• Non ci sono risultati.

Mutamento sociale e globalizzazione

A partire dai tardi anni ‘70 del secolo scorso la riflessione sul muta- mento sociale e i processi di trasformazione interni alle società occidentali è stata caratterizzata dalla riflessione sul post-moderno e sul post-industria- le (Bell 1973; Martinelli 20025, pp. 113-126; Harvey 1993), due concetti

che ben presto si intrecceranno con quello della globalizzazione.

Il termine “postmoderno” proviene dall’architettura. Originariamente esso indicava il superamento di modalità costruttive e stili architettonici ra- zionali e funzionali cui fino ad allora si era ispirata l’edilizia del Novecento applicata a soluzioni residenziali di massa. Il risultato di quest’ultima fu la nascita di conglomerati urbani anonimi e senza identità, al punto da esser definiti “alveari umani”, in cui molto spesso sono stati confinati gruppi so- ciali svantaggiati.

La reazione a partire dai tardi anni ‘70 fu invertire la tendenza: esaltare il superamento della linearità e della funzionalità, favorire la libera espres- sione culturale dei residenti, molto spesso di origine extra-europea, dare luogo ad una commistione di stili anche in contrasto tra loro (Harvey 1993, parte I). In questo senso dunque si è passati dal moderno al postmoderno.

Questo approccio è transitato poi nelle discipline umane e nelle scienze sociali, intendendo con il termine “postmoderno” ciò che rompe con la tradi- zione della razionalità, della funzionalità, della linearità che la cultura mo- derna occidentale aveva tramandato almeno dall’epoca dell’Illuminismo. Il concetto di postmoderno ha contribuito a valorizzare le specificità e le diffe- renze, in reazione alle tendenze omologanti della modernità (Zapf 1991, 1993; Jäger, Weinzierl 2007).

Le società contemporanee hanno peraltro registrato trasformazioni so- ciali all’insegna della pluralità e della disomogeneità. Il tratto principale è che sono divenute più complesse e richiedono maggiore integrazione. Que- sta caratteristica si accompagna, secondo alcuni autori a una riflessività dif- fusa tra gli individui, come forma di autocoscienza e autoconsapevolezza (Beck, Giddens, Lash 1999).

Dal punto di vista economico le questioni attualmente all’ordine del giorno sono  oltre ai rischi del progresso (Beck 2000b), ai limiti di crescita (Meadows et al. 1972; più di recente cfr. Randers 2013) e al perseguimento di uno sviluppo sostenibile (IPCC 2012, 2014; United Nations 2016)  le trasformazioni subite dalla produzione e dal lavoro, anche a seguito dell’in- novazione tecnologica. Il notevole incremento delle transazioni economi- che internazionali  di beni, servizi e prodotti finanziari  ha stimolato il trasferimento della produzione di beni e servizi a più basso valore aggiunto dai paesi economicamente sviluppati a quelli meno sviluppati nei continenti

europeo, americano e asiatico, con Cina, India e il Sud Est asiatico (che contano insieme più di due miliardi e mezzo di abitanti) in primo piano.

Per rendersene facilmente conto, è sufficiente dare un’occhiata alle eti- chette dei propri vestiti nel guardaroba di casa. Gran parte di esse segnala che il capo di tessuto è stato prodotto in paesi extraeuropei e non in Italia, come avveniva alcuni decenni fa. Lo stesso riscontro si può avere control- lando i luoghi di produzione di elettrodomestici, cellulari e altri prodotti elettronici. Questi beni richiedono processi produttivi noti e standardizzati e molto lavoro poco qualificato. Esattamente quel che i paesi extra europei possono fornire, almeno in questo periodo, a un costo nettamente inferiore di quello offerto nei paesi avanzati.

Le conseguenze di questi processi, che durano ormai da decenni, sono note:

 ingresso di milioni di nuovi lavoratori nel mercato del lavoro mondiale, favoriti da massicci investimenti;

 rapida industrializzazione dei paesi poveri, non a caso detti oggi “emer- genti”, con crescita di grandi agglomerati urbani e conseguente aumento di inquinamento ecc.;

 drastica riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo,  prodotti a buon mercato nei supermercati e, nello stesso tempo,

 riduzione della domanda di lavoro poco qualificato  quindi dei salari e dell’occupazione  nei paesi più avanzati.

Assistiamo in altri termini a un imponente mutamento della divisione del lavoro internazionale e della specializzazione produttiva. Alla fine, ci sono vincitori  alcuni paesi meno sviluppati e al loro interno alcuni loro lavoratori  e perdenti, anzitutto i lavoratori poco istruiti e qualificati dei paesi economicamente avanzati (cfr. infra § 2.1.2). Cambia così la stratifi- cazione sociale in gran parte dei paesi coinvolti. In quelli avanzati, si con- solida la differenza nelle opportunità di lavoro e di vita tra i lavoratori più istruiti e qualificati e quelli con scarse risorse lavorative da offrire sul mer- cato del lavoro.

L’uso ormai diffuso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione amplia e accelera queste conseguenze. Non è quindi un caso se negli ultimi anni è cresciuta, in Europa e negli USA, una forte reazione contro la globalizzazione, gli immigrati e organismi sovranazionali (Stengel et al., 2019), sia a destra ‒ i nuovi nazionalisti detti sovranisti in Europa (Lochocki 2018) e Trump negli Stati Uniti (Epstein 2017; Autor et al. 2017; Wuthnow 2018) ‒ sia a sinistra ‒ i movimenti no global (Castells 2012). A questo si aggiunga l’infranto rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini (Biorcio 20163; Diani 20163) e l’emergere di forme di personali-

smo, se non di vero e proprio populismo (Merker 2009; Brömmel, König, Sicking 2017; Fitzi et al. 2018).

