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Capitolo 2: Zheng Chenggong

2.2 Il Conflitto Ming-Qing e il ruolo dei Zheng

2.2.3 I negoziati

La resistenza sulle coste fu avvantaggiata dalla quasi inesistente competenza marittima dei mancesi e dalla particolare caratterizzazione geografica della regione: le montagne dividevano il Fujian in due e impedivano loro di mantenere facilmente le posizioni acquisite; approvvigionare le scarne milizie locali e mandare loro rinforzi era un’impresa ardua e dall’esito comunque dubbio. Qualcosa però doveva essere fatto: Zheng Chenggong aveva dimostrato la sua potenza militare tenendo sotto assedio il porto di Quanzhou e conquistando gran parte delle città del distretto tra l’autunno del 1651 e l’autunno del 1652. Per sconfiggere il pericoloso avversario, i Qing decisero dunque di utilizzare il loro ostaggio Zhilong e condurre dei negoziati.

Dal settembre del 1652 vennero poste ulteriori restrizioni alla libertà di Zheng Zhilong a Pechino “per la sua protezione”; l’imperatore Qing, Shunzhi, spiegò in una direttiva al governatore di Zhejiang e Fujian che, se Zheng Zhilong si era dimostrato obbediente, forse era possibile ricondurre

45Carioti sottolinea l’ambivalente rapporto con gli europei, il cui atteggiamento, sempre più di stampo

colonialistico, pesava sulle comunità cinesi d’oltremare, sfruttate spesso come manodopera, vessate da tasse e leggi inique, punite con la morte in caso di ribellione. Non potendo rivolgersi a un governo cinese stabile, l’unico punto di riferimento di queste comunità era proprio l’organizzazione di Zheng, cui rivolsero più volte appelli e richieste d’intervento militare in loro soccorso. Tuttavia, sebbene si disprezzassero a vicenda, europei (specialmente gli olandesi) e Zheng Chenggong dipendevano da una mutuale cooperazione nell’ambito dei traffici marittimi (PatriziaCARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 104-105).

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Lynn A.STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag.156-157.

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all’obbedienza anche il resto della sua famiglia, e che in tal caso ai Zheng sarebbe stata concessa autorità per controllare le coste, sgominando pirati e lealisti Ming; in caso di rifiuto, invece, il governatore avrebbe dovuto procedere con l’eliminazione del clan48.

La lettera di Zheng Zhilong al figlio, voluta dall’imperatore Qing, non tardò ad arrivare; ma Zheng Chenggong, scaltro e ambizioso, non esitò a utilizzare i negoziati come ulteriore mezzo per espandersi a spese dei Qing, alternando dimostrazioni di buona volontà a risposte sagaci. È difficile, soprattutto oggi, capire le reali intenzioni di Zheng Chenggong: stava solo temporeggiando per poter approfittare del momentaneo cessate il fuoco, o stava davvero contemplando l’idea di arrendersi ai Qing? La sorte del genitore e dei parenti a Pechino gli era davvero indifferente? Qualunque siano le risposte, certo è che da tali negoziati l’unico a uscirne più forte di prima fu proprio Zheng Chenggong49.

Nel 1653 i Qing, tramite una lettera di Zhilong, fecero la loro offerta a Chenggong: un titolo nobiliare, la nomina a Comandante Regionale di Quanzhou e la facoltà di occuparsi dei mercantili e dei commerci marittimi del Fujian, raccogliendo tasse e tenendo alla larga i pirati, nonché la possibilità di mantenere tutti i suoi uomini, che avrebbero ricevuto un salario. La risposta di Koxinga fu inaspettatamente arrogante:

Dato che [i Qing] hanno già rotto la promessa con il padre, come può il figlio osare pacificamente fidarsi delle parole del padre? [...] Sono oggi passati molti anni, e ancora non si parla di titoli nobiliari, ancora non se ne parla di lasciare la città, e non puoi ottenere nemmeno di tornare a casa. Ci si può fidare di queste parole? […] Sebbene fossi stato tra i primi ad arrenderti, com’è che sei l’ultimo [a ricevere ricompense]? […] D’altra parte, tengo fermamente l’area costiera. […] Perché dovrei, in tale abbondanza, sottomettermi al controllo altrui? Parlando di Fujian e Guangdong, è chiaro che le circostanze sono favorevoli [a me] e sfavorevoli [ai Qing], come può la dinastia Qing non averne conoscenza?50

