuni pro-duttori di rilevanti dimensioni (con cir-ca un migliaio di addetti ognuno), co-me, per fare due esempi di rilievo del-l'area torinese, la Fergat e la Ipra. So-no aziende che hanSo-no una qualche ca-pacità autonoma di fare ricerca, e che sono anche riuscite in una certa misura a differenziare i loro mercati, divenen-do fornitori di case auto di altri paesi. Ma si tratta comunque di eccezioni, che, al solito, confermano la regola. E la regola è che i produttori indipenden-ti di componenindipenden-ti sono di dimensioni ri-dotte, e indipendenti spesso solo for-malmente: in quanto si tratta per lo più quasi di reparti staccati della gran-de azienda, che costituisce il loro unico sbocco significativo, e fornisce loro i disegni e molto spesso gli stampi e an-che i macchinari.

Un po' migliore la situazione delle im-prese collegate all'azienda motrice; in questi anni la Fiat ha avviato una poli-tica abbastanza decisa di ricomposizio-ne e acquisizioricomposizio-ne di nuove aziende di componentistica: e i due gruppi Co-minci e Gilardini, nonché la Magneti Marelli e la Weber e alcune altre azien-de, sono gli unici esempi in qualche modo paragonabili alle grandi aziende straniere.

Non bisogna però farsi troppe illusio-ni; le dimensioni di queste aziende so-no ancora so-notevolmente inferiori ri-spetto a quelle delle principali concor-renti, e la loro capacità innovativa è molto scarsa: in pratica, gli unici centri di ricerca di un qualche significato in-ternazionale si trovano ancora oggi quasi esclusivamente all'interno della Fiat.

Le ragioni di questa situazione si tro-vano evidentemente nella nostra storia industriale; da un lato ha giocato il fatto che la Fiat si è sviluppata in un ambiente ancora relativamente poco industrializzato, ed ha quindi per ne-cessità dovuto svolgere un ruolo trai-nante, senza potersi affidare a speciali-tà già presenti all'esterno; d'altro lato non bisogna dimenticare che in Italia, a differenza che nelle altre nazioni pro-duttrici, si trova una sola grande casa di auto. La presenza, negli altri paesi, di più case di grandi dimensioni, ha

fa-vorito il sorgere di un'industria dei componenti autonoma, capace di ela-borare delle sue linee di prodotto, sen-za essere dipendente in modo totale da un unico acquirente.

7. La Fiat si è resa conto solo da po-chi anni di questa situazione, che la ve-de gravemente svantaggiata rispetto ai concorrenti. In pratica solo da un an-no o due questa nuova consapevolezza si è tradotta in una nuova politica. Co-munque sia, oggi questa nuova politica c'è, e sarebbe miope non volerlo rico-noscere, o attribuire i problemi del set-tore dei componenti unicamente alla ri-duzione dei volumi produttivi comples-sivi.

La presa di coscienza in questione data grossomodo dal 1974-75: ci si rese con-to in quegli anni in Fiat che lo spezzet-tamento degli acquisti causava costi per il mancato sfruttamento delle eco-nomie di scala, e che i fornitori a di-sposizione non erano in grado di ga-rantire prodotti di qualità sufficiente e neppure in grado di fare ricerca. I fornitori vennero convocati in massa, venne spiegata loro la nuova situazio-ne, fu esplicitamente richiesto uno sforzo per un ammodernamento com-plessivo.

II modo concreto con cui si cercò di introdurre degli stimoli nuovi nel com-parto fu quello di aumentare la con-correnza: vennero ricercati nuovi forni-tori, e anche le aziende collegate furo-no messe in concorrenza con aziende esterne, e talora notevolmente penaliz-zate: anche la Teksid, per certe produ-zioni, vide la sua quota sugli acquisti Fiat scendere attorno al 60% (quando sino a pochi anni prima la quota era omogeneamente del 100%).

Questa nuova impostazione della poli-tica degli acquisti è però durata poco. Si può dire che da circa un anno ci sono i sintomi di un'inversione di ten-denza: gli obiettivi sono sempre gli stessi, ma gli strumenti adottati sono cambiati.

In primo luogo, non si cerca più di forzare l'offerta, alla ricerca di forni-tori nuovi; si imbocca invece con deci-sione la via di abbandonare dei forni-tori vecchi. Anche correndo qualche ri-schio in più, rispetto al passato, in

ter-mini di sicurezza degli approvvigiona-menti, si assiste ad una concentrazione degli acquisti nei confronti di alcuni fornitori. Si vuole evitare che si abbia un eccessivo spezzettamento della pro-duzione, e si cercano di ottenere, già per questa via, delle economie di scala. E cosi che, nell'ultimo anno, i fornito-ri di componenti, che fornito-risultavano esse-re 1300 sono scesi a 1200: in un anno sono stati eliminati 100 fornitori. Se, come sembra, questi ultimi sono in mi-sura più che proporzionale localizzati nell'area torinese, non si può evitare di cominciare a fare alcune serie rifles-sioni.

La nuova tendenza si afferma anche nei confronti delle imprese collegate, che vedono risalire, in genere, la loro quota relativa sul totale degli acquisti Fiat.

Questa politica di esplicita, aprioristica eliminazione di fornitori non sembra destinata ad esaurirsi nel breve perio-do, bensì a continuare per almeno al-cuni anni. È difficile calcolare gli effet-ti sull'occupazione: ma sicuramente si ha un certo effetto di restrizione della base occupazionale, anche se una parte di queste aziende, che cessano di essere fornitrici dirette della Fiat, diventa subfornitrice delle aziende rimaste, che si vengono a trovare in una posizione che si avvicina a quella di una vera e propria capocommessa.

Una seconda tendenza registrabile nel concreto è quella che attiene ai proble-mi della qualità. La Fiat dimostra chiaramente di non poter sacrificare le sue esigenze di competitività, sotto il profilo della qualità del prodotto, al-l'esigenza di tenere in vita un tessuto produttivo tradizionale. La via dell'au-mento delle importazioni è, nell'imme-diato, obbligata. In una prospettiva temporale più ampia, è prevedibile, da-to il ritardo molda-to spesso incolmabile della nostra industria dei componenti (vedi il caso dell'iniezione elettronica o delle scatole guida, ecc.), che si favori-sca ulteriormente l'assorbimento di aziende locali da parte delle multina-zionali della componentistica: un feno-meno nella nostra area già ben noto, ma che probabilmente è destinato ad

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