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I Zheng e il Giappone

Capitolo 2: Zheng Chenggong

2.3 I Zheng e il Giappone

2.3.1 Prima fase dell’alleanza: Zheng Zhilong

Nel 1633 il Giappone era entrato nel suo periodo di “chiusura”, il cosiddetto sakoku, grazie agli editti kaikin (海禁, “divieto marittimo”), diretti però più nei confronti dei Paesi iberici e gli europei in generale che non verso i cinesi, con cui avevano continuato a mantenere rapporti commerciali a Nagasaki grazie all’Ufficio degli Interpreti cinesi (Tō tsūji kaisho, 唐通事会所) 79

. I tōjin, inoltre, erano favoriti dalle leggi giapponesi rispetto agli olandesi, che come loro risiedevano a Nagasaki (confinati però nell’isolotto artificiale di Deshima): coloro che abitavano in Giappone da molto tempo, potevano diventare sudditi giapponesi a tutti gli effetti, rinunciando però al loro diritto di lasciare l’arcipelago; coloro che invece sceglievano di mantenere cittadinanza cinese, come i mercanti, potevano comunque muoversi liberamente entro i confini della città, oltre che lasciare l’arcipelago e tornare a piacere. Di questi ultimi soggetti si occupava un ministero creato ad hoc, poi trasformato in una corte d’appello per le dispute che spesso occorrevano tra i mercanti cinesi e la VOC; sulle dispute tra VOC e i mercanti cinesi, nello specifico i Zheng, si ricorda in particolare il risentito appello da parte degli olandesi allo shōgun a proposito della cattiva condotta di Zheng Zhilong nel 1641, quando questi ruppe l’accordo di vendita esclusiva di seta agli olandesi. Il Giappone fu parziale anche in questo caso, ammonendo la VOC di non attaccare i vascelli dei Zheng, pena la morte. Hang Xing sostiene che da questo momento il legame formatosi tra il pirata più ricco dei mari asiatici e il Giappone aveva preso la forma di un’alleanza, che non sarebbe stata scordata da Zheng al momento del bisogno80.

Infatti, nel 1645, all’indomani della caduta di Nanchino nelle mani mancesi, arrivò allo shōgun Tokugawa Iemitsu (il terzo shōgun Tokugawa) la prima richiesta d’aiuto da parte dei Ming, redatta da Zheng Zhilong in persona. Tuttavia, la penetrazione mancese aveva messo l’arcipelago in allarme: le tentate invasioni degli Yuan del 1274 e 1281 erano ancora fresche nella memoria dei giapponesi, che cercarono di mantenere un atteggiamento neutrale, considerando che nel proprio territorio ospitavano sia i cinesi lealisti della dinastia Ming sia gli olandesi, i cui interessi pendevano

78Patrizia C

ARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 131.

79Ibidem, pag. 79. Sull’ambiguità del termine sakoku si esprime anche H

ANG Xing, in “The Shogun’s Chinese Partners…”, pag. 111-112.

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sempre di più verso la nuova dinastia dei Qing. Così la prima risposta dello shōgun a Zhilong era rimasta su toni ambigui, adducendo come pretesti puri formalismi, come il divieto giapponese di esportare armi (che era già stato comunque infranto nel 1628 dallo stesso shōgun) e l’impossibilità di presentare all’Imperatore del Giappone il testo in quella forma81

. Fu permesso però alla moglie di Zhilong, Tagawa Matsu, di raggiungerlo sul continente, sebbene il divieto ufficiale per i giapponesi di lasciare il Paese fosse attivo già da cinque anni; l’astuto pirata intuì comunque che i giapponesi avevano lasciato apposta uno spiraglio aperto alle trattative, e all’inizio del 1646 portò personalmente una nuova richiesta d’aiuto, con cui domandava non solo l’invio di armi e truppe, ma anche del fratello minore di Chenggong, Shichizaemon. Nessuna risposta chiara venne data, ma i dibattiti sull’argomento fiorivano negli ambienti governativi82

.

Tokugawa Iemitsu temporeggiava per raccogliere più dettagli sul conflitto dinastico e sulle reali intenzioni di Zheng Zhilong tramite i suoi informatori. Addirittura, Patrizia Carioti riporta l’ipotesi di alcuni studi giapponesi, secondo cui Iemitsu stesse organizzando un piano per inviare sì milizie in Cina, ma non in aiuto dei Ming, bensì di offensiva ai Zheng: non era una missione di soccorso, era piuttosto una missione di conquista del continente83.

