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2. Lo spazio attraverso la ricerca di business

2.5. Il modello Cluster di Porter

La teoria contemporanea dei Cluster, così come la si conosce oggi all'interno degli studi economici e nei documenti di programmazione politica, viene attribuita agli studi di Porter (1990) nel campo dell'agglomerazione.

Essa si focalizza specialmente sullo studio empirico e teorico dell'impresa e della sua locazione, dei legami di collaborazione con altre imprese e con le istituzioni territoriali, e sul livello di agglomerazione dell'intero contesto di business. Porter introdusse il concetto di cluster essenzialmente per concentrare l'analisi economica sull'impatto dell'ambiente locale e regionale sullo sviluppo dell'impresa. Se pure tra i padri della teoria di Porter sia possibile annoverare Marshall il concetto di cluster si è senza dubbio evoluto nel tempo subendo l'influenza di differenti correnti di pensiero e attraversando differenti stadi di sviluppo.

Porter definisce i cluster come l'interazione tra imprese tra settori industriali correlati all'interno di aree geografiche definite. Nel 1998 Porter riconosce individualità concettuale ai cluster, definiti come "the geographic concentrations of interconnected companies and institutions in a particular field. Clusters encompass an array of linked industries and other entities important to competition". Più in dettaglio, l'autore espone una teoria dello sviluppo locale che si basa sull’azione di quattro determinanti: la domanda del mercato, la struttura della competizione tra le imprese, la presenza di imprese collegate tra loro, le caratteristiche dei fattori produttivi locali. Le imprese sono legate fra loro da relazioni commerciali, produttive e tecnologiche che si rinforzano e incrementano i vantaggi delle aree in cui sono localizzate. Tali vantaggi modificano le caratteristiche dei fattori produttivi locali, che pertanto non sono più dati a priori come nelle teorie neoclassiche sul commercio internazionale: si apre un nuovo ruolo per le politiche pubbliche che possono modificare i fattori produttivi locali tramite lo strumento delle relazioni di impresa nei cluster.

Nei suoi più recenti sviluppi della teoria Porter, assieme ai colleghi Delgado e Stern (Delgado et al., 2010; Delgado et al., 2014) l'autore arriva a concepire il modello regionale dei cluster. La scoperta dei rapporti di collaborazione tra le imprese agglomerate porta a riflettere sul fatto che la gara competitiva, dal punto di

vista di queste imprese, sia pur sempre presente ma si svolga su di una scala spaziale più ampia. L'autore dunque arriva ad enfatizzare le relazioni competitive tra clusters, e siccome i clusters giocano un ruolo fondamentale nell'economia delle regioni, egli afferma la possibilità che la gara competitiva possa svolgersi su scala territoriale. Il passaggio successivo introduce in maniera esemplare all'idea di cluster regionale:

"There are various types of economies of agglomeration identified in the literature, including input-output linkages, labor market pooling, knowledge spillovers, sophisticated local demand, specialized institutions, and the organizational structure of business and social networks (Marshall, 1920; Porter, 1990, 1998; Saxenian, 1994; Storper, 1995; Markusen, 1996; among others). These economies of agglomeration manifest themselves in clusters – geographic concentrations of related industries and associated institutions. Within regional clusters, firms and associated institutions (i.e., trade organizations, universities, and local government) can operate more efficiently and innovate faster due to sharing common technologies, infrastructure, pools of knowledge and skills, inputs, and responding to demanding local customers" (Delgado, Porter, Stern, 2014)

I primi cluster regionali erano costituiti da imprese operanti all'interno dello stesso settore industriale. Marshall nel 1890 basa la sua teoria sui distretti industriali sullo studio di compagnie provenienti dal medesimo settore industriale, considerando tale elemento come uno dei maggiori fattori di agglomerazione capaci di spiegare la sua intera teoria, fino ad oggi. La prossimità geografica tra piccole e medie imprese co-locate all'interno della medesima area, permette di attivare processi di collaborazione e competizione e dunque processi complementari che si completano tra loro. Le imprese possono essere legate da rapporti buying-selling e possono cooperare a fini innovativi attivando processi di ricerca e sviluppo per nuovi prodotti e servizi, o lavorare in modo congiunto allo scopo di attirare manodopera specializzata. Gli autori affermano che gli accordi tra imprese possono essere sia di natura formale (accordi firmati) che di natura informale (mutual agreements on innovation and development process).

