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Metodi di valutazione aziendale. Un confronto tra

Nel mondo anglosassone, il problema della valutazione delle imprese è considerato dagli studiosi di finanza come un caso particolare di valutazione degli investimenti, l’attenzione è rivolta all’individuazione di criteri in grado di definire il valore effettivo delle azioni di un’impresa, prendendo a riferimento il loro prezzo per le decisioni più rilevanti.

Un concetto molto radicato nella dottrina inglese è che, nella valutazione d’azienda, ciò che è oggetto di stima non è il patrimonio, ma un “complesso di beni funzionale alla produzione di risorse finanziarie e reddituali per il futuro”60.

Quindi, si tende a valutare l’impresa non per ciò che possiede, ma per ciò che darà come ritorni finanziari o benefici di altro tipo agli stackeholders. È per questo motivo che in Gran Bretagna viene dato molto peso alle proiezioni future dei risultati aziendali e, nei casi di

60 L. GUATRI, La valutazione delle aziende. Teoria e pratica dei Paesi avanzati a confronto, EGEA, Milano, 1990, pag. 485.

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acquisizioni e fusioni, agli effetti sinergici di tali operazioni sulle condizioni di economicità futura dell’impresa. Di conseguenza, è ovvio che i metodi finanziari siano più ampiamente utilizzati rispetto ai metodi patrimoniali61.

Dall’altro, nel nostro Paese, ma in generale nell’Europa continentale, sono maggiormente diffusi i metodi che puntano l’attenzione sulla consistenza patrimoniale e la redditività, per motivi diversi62: cultura;

caratteristiche dell’ambiente economico; fragilità delle barriere all’entrata che in molti settori avrebbe tendenzialmente allineato i valori economici delle imprese ai valori patrimoniali e avrebbe favorito così la diffusione di metodi analitici di valutazione; problemi di linguaggio.

Ad esempio, nel caso del metodo misto, in genere gli esperti anglosassoni colgono con difficoltà il significato degli elementi della formula di valutazione. Il valutatore anglosassone associa immediatamente il concetto di goodwill63 a quello di economic value added

61 L’uso dei metodi patrimoniali è maggiormente utilizzato ai fini del calcolo del valore di liquidazione (VL), quale limite inferiore minimo della valutazione e quale indicatore del grado di rischiosità dell’impresa.

62 M. MASSARI, Il metodo misto patrimoniale-reddituale: una nuova giovinezza Oltreoceano?, in: la valutazione delle aziende, n. 8 1998, pag. 17.

63 Cosa dice il goodwill di un’impresa?

Esso è la parte dell’impresa che aggiunge ad essa valore (e cash flow), nonostante non sia né specificamente attribuibile ad alcuna singola posta, né interamente separabile da altri assets. Questo intangibile attribuisce valore ad attività che in altri casi non ne avrebbero. T.H.

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(EVA). Concetto, quest’ultimo, che ha conosciuto in tali Paesi (e soprattutto negli Stati Uniti) una particolare diffusione quale indicatore di performance di un’impresa su un piano della creazione di nuovo valore64.

2.2 Sviluppo storico dei metodi di valutazione.

La questione circa la rilevanza degli intangible assets ai fini valutativi inizia, in Italia, a partire dagli anni 60’, con la ricerca di strumenti idonei a quantificarli in modo attendibile. A quei tempi il riferimento era per gli intangibles legati al marketing con riferimento agli investimenti pubblicitari misurati a costi storici e gradualmente ridotti con l'ammortamento.

A partire dagli anni 70’ l'area intangibile si allarga anche a quella tecnologica e dal metodo di misurazione precedente si passa ad un modello di stima basato sui costi di riproduzione, nonostante fosse evidente la necessità di una verifica reddituale di tale valore.

Negli anni 80’ la tematica venne poi riaffrontata nell'ottica della stima analitica del capitale economico col

DONALDSON, The treatement of intangibles: a banker’s view, St.

Martin’s Press, London, 1993, pag. 22.

64 E. CINQUE, Avviamento e goodwill, Aracne editrice, Roma, 2003, pag. 64- 67.

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metodo di valutazione aziendale “patrimoniale complesso”, e cioè comprensivo del valore degli intangibles65. L'obiettivo era quello di tradurre in “beni immateriali autonomi” alcune “condizioni” della produzione del reddito che purtroppo erano difficilmente separabili per le loro sovrapposizioni.

Verso la fine degli anni 80’ questa fase che si potrebbe definire “pionieristica” giunge al termine, per cedere il posto all'idea che la stima degli intangibles avesse la doppia valenza in bilico fra la performance periodica e la valutazione del capitale economico66. Si cercava di scomporre analiticamente il valore complessivo del capitale aziendale, riducendo la parte inglobata nel concetto di avviamento67. Si attuò, così, il passaggio dal concetto di “avviamento ampio”68 a quello di “avviamento ristretto”69. Del valore complessivo del capitale fanno così parte tre componenti quali: il patrimonio netto rettificato

65Fino al 1987 tale metodo era definito “di 1° grado” in presenza di intangibles basati sui valori espressi dal mercato; e “di 2° grado” in presenza di intangibles non dotati di prezzi.