Tuttavia, il dibattito e i piani di Iemitsu si dissolsero in un nulla di fatto: nel dicembre del 1646 giunse a Nagasaki la notizia della caduta di Longwu e della resa di Zhilong. Il Giappone non sarebbe intervenuto84.

2.3.2 L’apice dell’alleanza: Zheng Chenggong

Quando l’eredità dell’organizzazione dei Zheng passò a Chenggong, questi fu abile a mantenere il contatto con i governatori del Giappone: nel 1651 scrisse di proprio pugno una lettera al quarto

shōgun, Ietsuna, che acconsentì a stabilire una relazione formale con il nuovo capo dei Zheng. Il

governo giapponese considerava infatti positiva la sua presenza come mediatore con i tōjin: il suo doppio legame con i cinesi e la sua terra natale giapponese, di cui conosceva bene i costumi e le leggi, lo rendeva un partner commerciale affidabile; la sua fedeltà alla dinastia Ming suscitava

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Patrizia CARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 80. Struve aggiunge anche che Iemitsu utilizzò la rottura delle relazioni ufficiali tra il Giappone e i Ming come ulteriore pretesto (Lynn A. STRUVE, The Southern

Ming1644-1662, pag. 118).

82

HANG Xing, in “The Shogun’s Chinese Partners…”, pag. 118.

83

Patrizia CARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 81-82.

84

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inoltre simpatia tra i giapponesi, che dal 1644 accettavano di commerciare solo con mercanti anti- mancesi85.

Hang Xing fa notare comunque che i rapporti tra Zheng Chenggong e il governo giapponese rimasero molto ambigui, beneficiando sia delle caratteristiche del commercio nazionale che di quello internazionale: Zheng Chenggong, così come il fratello Shichizaemon, che lo aiutava gestendo i commerci a Nagasaki e distribuendo le deleghe shogunali, venivano trattati più come vassalli cui era affidato il controllo della comunità di cinesi viaggiatori; sudditi giapponesi per nascita, ma discendenti di un semplice ashigaru, potevano rapportarsi con il governo solo in qualità di subordinati dei magistrati di Nagasaki. Fuori dall’arcipelago, tuttavia, erano i Zheng i padroni dei mari, ed era sotto alla loro protezione che i mercanti cinesi potevano commerciare indisturbati. Grazie ai suoi agenti in Giappone, inoltre, Zheng Chenggong aveva creato una rete di contatti che comprendeva anche importanti personalità e ufficiali giapponesi, mentre, da parte sua, lo shōgun continuava ad applicare le leggi nazionali a protezione del commercio cinese, favorendo implicitamente i Zheng contro gli olandesi: i vascelli della VOC, infatti, spesso aggredivano le navi cinesi, ma Chenggong non esitava a denunciare le loro azioni al magistrato di Nagasaki, il cui giudizio pendeva sempre dalla sua parte86.

Ovviamente i Zheng non avevano desistito dai loro tentativi di ottenere aiuto bellico nel conflitto dinastico dal partner giapponese: nel 1647 Chenggong aveva spedito una prima missiva, chiedendo l’invio di truppe giapponesi, sottolineando il suo speciale legame con il Giappone e la nostalgia che provava per la sua terra natale87. Se le risposte da parte del governo rimasero ambigue, è possibile

85Ibidem, pag. 119. Questa preferenza dei Zheng sui mercanti piegatisi al gioco dei Qing (distinguibili dalla

rasatura e il codino “alla mancese”) potrebbe essere stato anche un blando tentativo da parte dei Tokugawa di concludere l’opera iniziata da Ieyasu, cioè riallacciare con i Ming un rapporto diplomatico ufficiale; in ogni caso, la prudenza consigliava di rimanere più neutrali possibili nel conflitto dinastico del continente, e lo

shōgun Ietsuna preferì favorire i Zheng solo in via ufficiosa e solo quando ciò rientrava negli interessi

giapponesi (Patrizia CARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 123).

86H

ANG Xing, in “The Shogun’s Chinese Partners…”, pag. 120-122, e Patrizia CARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 120: inizialmente i vascelli della Compagnia Riunita assalivano le navi dei Zheng anche al largo delle coste giapponesi, finché i Tokugawa non emisero un editto che proibiva loro qualunque aggressione e che valse loro l’epiteto di kaizoku (海賊, “pirati”).