Secondariamente il cluster regionale è composto da imprese complementari e da istituzioni di supporto che possono risultare dalla stipulazione di accordi formali e informali tra le imprese, istituzioni governative e organizzazioni non-governative, finanziarie, educative, di ricerca e altre istituzioni ancora. Nella fase iniziale di insediamento del cluster, le istituzioni e le imprese sono ancora entità non ben definite, ma attraverso il processo di sviluppo del cluster, si assiste ad un adattamento reciproco degli agenti coinvolti, processo che conduce alla formazione di istituzioni specializzate e aziende specializzate. La cooperazione tra le imprese complementari e specializzate da un lato, e le istituzioni dall'altro, si concretizza nelle azioni di supporto che governo territoriale mette in atto per lo sviluppo del cluster come l'accesso ai finanziamenti, il supporto dei i processi di knowledge and technology transfer e altri elementi. Tutti questi fattori possono interagire tra loro solamente all'interno un'area ristretta e definita, un'area dove il coordinamento di un governo territoriale, possa orchestrare il networking e favorire dunque la co- operazione tra gli attori fornendo il supporto necessario. La dimensione più significativa diventa dunque la prossimità, poiché si riconosce un ruolo cruciale all'azione delle istituzioni il cui raggio di intervento è legato all'ampiezza del territorio di competenza. Dunque non è importante la localizzazione dell'impresa in senso assoluto (ossia in senso spaziale), piuttosto è importante che le imprese siano localizzate a ridosso di altre imprese per favorire lo sviluppo di interazione e collaborazione. Sulla base di questi elementi Porter procede allo sviluppo di una vera e propria definizione cluster regionale: una forma informale di cooperazione e di interazione tra imprese appartenenti allo stesso settore che coinvolgono anche industrie complementari o relative, istituzioni governative e scientifiche, accademiche e altre istituzioni vicine appartenenti alla stessa regione. L'accezione territoriale viene sviluppata in senso istituzionale indicando un ruolo attivo per gli organi governativi, le istituzioni di supporto e gli altri enti operativi.

A questo punto è importante fare una riflessone. Questi elementi impattano l'idea di cluster regionale avvicinando in un certo senso questa definizione all'idea di distretto industriale descritta da Beccatini. Sebbene i due approccio propongano presupposti diversi (Porter avanza una visione economico-istituzionale del cluster regionale; mentre Beccatini pensa alla processo di costruzione sociale del processo economico distrettuale), tuttavia in entrambe i casi il dato sociale da un alto, e il dato

istituzionale dall'altro, fanno si che il focus spaziale attorno all'agglomerato si restringa. Più semplicemente, fare riferimento al ruolo della comunità di persone, o alle istituzioni di un luogo, comporta ancorare l'analisi ad elementi di natura territoriale e quindi indirettamente si prevede un ruolo forte del territorio all'interno del proprio modello. Per questo motivo il modello dei distretti italiani esprime più un modello regionale di sviluppo, che un'approccio universale ai sistemi di impresa. Tuttavia uno sguardo di insieme al territorio, e più in generale allo spazio, non è ancora possibile all'interno di questi approcci che per quanto simili, sviluppano modelli diversi e parziali. Ed è il confronto tra distretto e cluster che assume un rilievo particolare ai fini dell’argomento qui in discussione, poiché grazie agli studi di Porter si fa strada la convinzione, nella letteratura internazionale, che il distretto industriale possa rappresentare un caso particolare di cluster. Come accennato in precedenza Porter (1990) sostiene che fra le due nozioni vi sia una sostanziale sovrapponibilità del significato e l'indicazione di un fenomeno comune: che le attività economiche tendono a concentrarsi spazialmente per ottenere determinati vantaggi competitivi e operativi. Il comune rimando al background teorico marshalliano serve proprio allo scopo si suffragare una tale tesi.

