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K’an bail K’anel

1.6 PEDAGOGIA DELLA VITA: LE DIMENSIONI DELLA SACRALITÀ

Non posso cominciare questo argomento senza fare riferimento agli scritti di Gregory Bateson, in cui ho trovato una guida per rivolgermi a quelle dimensioni che ho voluto chiamare, appunto, “gli spazi e le dimensioni della sacralità”.

Per cui, per entrare con autorevolezza scientifica in questo spazio, voglio chiedere aiuto a tutti gli studiosi che hanno riflettuto a lungo sulle importanti considerazioni che in merito ci ha lasciato questo studioso attraverso le sue memorie e i suoi insegnamenti, come concepito nel pensiero dei popoli nativi, dove la saggezza dei loro Avi venne trasmessa attraverso la tradizione orale e i sogni.

A tale proposito mi soffermerò per apprezzare la profondità di quanto riportato in uno dei paragrafi iniziali, del capitolo quarto: “La Salute, L’Etica, L’Estetica e il Sacro” parte della discussione tenuta da Bateson nell’ottobre 1979 a Dartington Hall, in Inghilterra.314

“D. Che cos’è l’estetica? Che cosa è il Sacro? Che cos’è la coscienza? Che relazione c’è tra essi? Secondo Lei la coscienza sarebbe molto importante, ma allo stesso tempo piuttosto infida perché compromette i nostri tentativi più validi di giungere all’estetica e al sacro.

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La traduzione è responsabilità di chi scrive

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GB: Secondo Lei io avrei affermato che la coscienza diviene distruttiva. Di sicuro non ho detto questo. Quello che ho detto, invece, è che la finalità cosciente diventa rapidamente distruttiva. La “finalità” è un concetto molto pericoloso. La coscienza non so. Sono stato attento a parlare della coscienza il meno possibile. Il problema della coscienza è che per sua natura essa si concentra. C’è quella cosa che viene chiamata “Schermo della coscienza” e per me questa è un’analogia quasi meccanica. Noi riceviamo i prodotti delle nostre attività mentali, le immagini, ma la creazione di queste immagini sta al di là di noi” (….)

“D: Sarebbe corretto dire che l’estetica è questo rapido sguardo unificante che ci rende consapevoli di quell’unità delle cose che non è la coscienza ?

GB: Giusto. È qui che voglio arrivare. Quel lampo che appare nella coscienza come un disturbo della coscienza, questa è la cosa di cui sto parlando” (…)

D: Che cosa è il Sacro?

GB: (…) I cattolici dicevano che il pane è il corpo e il vino è il sangue, e i protestanti sostenevano che il pane rappresenta il corpo e il vino rappresenta il sangue. A loro pareva che per questa differenza fosse ragionevole bruciare la gente e ragionevole farsi bruciare. Ma qual è il punto, insomma? Il punto è questo: Che per una parte della mente non c’è distinzione tra le due cose: “ rappresenta” ed “è” sono la stessa cosa. Ma la parte protestante, logica e lineare del cervello non può accettare questo. La parte del cervello che sogna, quella che nel complesso gli artisti usano di più, è perfettamente disposta ad accettare l’affermazione che “il pane è il corpo” e questa naturalmente è la parte della mente che appartiene davvero alla Chiesa. Ciò che il protestantesimo fece, in un certo senso, fu di escludere dalla Chiesa proprio la parte della mente che appartiene alla Chiesa a favore di una logica del buon senso e di un appassionato desiderio che tutto avesse un senso logico” (….)

“D: Vuol dire che rendendo tutto chiaro e logico e collegando tutto in modo lineare, abbiamo perduto la parte sacramentale del nostro essere?

