• Non ci sono risultati.

Tecnica del colpo di Stato: una «storia romanzata»

3. L A RICERCA ESPRESSIVA DEGLI ANNI T RENTA TRA GIORNALISMO E LETTERATURA

3.1. Tecnica del colpo di Stato: una «storia romanzata»

Technique du coup d'État fu concepita e iniziata dallo scrittore durante il periodo torinese, in francese, e pubblicata presso Grasset a Parigi nel 1931. Il trasferimento a Parigi fu dovuto all'inopportunità di restare in Italia durante l'uscita del libro, di cui Mussolini aveva vietato l'edizione italiana3, come fece anche Hitler

1 Vd. M. S

ERRA, Malaparte. Vite e leggende, Venezia, Marsilio, 2012, pp. 167-171. Scrive

Malaparte in una lettera a Borelli del 12 maggio 1933, dopo aver lasciato Torino e l'Italia da due anni: «Sono stato un pessimo direttore di giornali, pessimo poiché non ubbidivo ciecamente a tutte le bestialità criminali che mi ordinavano di fare da Roma, criminali giornalisticamente, intendiamoci» (in MAL III, p. 233).

2 Tali riflessioni confluirono poi in Intelligenza di Lenin (Milano, Treves, 1930), raccolta e

rielaborazione degli articoli de «La Stampa», e in Le bonhomme Lenine (Parigi, Grasset, 1932), una originale biografia di Lenin in forma di racconto, composta in francese quando già l'autore si era trasferito a Parigi, nella quale il rivoluzionario russo veniva descritto, lontano dalle idealizzazioni romantiche e dalle demonizzazioni occidentali, come “un uomo semplice”, un “buonuomo”, un piccolo borghese più europeo che asiatico.

3 Bisogna però ricordare che una parte fu pubblicata su «L'Italia letteraria», in due puntate

intitolate Trotzki e il colpo di Stato (il 26 luglio e il 2 agosto 1931), corrispondenti al capitolo primo dell'edizione francese e ai capitoli VIII-X dell'edizione italiana (vd. L. MARTELLINI, Notizie sui testi, in C. MALAPARTE, Opere scelte, cit., pp. 1520-1521).

con l'edizione tedesca. Fu in questi anni parigini che andò maturando sempre più coscientemente il distacco ideologico dal regime e la scelta di dedicarsi solo alla letteratura e alle corrispondenze per il «Corriere della Sera»4. Emergono i segni di

uno stato d'animo fortemente deluso e critico, che sembra diventare una crisi di coscienza5 nel momento in cui sarà condannato al confino nel 19336, uno dei periodi

più bui e tristi della sua vita, che lo portò, dopo una stagione di forte interventismo politico e culturale, a rivolgersi verso la propria interiorità, e a trovarvi la letteratura: proprio negli anni del confino maturò la narrativa malapartiana.

Nonostante non possa essere definita un'opera narrativa, Technique du coup d'État presenta caratteristiche che saranno sviluppate negli anni successivi nelle prose narrative e nei romanzi. Essa comparve in Italia solo nel 1948 – con il titolo Tecnica del colpo di stato7 – a guerra e fascismo finiti: ciò ovviamente ha influito sul

suo autore, che intervenne sul testo per ritoccarne lo stile e la struttura dei capitoli8.

4 Già nel 1931 egli scriveva a Borelli che il suo approdo a Parigi non era una fuga dall'Italia,

ma aveva la necessità di curare i suoi interessi «che erano diventati quasi esclusivamente letterari» (lettera a Borelli del 18 agosto 1931, in MAL II, p. 780). A favore di tale distacco, giocò però anche l'atteggiamento ostile e diffamatorio di cui era fatto oggetto in patria. Un suo articolo intitolato Guichiardin moraliste méprisable, uscito sulla rivista francese «Les Nouvelles Littéraires» (25 marzo 1933), suscitò molte polemiche in Italia: vi era espressa una forte ostilità nei confronti di Hitler (cosa tra l'altro chiara fin dalla Technique du coup

d'Etat), ma il riferimento alle dittature moderne e a Mussolini era stato interpretato come un

attacco nemmeno troppo velato al regime fascista.

5 Si vedano soprattutto le lettere agli amici francesi, con i quali forse si sentiva più libero di

esternare i suoi pensieri, in particolare: la lettera a Daniel Halévy del 27 gennaio 1933 (in MAL III, pp. 175-176); e la lettera a Bessand-Massenet del 9 settembre 1933 (in MAL III, pp. 289-290).

6 Nel dicembre 1932 aveva scritto delle lettere a Nello Quilici contro Italo Balbo, che giunsero

al ministro e provocarono la sua denuncia. Fu accusato di «manifestazioni antifasciste all'estero», un'accusa molto grave, poi diventata «offesa e calunnia di ministro in carica», e condannato a cinque anni di confino nell'isola di Lipari. Alla fine scontò solo due anni circa: dopo essere stato trasferito prima a Ischia e poi a Forte dei Marmi, fu prosciolto dal confino nel giugno del 1935. Tutta la vicenda è ancora incerta (si rimanda a G. PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, cit. pp. 254- 262; M. SERRA, Malaparte. Vite e leggende, cit., pp. 194-206).

