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Un approccio più recente: i knowledge spillovers

2. Lo spazio attraverso la ricerca di business

2.6. La Geografia Economica

2.6.3. Un approccio più recente: i knowledge spillovers

Verso la fine del secolo scorso la ricerca sui clusters industriali prende una nuova direzione. A livello accademico si diffonde la convinzione che i cluster di impresa producano, a livello sociale, una sorta di milieu basato sui network sociali informali che si vengono a formare tra i dipendenti delle imprese coinvolte. Le interazioni sociali a livello network favoriscono la diffusione della conoscenza la quale può facilitare la comparsa di knowledge spill-overs e stimolare la co- operazione tra imprese a livello di adattamento, apprendimento e innovazione. Questo è l'aspetto dello spatial clustering che ha maggiormente attratto l'interesse dei ricercatori durante gli anni'90 (Malmberg,1997; Maskell and Malmberg, 2000; Maskell and Malmberg, 1999). La percezione che la prossimità spaziale tra attori di business porti allo sviluppo di relazioni informali che in modi differenti possano stimolare lo scambio di informazioni e nuovi processi di apprendimento è tuttavia lontano dall'essere una novità; lo stesso concetto può essere trovato in Marshall (1890) e in un numero di autori successivi e, occasionalmente, in studi precedenti di geografia economica. Estall and Buchanan già nel 1961 enfatizzavano nel modo seguente il concetto:

"una stretta relazione, quasi una partnership, cresce tra imprese connesse tra di loro in una data area geografica. L'abilità dei membri del gruppo di incontrarsi senza inconvenienti per discutere problemi comuni e materie di comune interesse è un vantaggio dato dalla prossimità spaziale da non sottovalutare" (Estall, Buchanan, 1961)

Un sistema industriale localizzato e densamente popolato da imprese che competono nello stesso settore, e che parallelamente di trovano a collaborare attraverso progetti congiunti, tende ad innescare dinamismo competitivo e flessibilità produttiva, ma allo stesso tempo anche apprendimento e innovazione. In questo ambiente la possibilità che una singola impresa entri in contatto con attori che sono utilizzatori di nuove tecnologie, è alta. Il flusso di informazioni e knowledge all'interno di un'industria è generalmente molto abbondante, a tutto vantaggio delle imprese che vi sono coinvolte. Una cultura locale che esprima norme specifiche, valori e istituzioni (formali e informali) rende possibile la trasmissione di forme di conoscenza da un attore all'altro.

Per arrivare a studiare in profondità l'impatto dell'agglomerazione e della prossimità sulla capacità di apprendimento e innovazione delle imprese, la geografia economica ha dovuto perfezionare i suoi modelli attingendo ad intuizioni e teorie provenienti da altre discipline attinenti alle scienze sociali mutuando così il tema della competitività, dell'apprendimento e dell'innovazione specialmente dai lavori di Porter.

In questo contesto le analisi di alcuni geografi si sono concentrate sui sistemi di innovazione nazionali e regionali, e sulle politiche cluster finalizzate alla creazione di network innovativi tra imprese e istituzioni locali (Florida, 1995; Morgan e Cooke, 1998). In questi studi il tema principale rimane la comprensione della visione sistemica di determinate politiche e il rapporto che questo tipo di azione ha con realtà dei cluster industriali allo scopo di registrare l'efficacia del modello, specialmente in tema di innovazione, e vedere quanto il modello sia effettivamente esportabile e riproducibile. In questo filone di studi si stanno cominciando a diffondere approcci più moderni sia da un punto di vista teorico che metodologico. Tra i vari sono da annoverare gli studi sui "National Innovation System" (Lundvall,

1992), e sul modello "Triple Helix" (Etzkowitz, 2004), che si occupano di compiere un'analisi sistemica dei processi di innovazione su scala, regionale e nazionale; oltre all'evoluzione degli studi della scuola geografica sul tema dell'innovazione all'interno dei distretti industriali (Sexenian, 1994; Lorenzoni e Baden-Fuller, 1995; Malberg e Maskell, 2002). A differenza dell'approccio cluster questi studi affermano che i sistemi di innovazione per essere efficienti debbano basarsi su un modello spaziale più ampio rispetto a quello del cluster industriale. Un sistema di innovazione, infatti, deve poter attingere alle nuove conoscenze prodotte dalla ricerca scientifica e tecnologica universitaria e privata. Si afferma quindi che la ricerca è la prima fonte di innovazione. Il ruolo della politica è quello di favorire l'interazione tra ricerca e business, indirizzando la ricerca a favore dell'utilizzo commerciale delle nuove conoscenze, così da enfatizzare la rilevanza commerciale delle nuove scoperte, e il loro potenziale sfruttamento in campo tecnologico e innovativo. Questi network della conoscenza che si basano sui vantaggi dati dalla prossimità spaziale delle istituzioni coinvolte, dovrebbero rappresentare una leva per lo sviluppo competitivo dei territori interessati da tali politiche (Waluszewski, 2011).

Distante da questi modelli è il modello di Porter (1990) relativo alla creazione della competitività nazionale di lungo termine che, tuttavia, è stato usato in modo similare. Porter (1990) intuisce che le caratteristiche dei milieux locali che determinano la capacità innovativa delle imprese viene catturato da quattro forze principali correlate tra loro: le condizioni del fattore; le condizioni della domanda; le industrie connesse e di supporto; e la struttura delle imprese con la loro strategia e rivalismo.

Il modello di Porter fu originariamente sviluppato nel tentativo di rilevare le differenze tra nazioni a livello di competitività tra settori industriali, ma è stato successivamente utilizzato come modello per spiegare il potere innovativo dei cluster localizzati (Porter, 1990; 1996; 1998; Malmberg, 1997).

