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Sinora è possibile notare che Archer ha solamente modellizzato il comportamento degli agenti, come sostenitori statici di teorie o come istigatori marginali del cambiamento strutturale. Eppure abbiamo accennato al rimando personalista della teoria morfogenetica: essa coglie, cioè, la necessità di reintrodurre le persone nel processo di cambiamento sociale. Per fare questo Archer critica sia le tendenze ipersocializzate sia quelle iposocializzate. Ad esse contrappone un modello delle persone composto da tre strati:

• individualità o continuità del senso del sé: il personalismo realista si fonda sulla difesa del senso continuo del sé. L’idea che la persona sia cosciente della propria persistenza e del proprio progresso nel tempo significa presentare la continuità della coscienza come una parte di ciò che Archer chiama “identità personale”. Questa difesa si basa su un’argomentazione trascendentale e una realista. La prima implica il mantenimento della cruciale «distinzione tra il mutevole senso del sé (che è effettivamente sociale) e l’universale senso del sé

(che non lo è) […] perché le persone facciano proprie delle aspettative sociali è necessario che esse abbiano un senso del sé continuo su cui queste possano poggiare» (Ibidem, 146). L’argomentazione realista viene articolata da Archer nelle ricerche sulle premure fondamentali e sulla riflessività: il senso continuo del sé è indispensabile per praticare in modo costante il dialogo interiore e la riflessività.

• agenti sociali: uno degli aspetti del vivere nel mondo è l’essere un agente. Per Archer, gli agenti sociali sono definiti come collettività che condividono le stesse possibilità di vita. Non esiste quindi l’agente sociale al singolare, ma solo al plurale. Inoltre l’agente è, sì, colui che compie azioni e ha/è relazioni, ma soprattutto è agente di qualcosa. Essendo la prospettiva archeriana sempre e costantemente radicata nella situazione, l’agente è agente del sistema socioculturale in cui è nato e allo stesso tempo è agente delle caratteristiche sistemiche che si impegna a trasformare. Eppure l’appartenere ad una collettività agente non esaurisce ciò che intendiamo come persona: ognuno di noi è un agente sociale per alcune attività, ma molte delle sue azioni non rientrano in questa categoria. L’agente sociale, quindi, non esaurisce la nostra umanità, eppure è reale e come tale da studiare.

• attore sociale: uno degli aspetti della vita in società è lo scegliere di adottare un ruolo. La persona che si impegna in un ruolo sociale diviene attore sociale. Le relazioni che si hanno a livello di agenti sociali influenzeranno (non determineranno) come si occuperà un ruolo. «Gli interessi iniziali di cui gli agenti sono dotati, attraverso le loro possibilità di vita, costituiscono il meccanismo su cui operano le ragioni (altrimenti dette costrizioni e abilitazioni) per i diversi corsi di azione» (Archer 1997, 314).

Figura 4 – La relazione tra agente sociale e attore

Per Archer, noi viviamo, o meglio impersonifichiamo, il ruolo secondo due criteri: il nostro essere agenti sociali e le nostre premure fondamentali, ossia ciò che più ci sta a cuore. La morfogenesi che, in quanto cambiamento sociale, porta

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alla ridefinizione degli agenti sociali costituisce un motore che genera nuovi ruoli (figura 4). «L’agire crea più spazio per l’attore» (Ibidem, 316).

Nel processo di morfogenesi la parte più coinvolta è sicuramente quella degli agenti sociali. Soprattutto se teniamo in considerazione la distinzione tra agenti corporativi e agenti primari. Gli agenti corporativi o gruppi d’interesse organizzati hanno due caratteristiche centrali: l’articolazione degli obiettivi e l’organizzazione. Essi comprendono gruppi con interessi acquisiti, gruppi d’interesse promozionali, movimenti sociali e associazioni di difesa. Agli agenti primari, invece, mancano proprio le componenti di articolazione e organizzazione: essi non intervengono nel processo di formazione di struttura e cultura e non perseguono in maniera organizzata un interesse, eppure l’aggregazione di molteplici agenti primati può generare potenti effetti aggregati. Per Archer, gli agenti primari partecipano ad un dato contesto istituzionali secondo tre possibili (e ascendenti) azioni: azione atomistica, co-azione e interazione associativa. Per spiegarci utilizziamo un esempio. Gli anziani nella storia delle politiche sociali sono un agente primario finché non organizzano la loro rappresentanza tramite sindacati, centri sociali, varie associazioni, e finché non articolano le loro idee in modo sistematico, congruente e propositivo: così facendo perseguono degli interessi (pensioni, trattamenti sanitari, abitazioni, tempo libero, etc.) e diventano una collettività con un ruolo nel contesto pubblico.

