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Le partnership in ottica sussidiaria: la norma integrativa della riflessività.

LE PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATO NELLE POLITICHE SOCIALI COME RELAZIONI TRA AGENTI CORPORAT

3.5. Le partnership in ottica sussidiaria: la norma integrativa della riflessività.

Dopo aver analizzato il contesto in cui si stanno svolgendo le partnership (par. 1), aver descritto tre approcci al tema (par. 2, 3 e 4), provo a ordinare alcune idee, partendo dai diversi punti di vista che ho scelto per descrivere e concettualizzare le PPP.

Le partnership come tecnologia di governance. Il tema della regolazione dei rapporti pubblico-privato nel sistema di welfare è un fattore fondamentale dell’attuale (possibile) svolta morfogenetica: proprio per la commistione tra logiche di azione e di regol-azione diverse è nato il tema scientifico della governance. Qui la governance è intesa come la «creazione di strutture cognitive e connettive che consentono processi di governo basati sull’interazione e sulla negoziazione fra gli attori sociali» (Bertin e Fazzi 2010, 19). Persa la sola centralità delle logiche autoritative del government, si sta vivendo una lunga fase di passaggio: dal government alla governance, dal welfare state al welfare mix al welfare societario. All’interno del macro-cappello concettuale della governance stanno diversi strumenti operativi: la partnership, il piano strategico di comunità, il contracting out, i voucher, la partecipazione, i sistemi informativi, la valutazione (Bertin e Fazzi 2010). Le partnership, quindi, sono una tecnologia di governance. Ciò è particolarmente utile nel campo della politica sociale: se, infatti, intendiamo la politica sociale come la forma processuale della riflessività politica (si veda il secondo capitolo), allora la partnership come strumento di una governance ibrida può essere concettualizzata come una struttura cognitiva e

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connettiva, che ha nella riflessività, ossia nella reintroduzione in se stessa degli esiti delle proprie azioni, la propria norma di azione.

Per una definizione comune di partnership. Le partnership nel settore dei servizi alla persona prendono il nome di social partnership (Osborne 2000; Powell e Geoghegan 2004; Nelson e Zadek 2003), identificando un’equa collaborazione e cooperazione tra terzo settore, ente pubblico, aziende di mercato. Una collaborazione-cooperazione basata sulla mutua relazionalità, stabilita volontariamente, nella quale le risorse, le capacità, i rischi e le ricompense sono condivisi. Lo scopo della partnership è produrre un progetto multi-dimensionale, che sia comune ed esplicitato formalmente, e che non sarebbe stato possibile mettere in campo dalle singole entità. Un progetto rivolto all’utilità pubblica, ma che tocca anche i benefici di ogni singolo ente.

Seguendo questa definizione le partnership debbono essere distinte: dalle reti, che il più delle volte rimangono a livello informale e non presuppongono che si mettano in gioco le identità organizzative; dalle forme di relazione principale- agente, come le esternalizzazioni, in cui si assiste ad una logica essenzialmente gerarchica-autoritativa; dalla concertazione, la cui tendenza è un accordo di interessi divergenti-convergenti che non implica la retro-azione sull’identità organizzativa.

Seguirò, qui, la teorizzazione di Boccacin (2009) che individua tre tipologie di social partnership: la only structural partnership, che ha un elevato rischio di conflazione verso l’alto e rimane bloccata dalla burocratizzazione; l’apparent partnership”, che è sottoposta a conflazione centrale, creando solo rituali e scarsa efficacia; la generative relational partnership, che può generare e rigenerare il legame sociale, essendo capace di connettere diverse entità che provengono da sfere culturali e simboliche differenti. Nella figura 24, seguendo le potenzialità dello schema Agil riletto in chiave relazionale44, si può trovare una prima idea di come concettualizzare le partnership sociali aventi natura generativa:

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44 Lo schema AGIL si compone di quattro tipi categoriali Adaptation-GoalAttainment-Integration-

Latency, la cui importanza è data dalla distinzione/legame che li connette e li produce. La riflessione sullo schema AGIL come bussola orientativa per la ricerca si trova al capitolo IV di Donati (2009a).

A) Strumenti e risorse in un’ottica multidimensionale: le partnership utilizzano mezzi provenienti da più organizzazioni, sfruttando non solo il lato economico, ma tutta una serie di know-how che diventano parte di un reciproco apprendimento istituzionale. Ogni attore porta in dote alla partnership le proprie peculiarità: la visione strategica, l’attenzione particolare ai bisogni, il ciclo economico.