GB: Non proprio. Abbiamo perduto una globalità dell’essere che comprenderebbe “questa” e insieme l’”altra” parte. Non voglio dire che il cervello della fantasia, il cervello del processo primario, sia quello sacramentale. Penso che il sacramentale venga danneggiato continuamente. Il danno è la separazione. La sacralità è l’unione. Il sacro è la connessione, la connessione totale, e non il prodotto della spaccatura”

Ritenendo quindi Sacra la relazione, è attraverso essa che possiamo capire il mondo e le forme in cui vengono organizzate le conoscenze dei popoli nativi, dove i Mondi delle

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percezioni si manifestano nell’insieme delle credenze inserite nel mondo del “reale”, supportate da un metalinguaggio che fa riferimento sia a la dimensione del tangibile che dell’intangibile.

Quindi, è attraverso le percezioni che la realtà viene percepita, per trasmetterla posteriormente, attraverso l’oralità, da cui la dimensione di Sacralità è un aspetto centrale. Ad esempio, già accennato nel capitolo primo il significato attribuito dal popolo U’wa alla Parola, dove essa venne considerata come un essere vivo con movimento proprio e alto potere, concepita nella loro lingua originale come “anima della gente”.

E’ comune in tutti i Popoli presi in considerazione, la consapevolezza che la realtà muti in base al tipo di recettore che venga usato in tale percezione : visuale, uditivo, tattile olfattivo o gustativo; dipendendo anche dalle forme della materia: dalla percezione dello spazio, del tempo e del movimento; tali percezioni possono essere volontarie o involontarie: è necessario capire le interconnessioni fra di esse, perché è proprio attraverso la loro connessione che ci ritroviamo nella dimensione del Sacro.

La forma superiore di percezione volontaria è l’osservazione, costituita da una percezione sistematica, premeditata e pianificata, attraverso la quale si ottiene l’informazione più ricca e precisa del mondo che ci circonda.

L’educazione dei sensi è sopratutto rivolta ad imparare a decidere bene attraverso di essi. Attraverso il suo sviluppo si costruiscono “aprendizajes” (modelli di apprendimento ) che segnano tutta la Vita.

Nel gravoso compito di “riportare ad occidente” tutto quanto ho trovato di profondo nell’intrecciare il pensiero dei popoli che mi hanno guidato in questo percorso faccio appello di nuovo al pensiero di Bateson.

“Ci sono moltissime cose che non capiamo a proposito dei danni che si accompagnano all’attacco contro il sacro; e ancor meno ne sappiamo su come riparare tali danni. Era più o meno questo l’oggetto del nostro lavoro sulla schizofrenia negli anni Cinquanta e Sessanta: la nozione di relazione315 tra la parte destra e la mente, la più astratta e inconscia e la parte sinistra, la più prosaica. Scoprimmo che il punto vulnerabile era la relazione e che quando veniva danneggiata, la relazione esigeva che il terapeuta capisse la natura del danno. Perciò se il terapeuta cerca di prendere un paziente, di assegnarli degli esercizi, di sottoporlo a propaganda, di farlo ritornare nel nostro mondo per i motivi sbagliati, insomma se cerca di manipolarlo, allora sorge un problema: la tentazione di confondere l’idea di manipolazione con l’idea di cura. Orbene, io non sono in grado di darvi le risposte giuste, anzi non so ve le darei

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neppure se le avessi, perché, vedete, darvi le risposte vere, conoscere le riposte vere, vuol sempre dire trasferirle al cervello sinistro, al lato manipolativo. E una volta che siano state trasferite, per quanto valore poetico ed estetico avessero prima, esse muoiono e diventano tecniche manipolative316”

Ho voluto riprendere questo paragrafo di Bateson perché è di quelli che mi hanno colpito. Da queste righe mi voglio spingere oltre.

Cerco di fare collegamento con alcuni dei passaggi ricavati dai “pensatorios” degli anziani saggi con cui ho parlato, fra cui Berito Cubaruwa, autorità spirituale e guida del popolo U’wa in Colombia. Con questo collegamento tento di ritrovare, nelle parole di Berito, risposte ad un interrogativo che mi assale da qualche tempo: “Cosa può, cosa deve, fare la pedagogia per prevenire questa “pazzia” planetaria che ha portato il mondo alle condizioni di barbarie, egoismo, e distruzione odierne ?”