Sia gli agenti primari che quelli corporativi condividono una base comune: «Come strato emergente, l’agire ha poteri propri […] Le sue potenzialità tipiche sono la capacità di articolare interessi condivisi, di organizzarsi per l’azione collettiva, di generare movimenti sociali e di esercitare influenza corporativa sulle decisioni» (Ibidem, 293). Se ciò sembra essere scontato per gli agenti corporativi, non così lo è per gli agenti primari: eppure basta considerare che essi sono capaci di attività (sono agenti potenzialmente attivi), ma questa capacità è solo potenziale e che solo l’effetto aggregato delle loro azioni (che non possono essere definite strategiche) può essere misurato. Anche se partono da una situazione di passività, gli agenti primari possono attivarsi, costituendosi per esempio come gruppi organizzati o come movimenti sociali. Per Archer l’agire corporativo è sicuramente la forma più importante, perché più incidente, nella sequenza

morfogenetica. L’incidenza dell’agire corporativo è legata, soprattutto, all’azione di cambiamento che i gruppi d’interesse compiono sul contesto in cui si trovano gli attori. L’agire corporativo modella il contesto ad esso esterno e in cui vivono gli attori. «L’agire primario vive in questo contesto, ma nel rispondervi esso modifica anche l’ambiente che l’agire corporativo cerca di controllare. Il primo libera una serie di problemi e pressioni ambientali aggregate che influiscono sul raggiungimento degli interessi promossi dal secondo. L’agire corporativo si trova così di fronte a due compiti: il raggiungimento dei propri fini autodichiarati, che sono stati definiti nel contesto sociale precedente, e il loro perseguimento continuato in un ambiente modificato dalla risposta dell’agire primario al contesto che essi si trovano di fronte» (Ibidem, 294).

Figura 5 – Agire corporativo e primario nella sequenza morfogenetica (Archer 1997, 298)

Dopo aver presentato il tentativo archeriano di stratificare le persone per descriverne l’apporto nel processo di mutamento sociale, cerchiamo ora di rispondere alla domanda: qual è la connessione tra l’agire degli agenti e a morfogenesi?11 La risposta prevede tre passaggi (figura 5): l’inserimento dei gruppi nel contesto ambientale-situazionale in cui vivono, che presuppone il loro condizionamento socioculturale; la loro interazione, che è il momento centrale in cui avviene il tentativo di conservare o di trasformare il sistema sociale12; ed !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

11 In questo paragrafo non si parlerà dell’elaborazione finale tra struttura-cultura-agire, piuttosto si pone l’accento sulla dinamica interna ai gruppi e al loro cambiamento interno in relazione all’ambiente esterno.

12 «Dunque, nella prospettiva morfogenetica l’agire sociale è incorporato nell’interazione e quindi in un ultima istanza è una proprietà relazionale delle persone. Ciò comporta relazioni con il contesto socio-culturale precedente (che effettuano il pre-raggruppamento) e successive interazioni con altri (che effettuano il ri-raggruppamento)» (Archer 2008, 152).

Condizionamento socioculturale dei gruppi T1 (Agire corporativo e agire primario)

Interazioni dei gruppi

T2 (Tra agenti corporativi e agenti primari) T3 Elaborazione dei gruppi

(Aumento del numero degli agenti

corporativi) T4

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infine, l’elaborazione dei gruppi come esito morfogenetico, che può portare ad un assottigliamento degli agenti primari e ad un aumento del numero degli agenti corporativi (si veda la figura 6). Per ogni fase della sequenza morfogenetica si possono rintracciare alcune caratteristiche di base (Ibidem, 299). Al tempo T1: 1. Gli agenti non sono tutti uguali: le distribuzioni iniziali delle proprietà

strutturali e culturali delineano gli agenti corporativi e li distinguono dagli agenti primari all’inizio di ogni ciclo.

2. Gli agenti corporativi mantengono o rimodellano il sistema socio-culturale e le sue parti istituzionali: gli agenti primari operano all’interno dell’uno e delle altri.

3. Non tutti gli agenti sono ugualmente dotati di conoscenze, per via degli effetti che l’interazione precedente ha su di essi.

Nell’interazione tra i gruppi, nel tempo T2-T3:

4. Tutto il mutamento è mediato attraverso alterazioni nelle situazioni degli agenti: gli agenti corporativi alterano il contesto in cui vivono gli agenti primari e gli agenti primari alterano l’ambiente in cui operano gli agenti corporativi.

