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CAPITOLO SECONDO

LA GRANDE “ MOCHILA” DELLA SAGGEZZA ANCESTRALE

2.3 MANIERA WAYUU DI APPRENDERE AD APPRENDERE

2.3.4 Il Ruolo della Donna nella trasmissione

La persona wayuu è formata per realizzare il proprio progetto di vita, in questo modo viene preparata anche per vivere in società, per assumere delle responsabilità, per “maa akasaa’in sükua’ipa wayuu”, essere alla maniera wayuu, vuol dire affermare la propria appartenenza al gruppo e dare il proprio contributo nei processi di costruzione e de-costruzione dell’identità culturale. Inoltre orienta e direziona il processo all’interno del quale si costruisce un’identità di genere, riconoscendo l’individualità.

Ci sono momenti per acquisire le abilità e le destrezze in relazione con lo sviluppo mentale della persona wayuu e ci sono i cicli di apprendimento, disegnati come processi con intervallo di tempo nei quali vengono sviluppate le abilità e le attitudini d’accordo con il ruolo, l’età o il genere.

“Nella società wayuu la donna ha un alto livello di prestigio sociale, per questo ha la responsabilità di tramandare la cultura e l’identità sociale del gruppo familiare. Le persone si identificano mediante il clan della madre e non quello del padre come avviene nella società colombiana.”436

Oltre alla cura fisica e spirituale, nel periodo del menarca, le donne wayuu sono preparate per affrontare la vita, attraverso l’accumulazione del conoscere pratico, attraverso la metodologia del “aprender haciendo”, (imparare facendo) fra cui una delle più importanti: tessere. Tessere non soltanto “las mochilas” e il “chinchorro”, ma innanzitutto, tessere la Vita con la loro simbologia e rappresentazioni cosmologiche.

“ Tessere la Vita guidate dalla saggezza delle anziane, che forniscono i punti di sostegno per

nutrire dentro di sé l’autostima come donna, per far sì ché possa apprezzare se stessa ma possa apprezzare anche gli altri, con i principi e i valori di una cosmovisione propria che ha come punto di riferimento essere una vera donna wayuu, alla quale viene affidata la responsabilità della trasmissione e continuità culturale.”437

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Colloquio con Margarita Pimienta. Gennaio 2012

436 Ibidem. 437

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Fin qui, tutto l’insieme che ho voluto chiamare la “Scuola Nella Vita”, il quale prende vita nella “Pedagogia del Silenzio”, la “Pedagogia del Consiglio” la Sacralità della parola. Tutti aspetti ampiamente illustrati nei capitoli precedenti, ma i quali, ci tengo ancora a sottolineare, sono insegnamenti che abitano la memoria collettiva e risiedono nel loro Territori, custoditi con cura dalle anziane e dagli anziani Savi, i quali costituiscono le “biblioteche” dell’intera umanità.

Nel tentativo di rendere più comprensibile questo intreccio, TerritorioCorpoMemoria, come scenario dove la conoscenza si costruisce in questo Spazio pedagogico: la Scuola nella Vita, riporto di seguito uno schema rappresentativo, realizzato dal gruppo di studio dell’Università Intercultural Indigena del Fondo Indigena.”438

Vita Quotidiana – Modello di costruzione della conoscenza439

“Questo studio presenta il tipo di educazione endogena fra i popoli indigeni Centroamericani ,

dove si trova che il processo di apprendimento si dà attraverso l’esempio, i consigli, le leggende, le cerimonie e la metodologia dell “imparare facendo”.440

438

Fondo Indigena, Programa de Formación de Líderes Indígenas. Mòdulo de Espiritualidad, Conocimientos e Historia de

los Pueblos Indìgenas de Abya Yala. Manual de las y los participantes, EIGPP, Escuela Intercultural de Gobierno y Políticas

Públicas. Ediciones Plural, La Paz, 2008.