G) Definizione degli scopi situati come creazione di nuovo capitale sociale tramite la realizzazione del progetto condiviso: il fine concreto di una partnership sociale è la creazione di un servizio alla persona che accordi due prospettive. Da una parte, i servizi dopo-moderni funzionano solo se creano dinamiche relazionali che ingenerano fiducia, solidarietà e senso; dall’altra parte, tali servizi esistono per soddisfare uno scopo delle singole entità, così da generare un mutual-benefit tra le diverse organizzazioni che si “associano”. I) Norma costituita dal principio di reciprocità: le regole che integrano la

partnership riguardano la reciprocità della relazione e il rafforzamento reciproco del vincolo organizzativo; il partenariato è strutturato su norme che possano aiutare il libero e reciproco relazionarsi degli attori nell’ottica di favorire i comportamenti collaborativi-cooperativi.

Figura 24 – AGIL della “generative relational partnership”

L) Cultura di riferimento intesa come nesso tra sussidiarietà-capacitazione-libertà: il valore di cui sono portatrici le social partnership è la sussidiarietà orizzontale. Come chiarito da Martignani: «La logica culturale della capacitazione sussidiaria presuppone una lettura estensiva della libertà che ogni attore può esercitare nella ri-generazione del legame sociale» (2011, 8). Questo

Creazione di mutual-benefit e di capitale sociale G

Multi-organizzazione e A I Rafforzamento reciproco

e multi-risorse e norma della reciprocità

L

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significa che le partnership, internamente (nella relazione tra gli attori) ed esternamente (nei rapporti con gli utenti), valorizzano la libertà delle relazioni significative dei soggetti, innestandosi in una cultura personalista: la risposta al bisogno spetta in primis alla singola persona, poi (in termini sussidiari e capacitanti) alla famiglia, poi alla comunità, poi alle organizzazioni statali.

Fattori Xi Spiegazione Indicatori

A – pluralità di attori Co-presenza di istituzioni, mercato e terzo settore

N attori Co-presenza A – pluralità di risorse Abilità e capacità immesse nel

servizio

Individuazione e provenienza delle skills

G – shared project Progetto articolato e multi- dimensionale che prevede la presenza di vari attori, compresi gli utenti

Prosumer (Compresenza attori nei vari passaggi del servizio)

G – capitale sociale Qualità delle relazioni presenti nel servizio e benefici comuni per ogni attore della partership

Indice di CS Singoli benefici I – decision making Condivisione delle decisioni Team work

Tavoli di lavoro

Incontri formali e informali

I – mutual action Azioni intenzionali,

collaborative e mutue

Apprendimento istituzionale Libertà di azione

L – logiche di lavoro relazionale

“Agisci in modo tale che tutti possano agire al massimo delle loro possibilità come persone capaci di condurre la propria vita” Variabili di contenuto: Case management Counselling reciprocitario Community care Empowerment

L – sussidiarietà Sussidiarietà orizzontale Variabili di processo: 1. disapprendere vecchi habitus di lavoro; 2. riapprendere nuovo compito; 3. alleanza con altri + metariflessività

Tabella 25 – Ipotesi di fattori Xi

Seguendo la metodologia di ricerca elaborata dalla sociologia relazionale, occorre ricercare, allora, quali fattori (Xi) possano generare il fenomeno Y. Il fenomeno Y (partnership) è l’effetto di un insieme di fattori e processi (cause Xi) che, combinandosi in certi modi nella scatola nera, lo fanno emergere. Nella tabella 25 immagino alcuni ipotetici fattori causali, riprendendo il contenuto dello schema Agil esposto in figura 24:

- la pluralità degli attori e delle risorse possono essere spiegate con la co- presenza di più istituzioni, sondando nelle diverse fasi del progetto portato

avanti dalla partnership chi-ha-in-carico-cosa e chi-mette-cosa, in termini di risorse; la compresenza di attori descrive anche una possibile progettualità condivisa e un consumo del bene prodotto che non può che essere condotto insieme;

- allo stesso tempo obiettivo del progetto è produrre capitale sociale e creare un progetto condiviso da più attori;

- vedere quali sono i processi di decision-making e se essi sono condivisi, misurandoli attraverso i tavoli di lavoro, gli appuntamenti formali e informali, il team work, sotto questo aspetto è interessante andare a misurare l’apprendimento istituzionale reciproco;

- infine la modalità con cui la partnership si relaziona, esternamente, con chi usufruisce del progetto o del bene prodotto tramite nuove le logiche di lavoro (case management, counseling reciprocitario, community care, empowerment); e la modalità con cui, nella relazione tra partner, si sostanzia la sussidiarietà orizzontale (disapprendere vecchi habitus di lavoro, riapprendere il nuovo compito, alleanza con altri e metariflessività).