I mancesi presero tuttavia questa risposta come invito a osare di più; certo non avrebbero offerto ben tre province e il titolo di principe come richiesto, ma Shunzhi sembrava disposto a concedere altre tre prefetture e elevarlo al rango di Generale Placatore dei mari; nel frattempo ordinò alle proprie truppe di ritirarsi dalla costa del Fujian, per mostrare di essere in buona fede: Zheng

48Ibidem, pag. 158-159-160. 49Ibidem, pag. 161.

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ANG Ying, Congzhen shilu 從征實錄, cit. pag. 42-44, in Taiwan wenxian congkan n. 32, Taibei 1999; lo stesso brano viene citato e tradotto anche in Lynn A. STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag. 161.

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Chenggong non avrebbe avuto nulla da temere nell’andare personalmente a trattare con gli ufficiali dei Qing.

Più che sentirsi rassicurato da questi gesti, però, Zheng Chenggong decise di approfittare della situazione per ottenerne il maggior vantaggio: sapendo che sarebbero occorsi almeno due mesi per espletare gli scambi tra la sua base e Pechino, agì d’anticipo, mandando le sue truppe a occupare tutta l’area delle prefetture di Zhangzhou e Quanzhou, con la scusa di non poter aspettare per sfamare i suoi uomini. Le proteste delle autorità mancesi furono inesistenti o completamente inefficaci e Zheng Chenggong in poco tempo ricondusse tutto il Fujian sotto il controllo della sua organizzazione. Per evidenziare la propria posizione di vantaggio nei negoziati, ordinò al generale Zhang Mingzhen di tornare alla sua vecchia base a sud-ovest dell’isola Chongming, attorno alla foce dello Yangzi, in modo da poter attaccare le forze dei Qing stanziate in quell’area (le tre campagne contro le guarnigioni mancesi dello Yangzi furono portate avanti nell’autunno del 1653 e nella primavera del 1654, e solo nel luglio di quest’ultimo anno le forze di Zheng dovettero lasciare la loro base), mentre allo stesso tempo spediva missive ad altri alleati, nonché alla stessa corte di Yongli, incitandoli ad attaccare gli invasori a ovest51.

Convocato a Fuzhou dai mancesi per ricevere l’investitura promessa nella primavera del 1654, mandò al suo posto degli emissari che, rifiutandosi di inchinarsi in quella che a tutti gli effetti era casa loro, non vennero ricevuti. Poche settimane più tardi, gli ambasciatori Qing vennero invitati a spostare il luogo d’incontro più vicino ad Anping, la base dei Zheng, dove, nonostante il banchetto che fu preparato in loro onore, Koxinga si rifiutò di firmare qualsiasi documento. Ormai nemmeno l’offerta di svariate prefetture era più considerabile; Zheng addusse anche il pretesto di dover mantenere flotte ed eserciti molto grandi, e suggerì invece di concedergli uno status di regno tributario. Come era prevedibile, queste prime trattative si conclusero con un nulla di fatto52.

Dopo questo episodio, l’atteggiamento degli ufficiali Qing verso Zheng Chenggong si inasprì: il governatore mancese lo ammonì, accusandolo del poco riguardo che aveva per il padre e i familiari a Pechino, dell’assurdità delle sue pretese e del discredito che gettava sulla causa dei Ming. Alcuni dubitavano della sincerità delle sue azioni, vedendo come si era allargato a loro spese nel Fujian, e insistevano sull’urgenza di sottometterlo all’autorità e alle leggi dei Qing per evitarne una ancora più rapida espansione.

Solo grazie all’intercessione del padre Zhilong l’imperatore Shunzhi decise di concedere a Chenggong un’altra occasione, mandando in agosto due dei suoi fratellastri come ambasciatori e avvisandolo di essere ragionevole e prendere una saggia decisione al più presto. Dopo che un Gran

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Ibidem, pag. 162.