Per individuare le principali differenze tra il concetto di cluster e quello di distretto, e quindi per attribuire originalità teorica al contributo di Porter, possiamo utilizzare i contributi successivi a quello di Porter, come per esempio il lavoro OECD (1996) sui cluster, che aggiunge al modello di Porter anche le istituzioni generatici di conoscenza e quelle per il trasferimento tecnologico che si connettono alle imprese del cluster nelle fasi più importanti della catena del valore.

In alcuni di tali contributi si scorgono le differenze concettuali tra cluster e distretti: questi ultimi possono essere considerati dei cluster particolari, al cui interno si individua una forte prossimità spaziale delle imprese, concentrate in un territorio piuttosto ristretto, ed un profondo spessore istituzionale derivante da un forte ruolo della comunità locale e dell’intervento pubblico nell’economia (Amin e Thrift, 1994). Ma è soprattutto nel contributo di Pecqueur (2007) che si individua la chiarezza distintiva: il cluster è un’entità più ampia del distretto, non solo dal punto di vista dell’omogeneità produttiva delle imprese ivi presenti, ma anche da quello che concerne la scala geografica del territorio considerato.

Più in dettaglio, nel distretto industriale conta molto la prossimità fisica, che favorisce scambi di informazioni e di merci, e la presenza di istituzioni forti e socialmente riconosciute, che generano economie esterne a favore delle imprese locali. Al contrario, il cluster di imprese rappresenta una concentrazione geografica di imprese operanti nella stessa filiera produttiva, più che nello stesso settore industriale, ed aventi quindi forti legami verticali tra loro. Si tratta generalmente di legami di sub-fornitura tra una o più imprese leader e un indotto di piccole imprese fornitrici. I rapporti tra le imprese del cluster sono meno complessi di quelli tra le imprese distrettuali, e la prossimità fisica è meno accentuata, a tutto vantaggio delle reti lunghe di collaborazione globale, anche tra territori geograficamente molto lontani tra loro. Il riferimento alla globalizzazione delle fonti di approvvigionamento dei fattori produttivi può pertanto essere più facilmente inserito nel concetto di cluster, rispetto al tradizionale concetto di distretto, storicamente legato alle “radici industriali” locali.

La nuova geografia economica di Krugman (1996), ad esempio, risulta essere molto interessata ai fenomeni di agglomerazione e assume che la struttura spaziale del business porti all'interazione tra il modello transaction cost e all'aumento delle opportunità di profitto da parte delle imprese. Le imprese ottengono effetti positivi dall'agglomerazione anche se l'agglomerazione riguarda imprese differenti e non complementari e operanti in diversi settori di industria. In oltre i portatori di interesse esterni, di natura istituzionale e sociale interagiscono tra di loro all'interno del cluster creando un ambiente positivo per la condivisione delle conoscenze, accelerando dunque i processi di learning, knowledge creation and transfer, technology transfer e di marketing.

Tuttavia il lavoro di classificazione dei fenomeni di agglomerazione ha spesso ingenerato una sorta di battaglia tassonomica che ha portato ad una sovra- produzione di concetti e definizioni da parte della ricerca esprimendo così una chiara finalità classificatoria piuttosto che interpretativa della realtà locale. Com'è stato già sottolineato nelle pagine precedenti, i distretti si sono tradizionalmente caratterizzati per una serie di elementi comuni, e i numerosi contributi sviluppati dai diversi filoni di studio e le analisi empiriche hanno rafforzato l'idea che non vi sia un modello universale di distretto industriale, bensì una varietà di modelli e tipologie distrettuali.