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0.2 I PUNTI DI RICAMO DEL HUIPIL: IL “CONTESTO DELLE ESPERIENZE”

0.3.1 La Metodologia della Chakana

La densità delle esperienze narrate, così come l’intreccio e la complessità dei mondi in esse contenuti, mi hanno portato, da una parte, a creare come esplicitato prima, il termine “ConoSCentire”, dall’altra, ad arricchire questo elaborato utilizzando la “Metodologia della Chakana” considerando la “Chakana” 107, in parole di Villena, quel “Ponte - Comunicazione

fra l’uno e l’altro cosmo, visto che viviamo in un cosmo PAR, ovvero un “Pariverso,” 108

quel “ponte” che tesse, che intreccia la profondità del pensiero dei Popoli delle Ande.

In questa prospettiva, la Chakana, nelle sue quattro dimensioni può rappresentare uno strumento attraverso il quale consolidare i quattro elementi del “Paradigma Ecologico Comunitario”, accennato precedentemente.

Avere avuto l’opportunità di avvicinarmi all’anima del pensiero “chakanistico” è stata la più grande scoperta di questo percorso esperienziale.

La “Metodologia della Chakana” è una creazione del gruppo di lavoro del Centro di Culture Originarie KAWSAY a Cochabamba di cui ho fatto parte durante due mesi. Lo scambio con questo gruppo è stato molto importante, per aspetti che ritengo fondamentali: da una parte per la dinamica stessa con cui i processi di insegnamento/apprendimento vengono elaborati, avendo cura dell’interconnessione delle quattro dimensioni della Chakana che sono allo stesso tempo le quattro dimensioni dei mondi esplicitati nella cosmovisione Quechua.

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Cerruto A. Leonel, Quiroz Q. Irma, Ramos H. Beatriz, Saaresranta Tina, Rocha T. Josè A., Metodologia Propria.

Educaciòn Diferente, op.cit.

107 Millena , Carlos, Genesi della Cultura Andina, Perù, 1983 108

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Questo processo di elaborazione del modello “chakanistico” del gruppo in Kawsay, risponde, a mio avviso, al concetto di “co-teorizaciòn”, della Rappaport , accenatto precedentemente, vediamo:

“ capisco la “ co-teorizaciòn” come la produzione collettiva di veicoli concettuali che riprendono tanto un corpo di teorie antropologiche come i concetti sviluppati dai nostri interlocutori109. In essenza, questa impresa ha il potenziale di creare nuove forme di teoria che l’accademia solo considera parzialmente dai suoi contenuti110

“ l’esito più importante della nostra metodologia è stata la creazione di un dialogo collettivo su numerosi concetti chiave – veicoli concettuali- che potessero servire di guida alla nostra ricerca. Questi concetti non si originano nella letteratura accademica, seno nelle culture politiche native in cui tutto il gruppo è stato coinvolto.111”

Un altro aspetto importante in questo lavoro di “ co – teorizzazione” di Kawsay, è rappresentato dalla stessa composizione del gruppo, il quale oltre ad essere interdisciplinare è anche “eco-disciplinare”, nel senso in cui viene considerato da Silvia Demozzi112

: alla ricerca di quell’ “ideale assiologico trascendentale che dovrebbe mirare all’integrazione delle istanze individuali con le esigenze collettive”, nei casi dei popoli: la Comunità.

In fine, perché con questa metodologia il gruppo KAWSAY, da oltre quindici anni porta avanti processi di “Pedagogia Interculturale” e “Pedagogia Comunitaria” in diverse Comunità Quechua in Bolivia, Perù ed Ecuador, nonché in Svezia in collaborazione con la Linkoping University, consolidando ad oggi un modello pedagogico proprio, che riprende la metodologia ancestrale d’interconnessione cosmica (la Chakana) come ponte che unisce le quattro dimensioni in cui la vita si concretizza.

Per illustrare sinteticamente come viene elaborato il modello “chakanistico”, riporto alcuni dei punti che saranno considerati nel capitolo primo, sul “Sapere Quechua e la Metodologia della Chakana.”

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Il grassetto è mio

110

Rappaport, Joanne, Mas allà de la escritura. La epistemologia de la etnografia en colaboraciòn, en Revista Colombiana de Anropologia, vol. 43, Colombia 2007, pp. 197-229.