87Carioti e Struve affermano invece che la prima richiesta di “decine di migliaia di soldati” da parte di

Chenggong fu spedita nel 1648, e arrivò insieme alla proposta di Zheng Cai di barattare erbe medicinali e sete con armamenti giapponesi; persino dopo la caduta di Longwu, gli affiliati dei Zheng, così come altri sostenitori dei Ming, avevano continuato a inoltrare petizioni di soccorso al Giappone, anche tramite canali

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che Koxinga fosse comunque riuscito a ottenere l’aiuto di militari giapponesi, nonché di samurai, attraverso canali meno ufficiali. Di certo Chenggong rappresentava ormai un alleato fondamentale nell’ambito del mercantilismo sino-giapponese, e non era prudente ignorarne le richieste; i giapponesi accettarono di fornirgli metalli e armamenti88, ma permane ancora il dubbio se Ietsuna Tokugawa avesse mai acconsentito a coadiuvarlo con delle truppe. Non è chiaro se alla seconda missiva del 1658 seguì l’invio effettivo di soldati; anche se fosse, arrivarono comunque troppo tardi per soccorrere i Zheng, sconfitti a Nanchino. Quando nel 1660 Chenggong spedì l’ultimo reclamo, le gravi perdite subite nella disastrosa campagna contro i Qing servirono da pretesto per rifiutare ancora l’invio di uomini, anche se i giapponesi continuarono a rifornirlo di armi89

.

Bisogna tenere presente, inoltre, che, nonostante la lealtà dimostrata dai Zheng alla propria dinastia suscitasse ammirazione nei giapponesi, il governo Tokugawa non nutriva stima per i Ming, né una particolare simpatia: in fondo era già quasi un secolo che i Ming si rifiutavano di riaprire il commercio ufficiale con il Giappone, senza contare che la resistenza che stavano opponendo ai Qing si stava rivelando del tutto inefficace, disorganizzata e disgiunta; anche se il Giappone avesse preso parte al conflitto in loro favore, avrebbero ottenuto la vittoria? Le prospettive sembravano tutt’altro che positive. Sebbene i Tokugawa fossero turbati dalla costituzione di un impero mancese, in particolare in seguito alla conquista dei Qing della Corea, la scelta di non intervenire direttamente si rivelò la più saggia: imbarcarsi in un conflitto come quello Ming-Qing, per un governo che doveva ancora stabilizzarsi a seguito delle estenuanti lotte intestine del periodo sengoku e che si affidava alla politica del sakoku per consolidare la propria autorità, avrebbe significato l’indebolimento dell’economia giapponese e la perdita del controllo sui signori feudali e sui coloni europei, che avrebbero potuto approfittarne per attaccarlo90.

Questa scelta di ufficiale neutralità fu perfettamente in linea con la politica prudente attuata negli anni precedenti, specie nel momento in cui l’Olanda si schierava apertamente con i Qing; ospitando nella baia di Nagasaki sostenitori di entrambe le parti, era chiaro che il Giappone non avrebbe potuto allinearsi con nessuno in modo netto, pena il crollo del già fragile equilibrio commerciale91.

meno ufficiali (ad esempio, contattando direttamente i daimyō delle coste), per un lasso di tempo che arriva fino al 1686. Zheng Cai aveva addirittura pregato gli agenti delle Ryūkyū di agire come loro intermediari presso lo shōgun (Lynn A. STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag. 119, e Patrizia CARIOTI, Zheng Chenggong, pag. 121).

88

Ibidem, pag. 122-123.

89

HANG Xing, in “The Shogun’s Chinese Partners…”, pag. 122-125.

90

Lynn A.STRUVE, The Southern Ming1644-1662, pag. 120.

91

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Se infatti già la concorrenza nel commercio degli stessi prodotti (tra cui le sete) in tutti gli scali che avevano in comune e la schiacciante supremazia cinese, dovuta sia alle abili strategie di mercato attuate da Zheng Chenggong sia ai favoritismi del governo giapponese, li avevano resi rivali acerrimi, la difficile situazione politica del continente seminava ulteriore zizzania tra le due parti contendenti. Tra i Zheng e gli olandesi ora le ostilità non potevano più essere soffocate in un forzato rapporto diplomatico92.