439 Ibidem. 440

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“Il quadro sopra riportato di presenta diverse forme di apprendimento attraverso un sistema che comprende tutto il contesto come modello di conoscenza locale. La struttura e gli elementi del Corpo umano, la composizione famigliare, la vivienda (le case), la Comunità e l’Universo, queste sono le componenti della conoscenza locale. Attraverso i sensi – ascoltare, vedere, udire, sentire, odorare, toccare e assaporare –i principi della conoscenza vengono trasformati in realtà. Per esempio il concetto di bosco è soltanto un’idea fino a quando non si ascolta, si guarda, si tocca, si sente con il cuore, si percepisce attraverso i sensi o si assapora. Questo processo di conoscenza attraverso i sensi è già un sistema scientifico ( Saway:2004).”441

Ci troviamo, quindi, di fronte a una Scuola nella Vita che riconosce i processi educativi endogeni e le “pedagogie autotrofe” come ponte che possa unire la Cultura e la Scuola, armonizzando e riconoscendo i processi di Vita Quotidiana come elementi chiave nella costruzione della conoscenza dei Popoli. Di seguito il quadro , presentato nel modulo “Espiritualidad, conocimientos, e historia de los pueblos indigena de Abya.”442

Di queste “Pedagogie autotrofe” , proprie della Scuola nella Vita, ci parla Emilce Sànchez, attraverso la sua esperienza all’interno del corso di laurea in etnoeducazione dell’ Università della Guajira.443

“La visione e la nozione diversa di tempo e di spazio, proprio di ogni cultura, portano ad avere modi diversi di percepire il mondo e di conseguenza a realizzare pratiche quotidiane diverse. La diversità e la vita fanno vedere che le Culture sono organismi viventi che possiedono dinamiche complesse.

La diversità Culturale si concretizza in lingue e in gruppi culturali, che, per quanto riguarda il caso della Guajira, sono stati inseriti in un solo modello educativo, imponendo linee di pensiero e di lavoro esterne che non riconoscono le dinamiche e la logica interna di ogni gruppo umano che abita questo territorio.”

Quindi, si fa necessaria un’educazione che riconosca i processi educativi endogeni e le pedagogie autotrofe su cui essi poggiano. In questo orizzonte, l’etnoeducazione, come ponte che unisce la cultura e la scuola, armonizzando i processi di una e l’altra, ha definito l’etnopedagogia come la sua disciplina fondante.”444

441 Ivi, p. 33 442 Ibidem. 443

Emilce Sànchez Castellòn, docente dell’Università della Guajira e dottoranda in educazione all’Università di Cartagena.

444 Sànchez Castellòn Emilce, “Educación endógena y pedagogía autótrofa:acercamiento a un marco conceptual. Relazione

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A modo di conclusione di questo capitolo e come richiamo ad una necessaria riflessione su quanto riportato nelle pagine precedenti, riprendo ancora un riferimento importante del pensiero batesoniano in merito all’apprendimento.

“L’Apprendimento 3 sarà probabilmente difficile e raro perfino negli esseri umani. C’è anche da attendersi che sarà difficile per gli studiosi, che sono solo esseri umani, immaginare o descrivere questo processo. Tuttavia si pretende che di quando in quando qualcosa del genere accada in psicoterapia, nelle conversioni religiose e in altre sequenze in cui avviene una profonda riorganizzazione del carattere.”445

Su questa strada, e nel tentativo di intrecciare i fili attraverso i quali tessere questa grande “mochila” della saggezza dei Popoli dell’Abya Ayala, proseguo con l’invito rivolto da Manghi ai suoi lettori:

“ Continuo infatti a sentire l’incontro con l’ecologia della mente come un incontro denso e laborioso. Da non tradire –da gustare, se possibile- nella sua laboriosa densità. Un incontro che non chiede soltanto l’usuale disposizione a conoscere per ‘analisi’, con il testo di fronte sé. Ma anche, insieme, una meno usuale disposizione a conoscere per ‘meditazone’, mettendo in gioco qualcosa di sé, come ha scritto Alberto Melucci “ la meditazione..(.) richiede precisamente questa disposizione a mettere in gioco qualche cosa di sé, della propria mente e delle proprie emozioni per riuscire a vedere ciò che è gia presente, ma che ci sfugge proprio perché e così visibile da abbagliare il nostro sguardo” ( Melucci, 2000, p.154.)”446

Infine, chiudo queste riflessioni intorno alla Scuola nella Vita, riportando le parole di Josè447, uno studioso non indigeno che ha dedicato gran parte della sua vita all’educazione ritrovando nelle sue riflessioni alcuni punti importanti che si collegano con il pensiero e il modo di costruire la conoscenza nei Popoli Originari.

“Nell’educazione ho cominciato a lavorare da molto giovane, in alcune scuole del Sud di Bogotà. Diciamo che ho cominciato, più che per vocazione, obbligato dalle circostanze perché alle superiori ho dovuto assumere la responsabilità di seguire il programma di educazione per

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Bateson G., Verso Un’ecologia della Mente, op, cit, p. 348

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Manghi, S. .La Conoscenza Ecologica, op, cit, Prefazione, p. X

447 Jose Santos è laureato in Filosofia all’Università “Santo Tomàs a Bogotà”. Studi di Filologia Classica a Roma e

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adulti che allora cominciava nelle trasmissioni alla radio. Quindi, sono 25 anni che mi dedico all’educazione.