7 C. M

ALAPARTE, Tecnica del colpo di stato, Milano, Bompiani, 1948.

8 Come dimostrato da Giorgio Luti, le due edizioni, quella francese del 1931 e quella italiana

del 1948 non sono uguali, tanto che il critico ha parlato di “due Tecniche” malapartiane. Le principali modifiche riguardano la ristrutturazione radicale dei capitoli, che da otto diventano sedici nell'edizione italiana: la materia cioè viene frantumata e diluita e disposta anche in modo diverso, eliminando i titoli che i capitoli recavano nell'edizione francese. È interessante notare che la rivoluzione bolscevica e il fascismo assumono una maggiore centralità; ciò è frutto di una più approfondita riflessione sul ruolo di alcuni avvenimenti, ma la sostanza dell'opera resta invariata. Si rimanda per un approfondimento a: G. LUTI, Due paragrafi su Curzio Malaparte, in Cronache dei fatti di Toscana. Storia e letteratura tra Otto e

Nella premessa che Malaparte aggiunse all'edizione italiana, intitolata Che a difendere la libertà ci si rimette sempre, egli traccia la storia del libro, mescolando fatti veri e inventati, e al solito ricontestualizza la materia del “saggio” nel nuovo panorama italiano. I dati autobiografici sembrano essere funzionali anche all'instaurazione nel lettore di un meccanismo di identificazione tra l'autore e il narratore in prima persona, che ha come effetto quello di assumere come vero o verisimile tutto ciò che viene raccontato, poiché dato sotto la forma della “testimonianza” (un meccanismo portato a compimento in Kaputt). Nonostante l'intento auto-apologetico di questo scritto proemiale, esso pone una questione di capitale importanza per gli intellettuali che vivono sotto una qualsiasi dittatura in qualsiasi tempo: il problema della libertà intellettuale e della sua difesa. In un'ottica – quella malapartiana – in cui la letteratura non può prescindere dalla vita, l'attività letteraria non può ignorare le condizioni politiche, sociali, e culturali entro cui essa si svolge. Ogni parola scritta o pronunciata diventa allora un atto di difesa della libertà perché, scrive Malaparte,

Non è vero che non ci si guadagna nulla a difendere la libertà. Ci si guadagna sempre qualcosa: se non altro almeno quella coscienza della propria schiavitù, per cui l'uomo libero si riconosce dagli altri. Poiché “il proprio dell'uomo, come scrivevo nel 1936, non è di vivere libero in libertà, ma libero in una prigione”9.

Il libro, tradotto presto nei maggiori paesi europei, ottenne nel 1931 un clamoroso successo internazionale; essa suscitò l'ammirazione degli «uomini liberi», per i quali valeva come un manifesto antifascista e antinazista, ma anche le ostilità dei governi democratici (che la reputavano un «Manuale dell'arte di impadronirsi dello stato con la violenza») e dei governi totalitari (che invece la consideravano «una sorta di Manuale del perfetto rivoluzionari»)10. Partendo da una analisi delle

attuali condizioni degli Stati europei, egli afferma che il pericolo di un colpo di Stato, sia fascista che comunista, fosse concreto in ogni nazione europea, MALAPARTE, Opere scelte, cit., pp. 1519-1529).

9 TCS, p. XXXIII. L'autocitazione è tratta dalla prefazione alla prima edizione della raccolta

Fughe in prigione, di cui ci occuperemo più avanti.

indipendentemente dalla situazione politica, sociale, economica in cui essa si trovasse11. Egli dichiara, inoltre, che la sua non è una imitazione del Principe di

Machiavelli12, ma un'opera d'attualità su «come si conquista uno Stato moderno e

come si difende», la quale, afferma Malaparte, è una questione tecnica e non politica o militare (com'era ai tempi di Silla, di Catilina, di Cesare). L'Europa attuale è terreno di scontro tra i difensori dello Stato e i «catilinari», cioè i “rivoluzionari” sia di destra che di sinistra (fascisti e comunisti). Conoscere i principi fondamentali dell'arte moderna di conquistare lo Stato è indispensabile anche per poterlo difendere: questa “tecnica” moderna è stata messa in pratica per la prima volta nella rivoluzione d'ottobre del 1917 da Trotzki, ed è anche l'unica che può difendere lo Stato, perché secondo l'autore alla tattica comunista si deve opporre la tattica comunista, a Trotzki opporre Trotzki, non Kerenski, cioè i sistemi di polizia e di repressione autoritaria, completamente inutili contro i nuovi catilinari.