66 L. GUATRI, Valore e "intangibles" nella misura della performance aziendale, EGEA, Milano, 1997, pag. 18.

67 La valutazione autonoma dei beni immateriali, da un lato, si aggiunge al valore analitico degli elementi materiali, e, dall'altro, riduce il valore di avviamento. L. POZZA, Le risorse immateriali.

Profili di rilievo nelle determinazioni quantitative d'azienda, EGEA, Milano, 1999, pag. 236.

68 Questo concetto ricomprende tutte le risorse immateriali.

69 Esso valorizza implicitamente tutte le condizioni di produzione immateriali che non fanno parte della categoria dei beni immateriali e che non sono espresse nel patrimonio netto rettificato.

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tradizionale70, i beni immateriali71 e l'avviamento ristretto72; determinante era l'esistenza di condizioni di redditività idonee a supportare tali valori73.

Adottando le stime miste patrimoniali-reddituali, bisognava riuscire così a separare i beni immateriali riducendo di conseguenza il goodwill che li comprendeva, passando dal goodwill “pieno” a quello “ridotto”.

Nel 1990 i criteri di valutazione dei beni immateriali potevano così essere riepilogati:

70 Per determinarlo basta riesprimere a valori correnti gli elementi attivi e passivi che formano il patrimonio netto contabile. Esso va poi rettificato con l'eliminazione dell'avviamento e dei c.d. costi pluriennali.

71 Se trasferibili possono stimarsi autonomamente: i criteri di stima possono basarsi sui costi, sui flussi di risultato attesi o sulle osservazioni di mercato (la scelta dipenderà dalla natura del bene). Il valore ottenuto andrà poi a integrare il patrimonio netto rettificato. L.

POZZA, Le risorse immateriali. Profili di rilievo nelle determinazioni quantitative d'azienda, EGEA, Milano, 1999,pagg. 238-239.

72 Generalmente tale valore viene stimato autonomamente col criterio UEC che utilizza il seguente algoritmo:

W = K + (R - iK) a ni’

Esso rappresenta così un correttivo economico che esprime la capacità di organizzazione e gestione dell'intera azienda. L. POZZA, Le risorse immateriali. Profili di rilievo nelle determinazioni quantitative d'azienda, EGEA, Milano, 1999, pagg. 240-241.

73 Se il profilo di redditività non è adeguato, i valori materiali e immateriali vanno corrispondentemente ridotti: la verifica reddituale dei plusvalori immateriali è fondamentale. Sull'argomento vedi L.

GUATRI, Valore e "intangibles" nella misura della performance aziendale, EGEA, Milano, 1997., pagg. 171-172.

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 criteri analitici: stimati con una ricostruzione logica fondata su dati documentati;

 criteri empirici: basati su parametri e formule dedotte dal comportamento negoziale degli operatori sul mercato (prezzi fatti).

A partire dal 1991 si cominciò ad intuire che fossero necessarie tecniche più attendibili per misurare il valore dei beni immateriali. Nacque da ciò e da altre ragioni l'idea di superare di un balzo questi ostacoli, mediante l'accertamento a medi intervalli di tempo del valore del capitale economico74. Così la dinamica del valore (W) fa abbandonare ogni tentativo di valorizzare specifici intangibles: questa rinuncia fu poi confermata negli anni successivi anche dall'affermazione dei metodi di valutazione fondati sulla attualizzazione dei flussi attesi.

Il problema degli intangibles è stato recentemente ripreso per due ragioni:

 quale indicatore di performance, il REI75 non può prescindere dall'uso della dinamica dei beni immateriali76,

74 L. GUATRI,. Valore e "intangibles" nella misura della performance aziendale, EGEA, Milano, 1997, pag. 19.

75 Risultato Economico Integrato o Revised Income nella versione inglese: è un indicatore di performance che integra il risultato contabile normalizzato con la dinamica dei beni immateriali.

76 Variazione annuale dello stock dei beni immateriali.

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soprattutto in relazione alla riscoperta del Resource Based Management77;

 in relazione alla definizione dei

“flussi attesi” nel metodo reddituale di valutazione delle aziende.

Per l'impresa è dunque impossibile ottenere risultati di periodo che astraggano dalla dinamica dei beni immateriali78: il tentativo è quello di trovare un metodo di stima a breve termine79 che permetta di ottenere risultati razionali, dimostrabili e poco onerosi, quindi standardizzati.

77 Questo approccio ha due obiettivi principali: la continua creazione di valore nell'ottica dell'accumulo, della riproduzione e dell'incremento dei beni immateriali; e l'aumento del patrimonio di risorse immateriali esistente.

78Come scrive Vicari: “Si è di fronte ad una contraddizione che appare incomprensibile: da un lato, queste risorse rappresentano le stesse basi della capacità di sopravvivenza dell'impresa, dall'altro esse non sono al centro delle decisioni del management, che normalmente anzi tende a dimenticarsi dell'esistenza di questo patrimonio invisibile”. Cfr. S. Vicari, Invisible assets e comportamento incrementale, in "Finanza, Marketing e Produzione", n. 1/1989, pag.

11.

79 La dinamica del valore nel breve termine deve trovare riscontro nel medio termine e quindi anche a distanza di 3-5 anni. Cfr. L. Guatri, Valore e "intangibles" nella misura della performance aziendale, EGEA, Milano, 1997 pag. 24.

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2.3 L’avviamento nei vari metodi di