A continuazione uno dei passaggi a mio avviso più significativi di questo anziano Maestro, ritenuto “analfabeta” nonostante la sua saggezza millenaria, in quanto non parla correttamente, non scrive e non legge la lingua castigliana:

“ La” problema del riowa317

è che pensa una cosa, sente una diversa di quella che ha pensato, ne dice un’altra ancora diversa e ne fa un’altra ancora più diversa di quanto ha detto prima. Questa è “la” problema della malattia. L’unica guarigione sta nella grande medicina dell’Universo, della Natura. Nel Territorio in qui viviamo che è tutt’uno insieme con il nostro Corpo. Il nostro Corpo è il Territorio e il Territorio è il nostro Corpo. È tutto un’insieme, l’uno dentro l’altro. Questa è la via della salute. Abbiamo bisogno di leggere la Costituzione Politica della Natura. Una legge naturale che sta scritta negli Alberi, nelle Montagne, nei Fiumi, nelle Pietre, nella Pioggia, nel Fuoco, nell’Aria, nella Terra, nel canto degli Uccelli e nell’anima degli Animali. Tutti loro parlano. Abbiamo bisogno del loro passaporto cosmico, del loro permesso per capire quali sono i punti dove sono segnati i limiti delle azioni umane”.318

Quando faccio riferimento alla parola “pensatorios”, l’ho già esplicitato precedentemente, voglio fare riferimento ad un processo di meta-riflessività usato dal popolo U’wa, durante i periodi di lungo digiuno e ringraziamenti alla Madre Terra, attraverso i quali si trasmettono nei canti la genesi del popolo U’wa e si riflette intorno alle problematiche politiche,

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Bateson, G. Una Sacra Unità, op, cit, pp. 403-404

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In lingua U’wa: uomo bianco, non indigena. (Traduzione letterale)

318 Passaggi dei lunghi “pensatorios” in territorio U’wa fra gli anni 2000 e 2006, nonché delle ultime riflessioni durante la

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economiche, sociali e culturali a cui devono dare risposte nel contesto sia nazionale che internazionale.

Attraverso la “lettera del popolo U’wa al mondo”, si può intravedere la profondità del pensiero di questo popolo, dove la Parola, ribadisco, com’essere vivente, ha una Forza a sé. Per quello i Riti e i processi di costruzione della conoscenza e le fase del apprendimento sono mediati dai canti.

Quindi è attraverso la Forza della Parola U’wa, che Berito, con le sue metafore in questo castigliano da “analfabeta”, intende farci capire che questa “disconnessione” fra il pensiero, il sentimento, le azioni e la Parola, sono la causa della malattia del mondo, della schizofrenia planetaria e dei vuoti esistenziali, di mancanza di felicità. Di quella felicità di cui ci parla Mariagrazia Contini in uno dei mie libri preferiti:319

“ L’esigenza di trascendere il perimetro della propria soggettività per incontrarsi intenzionalmente con l’altro da noi, è il filo conduttore di questo lavoro: può prefigurarsi senso o felicità nella chiusura solipsistica se essa impoverisce l’essere umano sottraendogli i connotati e le potenzialità più originari? (….)

Ma ora riprendo questo motivo per ricordare un personaggio che, sottolineandone l’importanza ai fini della felicità, nel Settecento, ha incoraggiato la mia ipotesi di studiare e riflettere sulla felicità eludendo i suoi più abituali e banali connotati edonistici e collocandola nel quadro della disponibilità all’incontro e alla relazione con l’altro.”320

Questo “altro” a cui fa riferimento il paragrafo sopra, nel pensiero dei Popoli nativi, include non soltanto i rapporti umani, ma anche i rapporti con gli altri esseri viventi e le entità spirituali che condividono lo stesso territorio.