In questo momento faccio il dottorato in Educazione, più con l’obiettivo di sistematizzare tutta la formazione che ho avuto in tema pedagogico ed educativo in generale. L’argomento della mia tesi è la “Competenza Comunicativa”, il mio interesse riguarda particolarmente il tema generale dell’argomentazione, le strutture argomentative dei discorsi. L’idea è trovare i modi di applicare queste competenze comunicative nell’ambito della cultura cittadina, in modo che le persone possano attraverso il dialogo arrivare a realizzare accordi negli spazi politici, economici, sociali.448”

Per quanto riguarda la propria esperienza di lavoro con i Popoli Originari del Ecuador, Santos fa riferimento alla forma in cui viene eseguito il processo dell’argomentazione nelle dinamiche comunitarie e la gestione del consenso all’interno di questi popoli.

“Dalla mia esperienza in Ecuador, sono rimasto particolarmente colpito dal modo in cui viene gestito l’uso della parola, degli spazi di dialogo a livello comunitario. Diciamo che non riesco a comprendere in profondità le loro dinamiche, ma dalle esperienze condivise con alcuni Popoli in Ecuador, vedo che sono molto efficienti perché riescono ad attivare la partecipazione di tutte le persone. In latino esiste un principio che viene usato anche dal diritto, che tradotto allo spagnolo sarebbe: “le persone devono dare la loro opinione quando qualcosa le riguarda”, più o meno, “quello che a tutti riguarda”. Questa è stata per me l’esperienza più interessante ma diciamo che non mi sono mai occupato di comprendere come siano le loro strutture di “gestione del consenso”.

In ogni modo sono strutture che ancora oggi sono vive e di solito sono anche molto efficienti, nel senso che le persone partecipano, innanzitutto senza essere costrette a partecipare, ma allo stesso tempo senza essere escluse da questa partecipazione.”

Sulle dinamiche riguardanti la partecipazione negli spazi di decisione, Santos esprime una sua valutazione.

“Io penso che la maggior parte delle culture ha il problema dell’incapacità di capire le strutture dialogiche della Società. Oggi le persone tendono a partecipare molto poco alla vita comune e quindi - strutture accademiche comprese – l’Auditorium diventa un invitato di pietra. Ad esempio, molte volte invitano a riunioni per discutere su un argomento, ma le decisioni sono state preventivamente elaborate. Diciamo che questo sicuramente va bene sul

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piano dell’efficienza istituzionale, ma non per quanto riguarda l’implicazione e la partecipazione reale delle persone”.

Per quanto riguarda la spiritualità, Santos fa riferimento a una specie di “religione popolare”, in questi termini:

“C’è una cosa che mi ha colpito molto ed è la “religione popolare” che sarebbe un misto fra il discorso religioso e la spiritualità. Diciamo che nella città, la religione popolare integra una serie di elementi di altre culture, principalmente, nei casi che io conosco, delle culture orientali, tutto in una mescolanza armoniosa. Tuttavia, cercare di capire queste dinamiche diventa una questione abbastanza complessa per la maggior parte della gente anche se la maggior parte della struttura è cristiana. È una questione sulla quale ancora non ci sono studi o istituzioni che si dedichino a cercare di conoscere, ma soprattutto a capire, queste dinamiche. Per quanto mi riguarda attirano la mia attenzione per la loro complessità, le conosco, so che esistono, ma non le ho mai studiate perché mi rendo conto che non avrei gli elementi per farlo da solo, ci sarebbe bisogno di un gruppo interdisciplinare, con persone che abbiano delle competenze negli ambiti sociali e culturali più ampie delle mie.

In termini d’identità, Santos definisce la situazione colombiana come principalmente meticcia.

“Noi colombiani, nella grande maggioranza, difficilmente siamo di una cultura che non sia meticcia, di cultura pura forse possono parlare ancora alcuni popoli indigeni e alcune culture afro. L’altra parte, siamo meticci, non soltanto a livello culturale ma anche a livello razziale abbiamo delle mescolanze abbastanza profonde ed eterogenee.