Il ciclo di vita delle partnership. La partnership è prima di tutto un processo di condivisione di risorse e solo nel tempo può formalizzarsi in una nuova forma organizzativa (tabella 26). Perciò è importante comprendere bene quali siano stati i primi passi della collaborazione pre-partnership (prima fase). In questo caso due sembrano i dati acquisiti: l’importanza del capitale sociale pregresso e del vantaggio competitivo. Laddove c’era già una dinamica relazionale inter- organizzativa si può ipotizzare, come hanno fatto Barbera & C., che la partnership costruisca su un terreno comune di capitale sociale già rodato e sia più facile almeno inizialmente stabilire scopi comuni e condividere risorse. Anche gli studi sui Distretti industriali hanno messo in luce queste peculiarità (Sabel 2004, Trigilia 2005). Come mostrato dallo stesso Barbera, la variabile “capitale sociale pregresso” non è però determinante nell’esito finale: anche le partnership che partono con livelli bassi di capitale sociale possono riuscire a costruire fiducia e a ottenere i loro scopi, mentre alcuni territori con un notevole portato di fiducia societaria si arenano invece nella costruzione di partenariati. Il secondo dato della prima fase è il vantaggio competitivo che si trae partecipando alla PPP: esso deve

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essere subito chiaro ai partner, solo così essi potranno ragionare in un’ottica collaborativa. Il vantaggio può avere duplice natura, politica e funzionale, e come tale va analizzato per capire le reali intenzioni degli attori.

La seconda fase della partnership attiene alla sua creazione e al suo consolidamento. In questo passaggio si formalizzano le procedure e si differenziano gli status tra gli attori, sia come compiti che come autorità interna. Il processo partenariale può bloccarsi di fronte alla costruzione di un struttura troppo grande o esterna ai singoli soggetti. Allo stesso tempo, come sottolineato da Vesan e Sparano (2007), un’organizzazione più articolata tende ad essere più flessibile, e allo stesso tempo più essa è autonoma dai suoi membri più essa tende a consolidarsi. È possibile tenere insieme queste tendenze divergenti? Con la dimensione operativa della partnership si dovrebbe recuperare lo sfilacciamento dovuto alla creazione di una nuova organizzazione: più intensi sono i rapporti tra i partner più è facile che la PPP si consolidi; inoltre, più la partnership si differenzia funzionalmente più essa estende il suo contenuto originario. In questo modo da una convenienza politica-situazionale iniziale si passa ad una convenienza operativa. Ciclo Collaborazione Pre-Partnership Creazione e consolidamento Perseguimento del programma della partnership Termine o trasformazione della partnership Principale componente Processuale Institution- building Competitiva- Collaborativa Valutativa Variabile 1 Capitale sociale

pregresso

Intensità della cooperazione

Strutture tecniche Bisogno territoriale Variabile 2 Vantaggio competitivo (politico o funzionale) Differenziazione funzionale Contratti Sostegno finanziario

Tabella 26 – Il ciclo di vita di una partnership

La terza fase del ciclo di vita di una partnership è legata al perseguimento del suo programma. Nel momento in cui si ha a che fare con la produzione di un bene o di un servizio, allora anche la partnership diviene competitiva-collaborativa. I partner iniziano a “gareggiare” per creare qualcosa di innovativo. Le relazioni possono peggiorare a fronte di tentativi opportunistici. Inoltre, il tempo inizia a

diventare una risorsa scarsa: se nella prima fase gli attori vivono in prima persona il fascino di un progetto nuovo, nel momento in cui il progetto viene routinizzato il tempo inizia a scarseggiare. Proprio perché si dà maggiore spazio all’attività operativa, diventa anche più importante avere strutture tecniche ad hoc che si occupino del partenariato. Queste sono utili per due motivi: bloccare i comportamenti opportunistici o particolaristici con la richiesta di far rispettare i contratti e paventando sanzioni; ottimizzare la risorsa tempo dei partner, legittimando la PPP con la tecnica.

Infine, c’è la possibilità che la spinta del partenariato finisca o si debba ridiscuterne l’impostazione di fondo. È la fase di termine o trasformazione della partnership: Boccacin (2009) sottolinea tre exit-strategy. La partnership è mantenuta a fronte di una esigenza ancora viva sul territorio; la partnership muore naturalmente e questo può essere anche un segno positivo dell’ottenimento dello scopo comune; la partnership è sostenuta solo in parte, tagliando alcune modalità di lavoro non più efficienti ed efficaci.