Viviamo peraltro un’epoca in cui il sistema economico dei paesi avan- zati sperimenta un equilibrio più precario e una struttura sempre più fragile: da un lato la finanziarizzazione dei mercati (Gallino 2011), dall’altro i fe- nomeni di deindustrializzazione favoriti dalla globalizzazione (Kollmeyer 2009), accanto a radicamenti locali espressione di specializzazioni produt- tive (Perulli 20163). In quest’ultimo caso si impongono modelli orga-

nizzativi e criteri gestionali snelli (Bonazzi 2002, vol. I), tendenti a impie- gare meno manodopera poco qualificata e ai lavoratori si chiede flessibilità, ovvero la capacità di adattarsi a un mercato divenuto più instabile e dall’an- damento fluttuante. Il rapido diffondersi della precarietà tocca oggigiorno settori e ambiti più ampi della società, sicché il destino di molti giovani (e meno giovani) è un’occupazione incerta e di una vita insicura (Accornero 2002, parte IX; Beck 2000a; Semenza 2004; Gallino 2007, cap. 2; Fullin 2004).

La pervasività della crisi che si è manifestata tra il 2008 e il 2013 è te- stimoniata dal fatto che essa ha investito anche le classi medie e dunque soggetti che un tempo erano “forti” e che godevano di uno status distintivo. La povertà è di ritorno o lambisce fasce sociali prima escluse, come il ceto medio impiegatizio (Negri 2007; Brandolini et al. 2009). Tali condizioni possono essere migliorate con interventi finalizzati al ristabilimento di un giusto equilibrio tra esigenze dei lavoratori e del mercato, varando una serie di misure di politica economica, dell’istruzione, del lavoro e dei redditi vol- te a neutralizzare il più possibile il potenziale negativo della precarietà e incertezza e a far fronte alle trasformazioni socio-demografiche realizzatesi nel secondo dopoguerra.

Dal punto di vista sociale, infatti, le diseguaglianze sono aumentate per gli strati sociali meno istruiti e qualificati, per un insieme di motivi legati alla disponibilità di denaro, alle relazioni che intrattengono, all’ambiente in cui vivono, al proprio patrimonio di conoscenze e di competenze in rela- zione al cosiddetto digital divide (Sartori 2006), alla possibilità di accedere a determinate risorse o di usufruire di particolari servizi, alle discriminazio- ni subite di carattere razziale o etnico (Giddens 2000), o dovute all’appar- tenenza di genere (Saraceno 19962; Barbagli 2000; Bauman 2004) o all’età

dei soggetti (Ferrera 2012, cap. 2).

Venendo infine all’analisi del mutamento culturale in seno alle società contemporanee, un posto di rilievo spetta al ricco dibattito sulla società multiculturale e ai conflitti di tipo etnico-religioso che si manifestano a se- guito delle migrazioni dai paesi poveri verso quelli ricchi (Ambrosini 2008; Sciortino 20163, pp. 209-228). Tra le conseguenze di questo tipo di tras-

formazioni vi è la rivalutazione delle culture e tradizioni locali e delle iden- tità specifiche con forti radicamenti territoriali e religiosi (Hungtinton 2001; Cotesta 2004).

Le appartenenze culturali e comunitarie sono spesso vissute come ulti- mo autentico baluardo nei confronti dell’impersonalità delle relazioni di mercato e riflettono la convinzione che esse siano state sacrificate sull’alta- re dell’omogeneità e dell’uguaglianza. La regressione cui oggi si assiste verso categorie e valori di stampo premoderno, con il ritorno in auge di e- spressioni dell’identità personale e collettiva, tese a rivalutare l’apparte- nenza razziale, etnica e sessuale, trova in questi processi il proprio alimen- to. Come reazione all’occidentalizzazione e alla modernità vengono con- trapposte antiche forme di solidarietà di tipo comunitario, anche in contesti iper-moderni come il comunitarismo tecnico (Demichelis 2010).

Altri mutamenti investono individui e istituzioni: i primi sembrano me- no definibili in base alle categorie socio-economiche invalse fino agli anni Settanta. L’individualizzazione appare marcata perché il singolo è divenuto in maniera crescente il perno e il soggetto delle trasformazioni (Elliott, Le- mert 2007; Beck, Beck Gernsheim 1996; Bauman 2002). Questi mutamenti segnano in molti casi una discontinuità con il modello evolutivo proposto dalla teoria sociologica classica non weberiana, e in specie dalle teorie della modernizzazione.

La realtà odierna è cambiata rispetto a quanto previsto dalle teorie so- ciologiche classiche e la traiettoria del cambiamento appare oggi ai più con- fusa, incerta e carica di incognite. Un esempio al riguardo può essere avan- zato relativamente al tema della qualità della vita e dell’impatto che le at- tuali condizioni avranno sul futuro delle attuali giovani generazioni.

Considerando l’evoluzione delle situazioni odierne  basta fare riferi- mento a quelle socio-economiche e lavorative sempre più difficili, ai fattori ambientali quali l’inquinamento che hanno un impatto sulla salute, come gli alti livelli di stress  si può pensare che alcune previsioni oggi formulate riguardo i cicli di vita potrebbero in futuro rivelarsi disattese (Bianco 2009; Case, Deaton 2016). Ciò imporrà probabilmente di ripensare il modello di mutamento sociale che sta “a monte” dei modelli previsionali, sulla base dei quali si realizzano misure di politica sociale con le quali governare la nostra vita quotidiana e il nostro futuro.

Dopo aver ricostruito la nozione di mutamento sociale nell’ambito del pensiero sociologico, veniamo ora all’analisi delle attuali tendenze di tra- sformazione globale.