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Segretario della corte Qing fu mandato a Fuzhou a presiedere i nuovi negoziati, si aprì una nuova discussione sull’adozione da parte di Koxinga della pettinatura mancese: i Qing insistevano che Zheng Chenggong si radesse il capo prima dell’investitura ufficiale, mentre ovviamente l’interessato dichiarava di potersi radere solo dopo53

. Quando gli emissari cominciarono a mostrare segni d’impazienza, Chenggong scrisse loro personalmente che era sua intenzione accettare le richieste e la pettinatura mancese, lamentandosi però di non aver ricevuto un trattamento dignitoso. Si giunse al punto che i suoi fratellastri e altri uomini al servizio di Zhilong lo implorarono, per le loro vite, di non far fallire di nuovo i negoziati, ma pare che Chenggong fosse irremovibile sulle sue decisioni. Al che, vedendo che nessun passo indietro sarebbe stato fatto dall’orgoglioso capo dei Zheng, e dubitando ancora di più della sua condotta, gli ambasciatori si ritirarono in novembre e i negoziati saltarono per la seconda volta54.

In una lettera al padre, Zheng Chenggong spiegò il suo punto di vista su tutta la questione:

[…] le discussioni di pace non sono mai state una mia idea. […]Mi sono però sentito obbligato a trattenere i miei soldati e mostrarmi in buona fede. […] Ma quando chiesi un territorio più grande in cui collocare le mie centinaia di migliaia di truppe e creare stabili basi per la riabilitazione [della provincia], com’è che mi sono in qualche modo sentito dire di “parlare in modo assai irragionevole e di star arrogantemente facendo richieste insaziabili”? […] volevano [divorarmi] proprio come prima hanno divorato mio padre, e io l’ho sempre sospettato. […] C’è mai stato sulla terra un uomo che subito si sottomette, prima di aver ricevuto dei territori, o che si rade la testa prima di una tale dichiarazione? […] Semplicemente, se i Qing fossero stati

53Per quanto possa sembrare cavillare la questione, Hang Xing spiega come l’adozione della pettinatura e

vesti dei “barbari” del nord rappresentasse la rinuncia totale alle tradizioni e alla cultura propriamente Han; anche per questo pure Zheng Jing, nel momento in cui si trovò anche lui a negoziare con i Qing, rifiutò di radersi la testa, e preferì cercare di ricreare a Taiwan, una terra avvertita come “selvaggia” non meno dei mancesi, uno stato cinese, piuttosto che rimanere nella terra dei propri avi ma sottomessi a dei barbari (HANG

Xing, Between Trade and Legitimacy, Maritime and Continent:The Zheng Organization in Seventeenth-

Century East Asia, pag. 28-29, 233-237). La perdita della fluente capigliatura Ming era forse anche avvertita

come perdita di virilità, come una sorta di “castrazione spirituale”, come un’offesa ai propri antenati e perciò come insulto e violazione delle norme confuciane: a centinaia morirono per mano dei mancesi piuttosto che sacrificare i propri capelli (ibidem, pag. 61-62).

54Durante le trattative, giunsero ad Anping delle richieste dalla corte di Yongli per assistenza militare

nell’attacco alle postazioni mancesi a Guangzhou; anche se Chenggong tenne segreti questi contatti con i Ming, gli emissari Qing cominciarono a sospettare qualcosa (Lynn A. STRUVE, The Southern Ming1644- 1662, pag. 163-164).

48 capaci di credere alle mie parole, sarei diventato un uomo dei Qing; ma dato che non hanno creduto alle mie parole, io [rimango] un servitore dei Ming. […] In verità, la dinastia Qing ti tratta, padre, con superficiale cortesia, ma dentro di sé ti vedono come una merce rara. […] è chiaro che vogliono usare il padre per costringere il figlio, prima in un modo e poi in innumerevoli modi. Ma certo [tuo] figlio non è un uomo che può essere costretto! Per di più, quando tu, padre mio, andasti a vedere i nobili mancesi, ti infilasti in un guscio, e che tu sia sopravvissuto fino ad oggi è una grande fortuna. Ma se per qualche disgrazia tu dovessi incontrare la sventura, sarebbe una questione decisa dal Cielo e dal Fato! Tuo figlio allora potrebbe solo vendicarti con pietà filiale e lealtà indossando le vesti del lutto.55

