• Non ci sono risultati.

I modelli regolativi del welfare e le tecnologie della governance: l’equilibrio tra risorse come elemento chiave della partnership.

LE PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATO NELLE POLITICHE SOCIALI COME RELAZIONI TRA AGENTI CORPORAT

3.1. I modelli regolativi del welfare e le tecnologie della governance: l’equilibrio tra risorse come elemento chiave della partnership.

Il secondo capitolo ha mostrato come uno dei temi centrali della storia morfogenetica delle politiche sociali italiane sia la modalità regolativa con cui hanno preso forma i rapporti tra pubblico e privato nel sistema di welfare. Proprio a partire da questo tema, mi sono interessato alle partnership, che sono solo uno dei tanti modi con cui tali attori si possono relazionare. Prima di procedere ad una illustrazione approfondita delle concettualizzazione delle social partnership, intendo legare la regolazione delle politiche sociali con la creazione di strumenti per la governance del welfare. Lo farò a partire da una ripresa delle forme storiche e teoriche attraverso cui ciò è avvenuto.

Nello sviluppo del sistema universalistico beveridgiano, l’azione della filantropia privata e del volontariato era destinata a provvedere al surplus di servizi a favore degli individui e delle famiglie rispetto al minimum vitale garantito dallo Stato. Nella concezione di Beveridge e poi nelle realizzazioni inglesi e scandinave del secondo dopo guerra c’era una netta distinzione dei ruoli tra settore pubblico e privato: al primo competeva la sicurezza sociale della cittadinanza, secondo principi universalistici, al secondo spettava la creazione di servizi innovativi e la soddisfazione del benessere “superfluo”. Anche i canali di finanziamento dovevano rimanere separati: lo Stato poteva finanziare le attività private, ma queste dovevano mantenere un’indipendenza economica. Il sistema si configurava come una forma piramidale (figura 16), la cui base universalistica garantiva il minimo vitale attraverso l’azione pubblica, mentre al secondo e terzo

livello stavano gli interventi sociali spontanei. In questo sistema era ancora chiaro l’obiettivo e la priorità dell’intervento: i diritti sociali esigibili, infatti, erano pochi e precisi e a questi rispondeva lo Stato.

Figura 16 – Regolazione della fase pionieristica

Figura 17– Regolazione della fase espansiva

Già con la svolta istituzionale di Titmuss, la filantropia privata assume un ruolo più importante, potremmo dire complementare rispetto a quello statale: l’intervento pubblico doveva essere sostenuto dalla solidarietà dei cittadini. L’universalismo si espandeva e aveva bisogno di una base di legittimazione ampia, alimentata dal senso civico dei privati. Al settore non di profitto veniva, così, riconosciuto un ruolo di supplemento e di legittimazione dell’azione dello Stato. Il privato iniziava ad entrare nella regolazione pubblica, che così

! Minimum Innovazione Benessere Mercato Terzo settore Stato/Enti Locali Regolazione ed intervento universalistici ! ! Intervento Terzo settore Intervento Filantropia privata Intervento pubblico MINIMUM legittimazione Regolazione universalistica pubblica

! 165

intraprendeva l’integrazione del Terzo settore (figura 17). Per concentrarci sul sistema italiano, la figura 17 andrebbe in realtà modificata: la legittimazione dell’intervento statale non deriva, infatti, dall’azione del Terzo settore, piuttosto essa – come abbiamo visto - era indiretta; la Chiesa e il sistema partitico erano gli intermediari del Terzo settore presso lo Stato. La legittimazione cui ricorreva il sistema italiano di welfare era clientelare e gestita da Chiesa e partiti.

Alla fase espansiva a guida pubblica che giunse sino alla fine degli anni Settanta, seguì la crisi del welfare state e il tentativo neoliberale degli anni Ottanta. Il modello puro di quelle teorie non prevedeva una forma regolativa specifica, ma ha orientato la svolta verso il welfare mix degli anni Novanta. Come ha sottolineato Ranci (1999a), il welfare mix ha tre aspetti su cui concentrare l’attenzione per ciò che concerne la regolazione delle politiche sociali: lo scambio di risorse tra pubblico e privato; la divisione delle responsabilità nella fornitura di servizi e il rapporto tra settori nei processi decisionali. Lo scambio di risorse avviene sotto forma di convenzioni o contratti, in una logica unidirezionale (dallo Stato al Terzo settore): proprio l’aumento dell’interdipendenza nata dallo scambio di risorse fa si che aumenti la propensione del Terzo settore a cercare protezione nello Stato. In questo modello il minimo vitale è ancora assicurato dallo Stato, ma laddove questi fallisce o non interviene allora agisce in modo complementare e sussidiario il Terzo settore o il mercato. La figura 18 mostra un’idea di intervento a macchia di leopardo: come abbiamo visto nel secondo capitolo le “macchie del leopardo” diventano sempre più intense sino a raggiungere nella produzione dei servizi alla persona più della metà della fornitura.