Nonostante le relative differenze nelle sfumature di significato e nelle metodologie di indagine adottate, tutte queste scuole condividono un comune punto di partenza che consiste nel vedere la competitività di lungo termine di un'impresa determinata dalla sua abilità di innovare e di ingaggiarsi in processi di apprendimento continuo. Fattori di ordine culturale, istituzionale e infrastrutturale che compongono il milieu locale influenzano il clima generale all'interno del quale le

imprese sviluppano, tuttavia questi autori non ricorrono precisamente al concetto di 'atmosfera' affrontato in precedenza.

In tutti questi casi la prossimità spaziale tra gli attori favorisce è finalizzata all'emergenza dei knowledge-spill overs e processi di interazione che compongono la base per innescare innovazione e apprendimento. In questo contesto, come detto, lo spatial clustering rimane il fenomeno cardine nell'analisi empirica. Inoltre molti, se non tutti, gli approcci citati mantengono una comune linea di pensiero riguardo la riduzione dei costi di interazione. Il cluster esiste in virtù del fatto che la vicinanza spaziale delle imprese abbassa i costi di identificazione, accesso e trasferimento della conoscenza. Alcuni studi mettono in luce come le imprese riescono ad abbattere i costi di interazione se localizzate all'interno di cluster caratterizzati da trust e altri componenti di capitale sociale (Maskell, 2001). Altri studi, tuttavia, affermano che i vantaggi legati ai knowledge spill-overs possono non dipendere direttamente dal capitale sociale presente. Un esempio ne è la stessa Sylicon Valley dove "nessuno conosce la madre di nessun altro" e dove non esistono ne profondi legami storici, ne legami di tipo parentale (Cohen and Fields, 1999).

Tuttavia, gli studi che si sono mossi attraverso questi differenti approcci hanno incontrato difficoltà nel tentativo di identificare empiricamente e specificare teoricamente le economie di localizzazione che dovrebbero giustificare l'esistenza dei cluster. Senza essere ingiusti, si può affermare che una teoria generale capace di specificare come la configurazione territoriale di un numero di imprese appartenenti a settori collegati, sia capace di creare una ricca fonte di conoscenza rispetto persino ad industrie più grandi, o rispetto a networks di imprese localizzate in luoghi differenti, non è ancora presente.

Per risolvere questo problema una pratica utile potrebbe essere quella di ribaltare la catena della causalità tradizionalmente adottata, la cui adozione acritica ha probabilmente ha uniformato eccessivamente lo standard delle ricerche sul campo. Le analisi sui cluster innovativi, per esempio, difficilmente prendono in considerazione le modalità di produzione di nuova conoscenza, o i processi di trasferimento tecnologico, a livello relazionale e processuale, né si occupano di capire come questi elementi siano collegati alla competitività dell'impresa, mostrando poi come il cluster si formi come conseguenza di questi processi (e non ne sia la causa).

Piuttosto molte delle analisi empiriche svolte partono dal considerare la performance della singola impresa collocata nel cluster, ipotizzando che tale performance sia influenzata positivamente da non meglio definiti spill-overs locali. In molta letteratura dunque, esiste l'ovvio rischio di cadere nell'errore di una logica causale circolare: quando i meccanismi economici di generazione del cluster non possono essere osservati, la loro esistenza viene provata a partire dall'esistenza stessa del cluster (Krugman, 1995). Un processo deduttivo che non può poggiarsi su solide basi teoriche vista la complessità della materia e l'esistenza di diversi presupporti teorici di partenza. Questa critica viene riproposta nel lavoro di Maskell e Malmberg (2002).

Questa logica è anche il frutto di un preciso approccio allo spazio. La decodifica della prossimità nella sua unica accezione fisica e geometrica non aiuta i ricercatori ad uscire fuori dalla gabbia della struttura. L'analisi della struttura dei distretti non implica, infatti, l'individuazione della variabili responsabili di costruire i processi di sviluppo e diffusione della conoscenza a livello distrettuale. Non solo ma un'analisi di tipo processuale e relazionale di ciò che avviene in circostanze di prossimità tra attori di business, permetterebbe di scendere dentro i processi di interazione tra imprese, allo scopo di ricostruire, tramite un percorso di lettura dal basso, quali siano le particolari dinamiche della conoscenza che si innescano a livello network tra gli attori co-locati. I processi inter-aziendali sono processi generativi, che producono effetti emergenti, e non prevedibili, che non possono essere interpretati a partire dalla semplice struttura spaziale di un sistema di imprese. Più semplicemente una struttura non può dire nulla dei processi che l'hanno generata.

Allo stesso modo tale critica può essere applicata al concetto di "atmosfera distrettuale" (concetto che si avvicina, in modo approssimativo, a rappresentare una summa degli spill-overs di localizzazione sopra trattati pur volendosi avvalere di sfumature più ampie) propria dei lavori della scuola italiana incentrati sulla analisi storica dei cluster. L'esistenza stessa del cluster proverebbe la veridicità del concetto di atmosfera, vista la scarsa definizione del concetto che non trova riscontro empirico neanche all'interno dei percorsi di ricostruzione storica dei distretti. Di conseguenza il concetto di 'Atmosfera industriale' e di 'Knowledge-spill overs', a livello teorico, sono relegati allo stadio di pure ipotesi che non sono state ancora

verificate sul campo con l'ausilio di frameworks analitici. In effetti la presenza di questi concetti colma un vuoto analitico riguardo i processi di formazione e sviluppo degli agglomerati industriali, e sul ruolo dello spazio in questi processi.