Il rapporto di Koxinga con il padre presenta, secondo Croizier, delle sfumature quasi freudiane: diverso innanzitutto per la scelta di carriera (ricordiamo l’iniziale vocazione letteraria di Chenggong, mentre Zhilong la sua fortuna l’aveva ottenuta con i mezzi non del tutto legali del commercio e della pirateria), fu la decisione di rimanere fedele ai Ming nonostante gli ordini del padre a marcare un punto di non ritorno della sua vita, senza contare che Chenggong poteva considerarsi figlio anche di un altro padre, l’imperatore Longwu. Questo nuovo rapporto di pietà filiale, dove la figura del “padre” e quella del “sovrano” si andavano a sovrapporre perfettamente, fornì forse a Chenggong il pretesto per ribellarsi al padre biologico e “falso”, senza tuttavia tradire gli ideali confuciani. La storiografia nazionalista moderna, sulla base di ciò, ha persino nutrito l’improbabile leggenda che sul campo di battaglia Koxinga sventolasse una bandiera con la scritta “Uccidi il padre e ripaga il Paese” (sha fu bao guo, 杀父报国). Le lettere tra Chenggong e Zhilong di quando quest’ultimo si trovava a Pechino come ostaggio rivelano comunque che Koxinga avesse ben chiaro a chi rivolgere la sua pietà filiale, persino quando la vita di Zhilong era in pericolo56; nel 1656 infatti Zhilong venne incarcerato dai Qing, ma il figlio rispose alle sue successive suppliche quasi con sdegno, dicendo che lui stesso si era “gettato tra le fauci della tigre”57

. Croizier aggiunge che la decisione di contravvenire agli ordini e suppliche del padre naturale non fosse solo lealtà alla sua dinastia, ma anche un modo per ripudiare un padre “indegno” ed esprimere lealtà al defunto padre adottivo58, senza contare che in alcune missive Koxinga espresse a chiare lettere il risentimento per il padre traditore:

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YANG Ying, Congzhen shilu 從征實錄, cit. pag. 65-68, in Taiwan wenxian congkan n. 32, Taibei 1999; lo stesso passaggio è tradotto e citato anche in Lynn A.STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag. 164-165.

56

Ralph C. CROIZIER, Koxinga and Chinese Nationalism: History, Myth and the Hero, pag. 13, 46-47.

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Lynn A.STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag. 181.

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49 Da quando ho rifiutato di obbedirti, caro padre, sono passati otto anni ad oggi. Eppure mio padre non mi riconosce già più come suo figlio, e anche io non oso considerarmi suo figlio. […] Sin dall’antichità si è detto di tenere la giustizia al di sopra della propria famiglia. […] Tutto ad un tratto mi parli con severità e desideri farmi cambiare la mia lealtà in pietà filiale.59

Per quanto riguarda i risultati delle trattative, solo l’idea che Chenggong potesse avanzare pretese di semi-sovranità su un territorio di tre province (Fujian, Zhejiang e Guangdong), mantenendo un sistema governativo Ming, era oltraggiosa per la corte Qing, che non aveva intenzione tanto di trovare una soluzione pacifica con l’avversario, ma piuttosto cercava di ammorbidirlo per poi sottometterlo ai propri ordini, come aveva già fatto con altri generali nel nord dell’Impero. Se Zheng Chenggong poi reclamasse questo territorio per l’imperatore Yongli o per se stesso, è ancora una questione dibattuta dagli storici. In ogni caso, nessun accordo fu chiaramente trovato, e i Qing, una volta intuito il raggiro, abbandonarono qualunque nuovo tentativo di negoziato.

Il 23 gennaio 1655 i Qing affidarono al Generalissimo Jidu il compito di sterminare i Zheng ribelli, che stavano ora cercando di completare la conquista delle prefetture di Zhangzhou e Quanzhou60.