Figura 18 – Regolazione primo welfare mix

! Intervento pubblico MINIMUM Regolazione universalistica pubblica Intervento sussidiario del Terzo settore Intervento contrattuale del mercato

Alle soglie degli anni Duemila la regolazione del welfare italiano (così come di quello europeo) si sviluppa nuovamente: le forme di accreditamento nate a livello regionale, le nuove regole per il contracting out tra enti locali e organizzazioni del privato sociale e il ruolo più incisivo del mercato portano a una parificazione dei ruoli pubblici e privati sia nella fornitura sia nella progettazione dei servizi. La regolazione diviene così un mix di forme in cui viene separato il finanziamento dalla fornitura di servizi tramite o la competizione (quasi-mercati) o la collaborazione (partnership) (Enjolras 2009). Altro dato non scontato è il cambiamento di paradigma: l’universalismo diviene sempre di più selettivo e come tale non è più un universalismo ex ante. Il sistema può garantire alcuni diritti sociali (non tutti) sulla base delle risorse (scarse) a cui può attingere. Il minimo vitale che corrispondeva alla garanzia universalistica dei diritti diviene variabile. La mancata definizione dei livelli minimi di prestazione in Italia è il segno di questa svolta. L’ultimo ancoraggio rimasto è la logica dell’equità, non tanto per via redistributiva, quanto per via di tassazione diretta.

Figura 19 – Regolazione nel secondo welfare mix

Nel sistema regolativo del secondo welfare mix sono compresenti dinamiche diverse, in cui sovrapposizione ed integrazioni sono costanti. In esso si intrecciano potere e autorità – mezzi tipici della regolazione pubblica gerarchica – scambio e negoziazione – mezzi tipici di regolazioni pubbliche-private a rete – opportunismo e concorrenza – mezzi della regolazione mercantile. Proprio la presenza di almeno tre forme regolative tende ad erodere il potere autoritativo pubblico: ciò è avvenuto in Italia negli ultimi dieci anni, sia per fattori esogeni

! Quasi – Mercato Partnership MINIMUM Regolazione equitativa pubblica Regolazione pubblica-privata Regolazione pubblica-privata

! 167

(crisi economica, vincoli di bilancio, fattori culturali) sia per fattori endogeni al sistema di welfare, primo tra tutte la complessità del sistema stesso e la sua discrepanza con le tecnologie di governo (Bertin e Fazzi 2010).

Se accettiamo il fatto che le “tecnologie della governance” rimangano all’interno di un quadro complessivo come quello della regolazione equitativa pubblica degli anni Duemila, allora restiamo all’interno del paradigma della sussidiarietà rovesciata: la società civile, il privato sociale, le organizzazioni del Terzo settore, le imprese sociali intervengono sollecitati dalle regole pubbliche in sostituzione del ruolo statale. Questo quadro, però, è in disfacimento per dinamiche proprie, reali e concrete, non solo per preferenze culturali dei sistemi scientifici o politici. La domanda da porsi è: le forme di governo del welfare mix finora sperimentate verso quale regolazione stanno andando? Quali problemi e quali risorse attivano? Possono essere una buona soluzione alle esigenze attuali?

Come mostrato da Enjolras (2009), le due forme di governance delle politiche assistenziali emergenti in Europa si fondano su meccanismi o market-based o partnership-based. I primi sono sistemi competitivi, la cui regolazione avviene tramite incentivi. Per prevenire i fallimenti tipici dei mercati, come l’asimmetria informativa, lo Stato promuove l’uso di meccanismi correttivi, come l’accreditamento, la competizione sui prezzi, i voucher e la programmazione territoriale. Lo scopo è aumentare l’efficienza dei servizi e la responsabilità nella fornitura. Il meccanismo regolativo è essenzialmente dato dallo Stato, che utilizza criteri economici-mercantili (e solo in parte sociali) per produrre servizi, e dalla concorrenza tra soggetti privati per conquistare gli utenti. I secondi sono sistemi di co-regolazione, co-guida, co-produzione e gestione cooperativa. Le nuove forme di governance basate sulle partnership privilegiano joined-up solutions a problemi complessi. Su questa scia è possibile, quindi, che i meccanismi di regolazione siano integrati in un mix di pubblico e privato, prefigurando una forma di governanze ibrida (Bertin e Fazzi 2010). Essa si caratterizza per la compresenza di tre logiche:

• la prima è gerarchica-autoritativa: le relazioni si basano su una dinamica coercitiva. «Ciò che consente di avere una coerenza fra decisione (di pochi) e azione (di molti) è dato dall’esercizio del potere» (Ibidem, 24). Quindi i mezzi

più utilizzati sono quelli del controllo e della sanzione. Può una tale logica venire a patti con altre? Nella situazione odierna delle politiche sociali sempre più la crisi di legittimazione del pubblico, dovuta alle cause esplicate nel secondo capitolo, induce ad una uscita dal circolo vizioso “meno autorevolezza, più sanzioni” per ricercare forme collaborative di risoluzione dei problemi complessi.