Nel mio caso personale, io sono originario della regione del Cocuy, e lì il processo di meticciato è cominciato prima che in altre regioni del paese. Per esempio già verso il 1600 esisteva un territorio completamente meticcio. Perché Guicàn è stata fondata nel 1542 quindi in 50 anni c’era stata già una grande fusione. In altre regioni le popolazione indigene sono riuscite a mantenere una certa distanza, e pian piano col trascorrere di uno o due secoli si sono mischiati, anche se come nel caso degli U’wa sono riusciti a mantenere la propria distanza e i propri spazi”

Sulle diverse forme di costruzione della conoscenza e diversi linguaggi di comunicazione, Santos ci parla del linguaggio visuale e della scarsa importanza di questo come strumento didattico pedagogico nell’educazione formale.

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“In questi ultimi studi di dottorato, mi sono occupato di indagare altre forme di comunicazione, perché le nostre comunicazioni sono, per la maggior parte, discorsive, concettuali e lineari, quindi nella mia ricerca ho studiato altre forme di comunicazione, ad esempio: il linguaggio cinetico corporale, il linguaggio della danza, della mimesi, ma anche il linguaggio visuale, e su questo argomento c’è un’autrice nordamericana, Linda Darly Williams, che è pioniera in questo tema. Ci sono altri autori che hanno scritto sull’argomento, ma sempre seguendo la linea della Williams, per esempio l’autore di “Il mondo in un tovagliolo”, che spiega le strategie del linguaggio visuale.

Diciamo che è un campo ancora poco sviluppato e poco conosciuto dal punto di vista della didattica e della pedagogia, anche se grazie ad alcuni autori dedicati alla teoria di “Apprendere ad apprendere”, teorici del costruttivismo, la cultura visuale ha cominciato a prendere importanza, ma rimane ancora un aspetto marginale dell’educazione, quasi come un elemento esotico per la maggioranza degli educatori che non considerano che l’educazione visuale debba essere una parte integrante delle strategie del processo di apprendimento ma lo considerano soltanto una risorsa didattica.

Contrariamente, dice Santos, il linguaggio visuale è uno degli elementi fondamentali nella costruzione della conoscenza dei Popoli Originari, aspetto invece non considerato, come spiegato prima, dall’educazione “ufficiale”.

“Io penso che nella loro conoscenza ci sia un elemento forte : visuale e simbolico. Il loro pensiero è visuale e simbolico. Il problema del pensiero simbolico, a mio avviso, è che rappresenta un intreccio armonioso fra il livello “pre-concettuale” e il livello “concettuale”. Il pre-concettuale ha a che fare con l’esperienza, con il vissuto delle persone e l’esperienza del vissuto si esprime attraverso l’arte, l’architettura, cose che richiedono una elaborazione manuale e un livello di visualizzazione alto. Per esempio, las mochilas, (le borse indigene) sono una elaborazione che le artiste che le tessono hanno già introiettata in modo completo, hanno già un disegno nella mente, non è un’elaborazione per prove ed errori, come in un laboratorio, non funziona così. Quindi il loro pensiero è fortemente simbolico, è visuale.

In questa prospettiva, forse, l’educazione che noi offriamo attraverso le istituzioni scolarizzate, tende a intrappolare in un pensiero lineare e concettuale che è estraneo alla loro mentalità, al loro modo di apprendere.”

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Sulla possibile “struttura “ in grado di connettere i due pensieri, Santos ci parla dalla sua lunga esperienza come educatore negli scenari dell’educazione popolare, ma anche come accademico di una delle più prestigiose università della Colombia.

“Per me, la struttura che connette i due pensieri è fondamentalmente mitica. Perché uno dei problemi delle società moderne è che non riconoscono che sono terribilmente mitiche. Esiste il mito del progresso, il mito della bellezza, il mito dell’informatica, il mito della tecnica. Non si rendono conto che tutto questo è un mito. Un mito, nel senso che è una struttura che spiega tutte le altre strutture, ma non spiega se stessa. Un mito è una parola che spiega le altre realtà della vita. Spiega altre forme di conoscenza, ma non spiega se stessa, non è soggetta al principio di verificabilità. Quindi il “ponte” è riconoscere l’importanza del mito, anche perché poche culture non sono mitiche.”449

Tessitura della Grande “Mochila” della Saggezza U’wa al “Centro del Saber”. Giugno 2012

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Per la maggioranza dei Popoli la tessitura della Vita è rappresentata dalla tessitura della “Mochila ed è attraverso quesa tessitura che le donne hanno tramandato da generazione in generazione la loro Memoria., così il “Chipire” rappresenta l’inizio della trama della Vita.

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