I mezzi di interscambio delle partnership. I tre mezzi che abbiamo visto funzionare come attivatori e facilitatori della governance ibrida – i contratti, i costi di concertazione e l’identità organizzativa – non sono esaurienti della complessità del processo.

• I costi di concertazione sono i mezzi simbolici per creare fiducia di fronte al rischio dell’opportunismo: essi svolgono un ruolo adattivo per il sistema partenariale (A dello schema Agil). Il costo di concertazione è il mezzo simbolico di interscambio45 tra attori interni alla partnership che ne stabilizza la contingenza: tra i partner non c’è scambio di denaro, ma un primo atto “rischioso” che cementa le relazioni interno-esterno.

• Le regole, scritte o non scritte, che fondano il patto all’interno della partnership sono il medium simbolico, basato sulla sanzionabilità negativa del comportamento e sulla volontà di Ego di cambiare l’azione di Alter !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

45 Per una trattazione sintetica ma approfondita dei mezzi generalizzati di interscambio rimando a Prandini (1998), da cui ho tratto anche spunto per una rilettura adatta alla partnership dello schema presente in tabella 28. I mezzi simbolici di interscambio non hanno una funzione di trasmissione di informazioni, quanto «di richiedere e stimolare una risposta, una decisione, quale l’accettazione o il rifiuto di proposte selettive» (Ibidem, 62).

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controllando la situazione, che funge da scopo interno (G).

• L’identità organizzativa sta nell’asse dell’orientamento dell’attore verso una modalità dell’oggetto (asse L-G): i partner partecipano e attivano gli impegni sulla base della propria identità che tramite gli interessi e le premure fondamentali ha un concorso specifico nell’azione.

A questi tre mezzi manca la norma di integrazione del sistema partenariale: io la rintraccio nella riflessività. La riflessività, seguendo la teoria archeriana (Archer 2006, 2007, 2009, 2010, 2011) e la sua revisione-elaborazione relazionale (Donati 2009b, 2010b, 2011, Prandini 2010b, Prandini e Martignani 2007), può essere intesa come una conversazione interiore che esamina i propri interessi e le proprie premure (ultimate concerns) per sviluppare corsi di azione, stabilendo così pratiche di vita (modus vivendi) soddisfacenti. La riflessività media le forze strutturali e culturali oggettive ed esterne, le rielabora e dà il via ad un corso di azione contestuale. Se questo è naturale a livello personale e presuppone una mente individuale, più difficile è accettare una riflessività collettiva. Si dovrebbe postulare una mente superiore, capace di riflessività sistemica. Donati (1993, 2009b, 2009c) e Prandini (2010b) criticano questa idea di una Mente-collettiva, ipotizzando e dimostrando la capacità deliberativa di una soggettività sociale riflessiva. La soggettività sociale è un ”Noi”, ossia una «relazione sociale tra almeno due persone, il cui senso di membership influisce, in modo co- determinante, sulle identità personali e sociali dei membri distinguendoli da un “voi”, un “loro” e da un “essi”» (Prandini 2010b, 80). Agire come membro di una tale soggettività significa «agire intenzionalmente entro il regno delle premure del Noi», promuovendo costantemente l’impegno comune con cui si è identificati. È questo impegno che «fornisce una identità peculiare ai membri, li fa agire come membri, cioè in modo diverso da come agirebbero se non lo fossero» (Ibidem, 99). Essere membri di alcune organizzazioni, che sono riuscite a creare un’identità organizzativa tale da definirle “soggettività sociali”, può significare articolare una riflessività non solo personale ma anche collettiva (o comune). Proprio la possibilità di indagare questa riflessività all’interno delle partnership costituisce uno dei punti salienti della presente tesi.

Soggettività Haecceitas a cui può essere attribuita la capacitià di elaborare “in prima persona” una prospettiva sul mondo

Riflettere Attivarsi del potere della “riflessività”

Riflessività Processo cognitivo al self con una sequenza soggetto-oggetto-soggetto (re-entry della distinzione sistema/ambiente nel sistema)

Riflessione Processo cognitivo al self con una sequenza soggetto-oggetto

Deliberazione Operazione di decisione intenzionale che riguarda la relazione tra soggetto e contesto sociale

Soggettività sociale

Un “Noi”, ossia una relazione sociale almeno tra due persone, il cui senso di membership influisce, in modo co-determinante, sulle identità personali e sociali dei membri distinguendoli da un “voi”, un “loro” e da

un “essi” Comune

Proprietà relazionale che va oltre il semplice con-dividere o co-operare, verso quel senso di co-munus che forma una reale unità senza perdere le

differenze che la compongono

Tabella 27 – I concetti della soggettività sociale riflessività (rielaborazione da Prandini 2010b, 80).