• La seconda logica è fiduciaria-competitiva: nel mercato le relazioni si basano sulla realizzazione del proprio interesse (self-interest), anche in collegamento con il we-interest. «Nel confronto dei sistemi di preferenza gli attori entrano in concorrenza tra loro, ma operano anche per costruire delle coalizioni che favoriscano la realizzazione delle proprie preferenze» (Ibidem, 25). Questa logica è compatibile con altre? La risposta può essere positiva se si riescono a creare condizioni affinché la prevedibilità o l’affidabilità dei comportamenti sia garantita. Proprio la fiducia è la chiave di volta del governo delle dinamiche del mercato in sistemi complessi.

• La terza logica è reticolare-reciprocitaria: nelle reti le relazioni si basano sullo scambio di opportunità al fine di realizzare finalità proprie e comuni. La regolazione «si fonda sull’intensità delle relazioni (dimensione strutturale dei processi di rete) e sulla condivisione dei linguaggi, dei valori e delle strutture cognitive degli attori» (Ibidem). Come si può garantire che tale logica cammini parallela alle altre? La risposta sta nella profondità della relazione avviata. Le negoziazioni tra partner non possono rimanere ad un livello superficiale, ma devono strutturare un’identità comune se si vuole armonizzare la creazione di capitale sociale sia per/de gli attori sia per/de la rete.

La governance ibrida delle politiche socio-assistenziali vive di un equilibrio costante tra queste tre risorse: autorità, fiducia e capitale sociale. In questo senso, le partnership sono una delle possibili tecnologie della governance ibrida, il cui obiettivo è l’integrazione di meccanismi diversi di regolazione nel momento stesso in cui produce servizi sociali innovativi. Come esplicitato in figura 20, i problemi sono immediatamente visibili: l’equilibrio di risorse tra attori con logiche di regolazione difformi è precario. La logica gerarchica-autoritativa può eccedere nel burocratismo e nel “consumo” dell’autorità: quando «le dinamiche

! 169

degli attori non sono caratterizzate da legami di potere di natura posizionale, la legittimazione degli attori non è un dato predefinito, ma dipende dallo scambio materiale e/o simbolico che si sviluppa fra gli attori e, in ultima istanza, dai processi di “identificazione” e di comunicazione (confronto dei codici e delle mappe cognitive degli attori) che connettono gli attori sociali» (Bertin 2009, 7).

Figura 20 – Le risorse della governance ibrida (elaborazione da Bertin e Fazzi 2010, 26).

Quando le relazioni non sono più orientate sulla base della posizione gerarchica, l’autorità ha costantemente bisogno di nuova legittimazione ed entra in un circuito overlapping. La scarsa legittimazione richiede nuove risorse

! EQUILIBRIO TRA LE RISORSE AUTORITA’ FIDUCIA CAPITALE SOCIALE Problema: BUROCRATISMO Problema: CORPORATIVISMO Problema: OPPORTUNISMO Contratto Identità organizzativa Costi di concertazione

autoritative per ri-legittimarsi, il che infrange la possibilità di nuove relazioni basate su scambi generalizzati e fiduciari, il che richiede ancora più autorità. Nel secondo paragrafo analizzerò il contributo dei teorici inglesi che hanno studiato le partnership proprio a partire da un nuovo modello di autorità e di coordinamento tra attori.

La logica fiduciaria-competitiva può eccedere nell’opportunismo, il self- interest prevalere sul we-interest. L’assenza di una principio regolatore della competizione che sanzioni il comportamento opportunistico può ingenerare un circolo vizioso in cui l’equilibrio tra interesse singolo e comune salta. Quando anche una singola organizzazione intraprende un comportamento opportunistico, i partner leggono la situazione come una rottura del patto originario e si possono sganciare dalla cooperazione per inseguire il proprio interesse. A questo punto è importante avere meccanismi di exit o di voice che impediscano alla partnership di deflagrare. Nel terzo paragrafo presenterò l’apporto degli studi italiani sulla partnership come arena politica in cui intervengono strumenti di controllo della fiducia, come i costi di concertazione.

La logica reticolare-reciprocitaria corre il rischio di sfociare nel corporativismo. Nel momento in cui si rompe l’equilibrio sul lato della rete, allora si possono formare coalizioni tra gruppi di interesse che perseguono solo i propri obiettivi in una logica di scambio con l’autorità. Il particolarismo si ripropone come protezione della propria cerchia sociale. Nel quarto paragrafo illustro la posizione relazionale sulle partnership che le intende come costruzione di un identità organizzativa nuova e comune, anche come antidoto al particolarismo.

Come uscire dai circoli viziosi illustrati? È possibile per le partnership trovare un equilibrio tra le risorse dell’autorità, della fiducia e del capitale sociale? Quali sono i meccanismi che “salvano” l’equilibrio? Nei prossimi paragrafi cercherò di dare una risposta a queste domande. Lo farò congiungendo questa ricerca con il tentativo di concettualizzare il termine partnership e mostrando i diversi punti di vista su questa tecnologia di governance.

! 171

3.2. Le partnership come forme sistemiche di governance: il mezzo dei