111 Rappaport, J. Op. Cit. 112

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Il Sapere Quechua e la Metodologia della Chakana

Approfondire la “metodologia della Chakana” è stato l’impegno nella seconda fase del mio lavoro che mi ha portato, anche se ancora in maniera molto limitata, a darne una prima spiegazione, grazie al materiale gentilmente concesso da Leonel Cerruto113.

“La Chakana è il simbolo della cosmovisione Andina. Ci fa vedere quattro dimensioni vitali: Munay (affetto, energia, spirito), Yachay (saggezza, estetica, scienza, arte), Ruway (lavoro, azione, produzione), Atiy (organizzazione, autorità, capacità, governo dell’ Ayllu114). Fa anche riferimento alle quattro dimensioni della Pacha (Terra): spazio, tempo, situazione/contesto, esseri viventi. Tutti connessi da una quinta dimensione o Chawpi-Taypi, che è il Centro connettore della complementarità, attraverso il quale si concretizza il “Sumak Kawsay”

“La Chakana è uno strumento metodologico importante nell’ organizzazione e pianificazione educativa comunitaria grazie alla possibilità di disegnare contenuti curriculari pluridimensionali. I contenuti sono costituiti da quattro assi: vitali, trasversali, differenziali e

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Cerruto A., Leonel (2009) La experiencia de la Universidad Indígena Intercultural Kawsay (UNIK). En Daniel Mato (coord.), Instituciones Interculturales de Educación Superior en América Latina. Procesos de construcción, logros, innovaciones y desafíos. Caracas: Instituto Internacional de la UNESCO para la Educación Superior en América Latina y el Caribe (UNESCO-IESALC), pp. 123-154 . Le interviste del gruppo Kawsay sono disponibili al link: www.youtube.com/ YolandaAbyaYala / Kawsay-Metodologìas Propias/Leonel Cerruto/Sabidurìa Ancestral Quechua/Educaciòn descolonizadora

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Concetto che riguarda la forma di organizzazione politica, sociale ed economica delle singole comunità.

Yachay Ruway Chawpi Taypi T Atiy Munay

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locali, che a loro volta interagiscono con le quattro dimensioni della Chakana, generando

quella struttura che connette con il centro e che conduce alla costruzione del “Sumak

Kawsay”. L’inter-relazione delle quattro dimensioni della Chakana con i quatto assi sopra

individuati sono l’essenza di questa pedagogia”

“Munay, orientata alle scienze della cosmovisione nelle sue dimensioni di energia, spiritualità,

idioma, identità e cultura. Questa dimensione ci fornisce le basi dei principi e valori sui quali agire nelle altre dimensioni. Ruway, orientata alle scienze della produzione e riproduzione comunitaria, il lavoro, l’economia comunitaria, lo scambio, l’autosufficienza del Ayllu per il buon vivere. Atiy, orientata alla scienze dell’organizzazione e gestione territoriale comunitaria e le sue normative, dell’amministrazione comunitaria e dell’autogoverno. Yachay, orientata alle arti e alle scienze originarie, la saggezza ancestrale, le metodologie comunitarie, la ricerca e le tecnologie. In questa dimensione si cerca l’innovazione permanente, in armonia con i principi e valori della Pacha”.

0.3.2 La Traduzione

Come accennato nell’introduzione sto scrivendo in italiano, non tanto per sentirmi “integrata”, quanto per l’impegno di riportare la voce di questi saperi silenziati, oggi qui presentati come interlocutori Vivi attraverso questa proposta, augurandomi possa essere questo il “Ponte” di dialogo interplanetario dove quell’ “Ecologia dei Saperi”115 si possa concretizzare.

I livelli di traduzioni sono diversi. Un primo livello, la traduzione dalle diversi lingue: quechua, aymara, guarani, tsotsil, tseltal, maya quichè, ukuba, wayunaiki ai diversi scritti in lingua castigliana, un secondo, da questa all’italiano ed un ulteriore esercizio di traduzione “inter-politica” ed “interculturale”, aspetti che saranno considerati all’interno dell’ “Ecologia dei Saperi.

Ritengo opportuno fare questa precisione, considerando che la maggioranza delle fonti qui riportate sono state da me tradotte all’italiano, esercizio attraverso il quale ho cercato di superare le mie difficoltà riguardanti la mia, non altissima padronanza della lingua italiana, ma soprattutto ho messo in gioco la mia capacità di trasmettere la profondità del messaggio,

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cercando al massimo di cogliere il ritmo di quella danza pluridimensionale di cui è fatta la parola.