Canali

Situazionale Intenzionale

Sanzione

Positiva

Modo Incentivazione Persuasione

Medium Costi di concertazione Riflessività

Negativa

Modo Deterrenza Attivazione degli

impegni

Medium Patti Identità organizzativa

Tabella 28 - I mezzi di interscambio nella partnership

Nelle PPP potremmo avere attori che sono soggettività sociali (ad esempio organizzazioni di Terzo settore che incidono profondamente nella identità personale dei propri membri) e potremmo trovare che le stesse partnership sono diventate nel tempo soggettività sociali che retroagiscono sia al livello personale dei membri sia al livello sociale delle organizzazioni partner. Sulla scia di queste

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teorie, cercherò di verificare se nelle partnership si formi un “Noi”, una nuova soggettività sociale capace di riflessività sulle proprie azioni ed intenzioni. Questo significherebbe dare un ruolo nuovo e più influente a quegli agenti corporati, che, interagendo nel tempo T2-T3 dello schema morfogenetico, riescono a creare una riflessività relazionale. Sulla base delle argomentazioni della sociologia relazionale (Prandini 2010b), infatti, si possono individuare quattro forme di riflessività delle partnership:

• Intenzioni individuali coordinate dall’esterno: la riflessività rimane a livello individuale-organizzativo ed esternamente si aggiunge un coordinamento delle azioni; queste organizzazioni parteciperanno all’azione partenariale riproducendo i propri fini e lasciandosi coordinare finché ciò è in linea con il raggiungimento di quegli scopi.

• Intenzionalità dialogica: la riflessività rimane a livello individuale, a cui si aggiunge la conversazione esteriore e la cooperazione tra gli attori; le organizzazioni partner non vivono ancora una forte membership ma collaborano e cooperano tra di loro utilizzando la conversazione.

• Riflessività relazionale primaria: la riflessività raggiunge il livello “comune”, ma è “agita” in I-mode; i membri della partnership agiscono e pensano con gli altri ma per raggiungere obiettivi propri. «Quelle premure, questo è il punto, le aveva e le avrà prima e dopo di essere (stato) un membro del gruppo. Egli entra, si “connette” al gruppo solo per raggiungere i “suoi” obiettivi più facilmente» (Ibidem, 98)

• Riflessività piena (relazionale primaria e secondaria): la riflessività raggiunge il livello comune, ed è “agita” in We-mode; gli attori della partnership ne sono prima di tutto membri e le loro premure sono costituite in primo luogo dall’impegno verso un ethos condiviso (le premure del Noi). La riflessività arriva ad essere parte di un con-essere.

La riflessività intesa come un profilo della relazione sociale è il modo proprio delle forme che chiamiamo soggettività sociali. In questa prospettivia, infatti, «la riflessività viene osservata come un tipo di relazione sociale che, attraverso, l’interazione fra Ego e Alter, viene rientrata in sé stessa per riconsiderare l’effetto che proviene dal reciproco agire di chi vi è coinvolto» (Donati 2011, 296). È

possibile allora osservare questa forma di riflessività come elaborazione dialogica del Noi come distinzione dal Loro: i partner di una rete si distinguono costantemente dall’ambiente esterno per tramite di una identità nuova e comune che costituisce le premure fondamentali delle persone e delle organizzazioni.

Sarà molto difficile rintracciare queste quattro modalità in azione; infatti, i confini dei concetti sono labili e i mezzi di rilevazione sono per lo più intuitivi. Però un primo tentativo analitico può essere utile a capire se l’idea che nel futuro siano sempre più le soggettività sociali i portatori di un cambiamento nella società ha basi esperibili anche nell’osservazione scientifica.

Ciò che nella parte empirica interesserà di più è capire se queste intuizioni teoriche possono avere una base operativa funzionale. Cerco di dirlo con alcune domande-ipotesi:

1) Sino ad oggi, nelle varie forme di welfare mix si è protratta una visione della sussidiarietà orizzontale rovesciata: è il privato ad intervenire per sopperire alle fallacie pubbliche. Le partnership ci possono traghettare verso una governance del sistema di welfare improntata ad una corretta sussidiarietà?

2) La norma che connette i diversi meccanismi di funzionamento delle partnership può essere la riflessività? Se sì, quale riflessività? La we-reflexivity può, al contempo far funzionare la partnership e avvantaggiare un’ottica sussidiaria?