5. Le categorie degli agenti corporativi e primari vengono ridefinite nel tempo attraverso l’interazione finalizzata al perseguimento della stabilità o del mutamento sociale.

6. Le azioni degli agenti corporativi e primari si limitano e si abilitano reciprocamente.

7. Le azioni degli agenti primari costituiscono una reazione atomistica, una co- azione non coordinata o un’interazione associativa, a seconda del grado di partecipazione entro un dato contesto istituzionale.

Nell’elaborazione dei gruppi, al tempo T4:

8. L’interazione degli agenti corporativi genera proprietà emergenti: le azioni degli agenti primari producono effetti aggregati.

9. L’elaborazione dell’agire sociale (a livello societario o settoriale) consiste nell’assottigliamento della categoria degli agenti primari, che vengono incorporati o trasformati in agenti corporativi, aumentando così la consistenza di quest’ultima categoria.

10. Il mutamento sociale è il risultato degli effetti aggregati prodotti dagli agenti primari insieme alle proprietà emergenti generate dagli agenti corporativi e pertanto non è simile a ciò che i singoli vorrebbero.

Figura 6 – L’elaborazione dell’agire sociale (rielaborazione da Archer 2008, 153)

L’elaborazione dell’agire ha, quindi, due conseguenze:

• la prima è la doppia morfogenesi: il tentativo di cambiare la società trasforma nello stesso tempo e con la stessa azione anche l’ambiente in cui gli agenti agiscono; «poiché il processo con le cui le persone determinano la trasformazione della società è responsabile alla stesso tempo della trasformazione sistematica dell’agire» (Ibidem, 285);

• la seconda è il possibile assottigliamento degli agenti primari: nel tempo gli agenti primari vengono ad accoppiarsi strategicamente con gruppi già esistenti oppure possono dare vita a nuovi agenti corporativi (si veda figura 6), secondo uno schema che divide i gruppi promotori di interesse (materiale o ideale) dai gruppi di partecipazione (promozionale o difensiva).

Come abbiamo visto il processo di morfogenesi dell’agire è composto di tre periodi:

Gruppi con interessi acquisiti Agenti Primari

Partecipanti

Gruppi promotori di interessi

Movimenti sociali Associazioni promozionali difensive

Gruppi d’interessi Gruppi d’interessi materiale ideali

Nuovi agenti corporati Agenti primari residuali

T E M P O

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• La prima e la seconda fase sono connesse da legami condizionali, che Archer chiama interessi acquisiti. Gli agenti al tempo T1 vengono raggruppati in base alle loro possibilità di vita, seguendo la distribuzione delle risorse13. Questo è ciò che Archer chiama potere negoziale potenziale. Il potere negoziale influenza l’interazione: più la distribuzione delle risorse è concentrata, minore sarà il numero di gruppi che sono in grado di porre in atto una strategia per il cambiamento sociale; minore è il numero dei gruppi, più ci sarà differenza di opportunità tra le élite e le masse. Possiamo, così, formulare tre proposizioni (Ibidem, 338):

o Gli agenti che hanno scarso accesso a tutte le risorse saranno nella posizione negoziale più debole;

o Gli agenti con accesso diversificato alle varie risorse saranno in una posizione negoziale più forte;

o Gli agenti che hanno ampio accesso a tutte le risorse saranno nella posizione negoziale migliore.

• Parallelamente, la seconda fase è legata alla terza dal meccanismo connettivo dello scambio e del potere, intesi non come mezzi generalizzati di interscambio ma come proprietà relazionali. Archer chiama lo scambio e il potere forze negoziali. L’effetto del potere negoziale di primo ordine è quello di definire chi può portare quali e quale quantità di risorse nella promozione dei propri interessi. L’effetto delle forze negoziali di secondo ordine è quello di definire quali e che tipo di relazioni si instaurano tra gli agenti corporativi. Se al tempo T1 le PES e le PEC limitano gli interessi dei gruppi, e li dividono in agenti primari e corporativi, al tempo T2 è la doppia morfogenesi che fa emergere nuovi agenti corporativi e nuove relazioni tra di essi, ossia fa emergere le PEP. Nell’interazione tra gruppi avviene uno scambio di risorse che porta all’elaborazione: il gruppo A può rendere totalmente dipendente dalle proprie risorse un gruppo B (o viceversa), oppure ci può essere una situazione di condivisione di risorse tra i due gruppi. La prima interazione è tipica del potere, la seconda dello scambio.

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