In questo senso, le parole di Berito ci indicano inoltre, che la “via della salute”, “la via della felicità” è nella connessione del nostro Corpo, la nostra Mente e il nostro Spirito, con il Territorio. Il Territorio nel pensiero dei popoli indigeni fa riferimento all’insieme di esseri viventi ed entità spirituali con le quali conviviamo in uno Spazio /Tempo, dove i Mondi: Quello di sopra, quello di sotto, quello del mezzo e quello di dietro, già indicati nel primo capitolo, si connettono per creare con la loro relazione l’armonia o quello che nel loro pensiero hanno chiamato il “Kajkrasa Ruyina” o il “Sumak Kawsay” del popolo Quechwa in Bolivia o il “Lekil Kuxlejal” del popolo tsotsli, ovvero: “Il Buen Vivir”, nel senso di quella pienezza, di quella “felicità” che si persegue come orizzonte di senso.

319 Contini, M.G., “Figure di felicità Orizzonti di senso. Nuova Italia. Milano 2004. 320

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“Lo scenario culturale del nostre tempo registra una pluralità di proposte esistenziali. Alcune, improntate a diversi tipi di conformismo, permettono di eludere la “fatica” della progettualità e del costruire, indicando un percorso scandito da passività e adeguamento; altre, all’insegna del consumismo, promettono piacere, agio, successo: il tutto “offerto in vendita” come bene di consumo. Non si parla, invece, della felicità, decretandone così l’azzeramento e la rimozione da una cultura che nel contempo esprime i sintomi del suo disagio, per tale mancanza, nell’angoscia di tanti – giovani e giovanissimi in particolare – e nell’abissale “vuoto di senso” che incombe sulla loro esistenza. Dunque, c’è un nesso tra felicità e senso: e se si manifesta nello spazio della loro assenza, può accentuarsi in quello della tensione, progettuale e costruttiva, al loro realizzarsi. Educare a questa tensione equivale a proporre un impegno esistenziale - nel mondo, nel tempo, con gli altri – che, grazie alla sua ricerca di significato possa condurre a scoprire il valore più autentico della felicità.”321

Municipio di Oxchuc- Chiapas-Messico- 2011322

321 Ivi. Quarto di copertina

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Per proseguire, o meglio per ritornare da dove non mi sono ancora spostata, riprendo di nuovo il pensiero di Bateson:

“D: Fra tutte le parole che sono state dette mi sono completamente smarrito. Mi sembra quasi che abbiamo perduto di vista ciò di cui stavamo parlando.

GB: Bisogna parlarne con molta cautela. Sono convinto che parlandone malamente si possa perdere di vista qualsiasi cosa. Non è facile parlare bene delle cose. In genere ci hanno insegnato a parlar molto male. L’educazione scolastica che tutti abbiamo ricevuto è proprio mostruosa. In effetti risale a Locke e a Newton e a Cartesio e al dualismo. Non è un caso, ed è un accostamento molto curioso, che intorno al 1630 lo stesso Cartesio abbia creato tre degli strumenti importanti del pensiero contemporaneo. Primo, la separazione tra mente e materia. Secondo, le coordinate cartesiana, il diagramma: si mette il tempo in basso e si rappresenta una variabile. Terzo, il cogito: “penso dunque sono”. Queste tre cose procedono insieme e hanno semplicemente mandato in frantumi il concetto dell’universo in cui viviamo.”323

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Donna Kogui con la grande “Mochila” della Vita324

“Tutto nella Vita dei Kogui è in funzione del sapere. Questo sapere consta di una detagliata conoscenza della religione, dei miti, delle tradizioni e genealogia. Tutti sono tenuti ad acquisire queste conoscenze.”325

324 Foto dell’autrice

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