Non è stato un compito facile, ma fra le tante sfide che ho deciso di assumere in questo andare “oltre” c’è anche questa, alla quale spero di rispondere con tutto l’impegno e l’entusiasmo con cui ho iniziato a scrivere queste pagine. Assumo come mia la responsabilità e chiedo scuse ai Popoli, per i registri che in questo viaggio nella memoria di 520 anni di un intero continente possano essermi sfuggiti.

Agli accademici chiedo la loro comprensione e la loro disponibilità a leggere i linguaggi “altri” anche se possono sembrare lontani dai repertori con cui l’accademia è solita interagire. Infine, spero di riuscire in questo “salto”.

“ Heidegger chiama lo spazio tra lingue diverse un abisso che costringe il traduttore/filosofo a compiere un salto. In questo sforzo è implicito il rischio di cadere e di non riuscire a raggiungere l’altro lato dell’abisso. Ogni traduzione è un tentativo di compiere questo salto, nonché l’abilità di trasferire un lato dell’abisso dall’altra parte, senza cancellare le divisioni fondamentali che separano le lingue. Per questo motivo, tradurre significa cercare di avvicinarsi a ciò che non si può tradurre linguisticamente; significa evidenziare il silenzio inerente al linguaggio. Il luogo in cui avviene la traduzione è opaco piuttosto che trasparente, e così la traduzione allude sempre all’impossibilità di dare voce, in una lingua, a ciò che è destinato ad essere silenzioso ed estremamente complesso.”116

0.3.3 Le immagini

Nel tentativo di riportare quanto il linguaggio simbolico possa rappresentare nelle Culture qui considerate, questo elaborato è accompagnato da un elenco di “viodeo-registri”, i quali lunghi dall’essere un’opera perfetta in merito alla qualità – considerando anche molte difficoltà tecniche nei diversi contesti- vuole essere la testimonianza di quelle esperienze dove le parole difficilmente riescono a darne del tutto conto, come affermano alcuni studiosi delle forme di linguaggio non verbali.

116 Giordano Cristiana, Riflessione sulla traduzione. Tra clinica ed antropologia, in Altri Corpi. Antropologia ed

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“Tinkuy” Ofrenda rituale en el Koricancha - Cusco Perù117

“La ragione risiede in quello che ho chiamato il regno dell’emotività, nel quale governano le immagini e il linguaggio visuale. E l’espressione dell’emotività non segue un percorso logico-lineare: il pensiero per immagini “è alogico. Esso ha la forma di un mosaico, senza il rilievo ai primi piani di una sintassi”(Debray 1999:265). Ed è questa alogicità a dare all’immagine il suo ineguagliabile potere comunicativo, ed il segreto della sua forza “è senza dubbio la forza dell’inconscio in noi (destrutturante come un’immagine, piuttosto che strutturato come un linguaggio)”.(Ibidem:93)”118

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Tinkuy in lingua quechua vuol dire “Incontro”. Il Koricancha in lingua quechua “Recinto de Oro”, è un importante centro cerimoniale a Cuzco –Perù, dove ho partecipato ad una delle cerimonie realizzate i primi venerdì di ogni mese, in un processo di recupero della tradizione. Ai partecipanti viene offerto un singolo “Kintu” elaborato con quattro foglie di Coca e dei fiori speciali attaccati con grasso di lama che è un animale sacro nella cosmovisione andina. La pannocchia “vestita” con foglie di Coca, fiori e grasso di lama, sarà offerta alla Terra. Informazione di Teresa Rayme Molina. Cusco- gennaio 2011

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61 0.4 I RIFERIMENTI TEORICI

Con quanto esposto precedentemente auspico che questo capitolo possa essere il punto di partenza di una più ampia riflessione. Uno scenario che oltre i “registri”, i “concetti” e le “categorie” abbia a che fare con la creatura umana come parte di quell’insieme Ecologico dove “Ecologia dello Spirito” ed “Ecologia della Mente” si possano incontrare, non con l’obiettivo di dimostrare una particolare tesi, ma nell’intenzione di trovare in prospettiva pedagogica una struttura che li possa connettere.