Il racconto della rivoluzione russa occupa più o meno la parte centrale dell'opera, e si dispiega per più capitoli, fino alla vittoria di Stalin: essa è il modello esemplare di conquista dello Stato moderno, e anche della sua difesa; e si oppone al colpo di stato tradizionale, esemplificato dalla tattica bonapartista, in cui lo strumento militare è subordinato al rispetto apparente della legalità istituzionale, l'unico conosciuto dai governi europei, convinti che le garanzie parlamentari e poliziesche siano sufficienti a sventare qualsiasi golpe.

La rivoluzione bolscevica dell'ottobre del 1917 ha dimostrato, invece, che la conquista dello Stato moderno si basa su una “tecnica” contro cui non valgono né parlamenti né polizia. Può essere applicata in qualsiasi Stato poiché prescinde dalle condizioni economiche, sociali, politiche e culturali di esso: «l'insurrezione non è un'arte», fa dire l'autore a Trotzki, considerato il creatore di tale tecnica, in un dialogo con Lenin, «è una macchina. Occorrono dei tecnici per metterla in moto: nulla potrebbe arrestarla, nemmeno delle obbiezioni. Soltanto dei tecnici potrebbero

11 Il contenuto dell'opera è espresso in una lettera a Bernard Grasset del 22 dicembre 1930,

in MAL II, pp. 694-695.

12 «L'exemple du Prince me pourrait servir pour ajouter que le but de mon ouvrage serait de

arrestarla13». Il suo nucleo operativo è la «truppa d'assalto», composta da pochi

uomini specializzati e altamente formati per occupare e conquistare i centri nevralgici delle città, non i palazzi del governo e del potere politico, ma le vie di comunicazione, i ponti, le ferrovie, le stazioni idrauliche, elettriche, telegrafiche e le fabbriche. A differenza della tattica bonapartista, la tecnica comunista rompe gli indugi legalitari e non ha bisogno dell'esercito: «per impadronirsi dello Stato moderno occorre una truppa d'assalto e dei tecnici: delle squadre d'uomini armati, comandate da ingegneri14». È un prodotto della civiltà moderna,

dell'industrializzazione e delle “macchine”: la riflessione sulla modernità si allarga dunque dal campo culturale a quello politico-militare e tecnologico, che continuerà anche negli anni successivi quando constaterà amaramente le conseguenze del progresso tecnologico e della civiltà della tecnica nelle macchine distruttrici della guerra.

L'«eretico» Trotzki perse però la battaglia contro Stalin, che applica la stessa tattica comunista per difendere lo Stato. Stalin è il primo dei tre dittatori minuziosamente descritti da Malaparte: sono fissati nelle loro caratteristiche fisiche e morali, in uno stile icastico che si nutre di una grande capacità di osservazione degli uomini. Tutta la descrizione si regge sulla contrapposizione tra i poli dell'Occidente e dell'Oriente, del civile e del barbaro, dell'urbano e del rurale, che rimanda ai saggi giovanili sul dramma della modernità e sullo spirito controriformistico. Già nella Rivolta dei santi maledetti aveva accostato il popolo russo e il popolo italiano in un cammino rivoluzionario, seppur di segno opposto; e nei saggi aveva sottolineato la natura “orientale” dell'Italia.

La “rivoluzione” fascista, afferma l'autore, è figlia della tattica insurrezionale comunista. Il racconto del colpo di stato di Mussolini è condotto attraverso un espediente narrativo che permette di entrare dentro i fatti, svelandone i meccanismi nascosti e i movimenti segreti: il narratore incontra Israel Zangwill, scrittore inglese, arrestato dai fascisti fiorentini al suo arrivo in città nell'ottobre del 1922, ed è colui che fa in modo che quello venga rilasciato. A questo punto egli accompagna 13 TCS, p. 83.

Zangwill in giro per la città a vedere in che modo si svolge il colpo di stato fascista, per convincerlo che non è una commedia, che Mussolini non ha fatto un patto con il Re, come è convinto l'inglese. Come spiegò nel Memoriale del 1946, Israel Zangwill era stato davvero arrestato dai fascisti a Firenze, ma poi era tornato in albergo. Malaparte approfitta di questo episodio e lo trasforma nella molla narrativa dei capitoli sul golpe di Mussolini15. Così può trascinare Zangwill e il lettore dentro il

colpo di stato fascista, per mostrarne tutto il carattere violento e serio, a dispetto di una retorica che vuole che le cose d'Italia si svolgano all'insegna di congiure e compromessi, come nel tempo antico di Roma e nelle corti del Rinascimento. Mussolini è invece «un uomo moderno, freddo e audace, violento e calcolatore16», e

il suo gioco politico si affida a una tattica insurrezionale moderna di tipo comunista. Malaparte getta un colpo di spugna sulla retorica imperiale e romantica che aveva ricoperto la marcia su Roma allo scopo di mascherare il carattere illegale e violento della presa del potere: «Ci si meraviglia, davanti a quelle rappresentazioni del corpo di Stato fascista che Mussolini abbia potuto rovesciare il governo di Facta e impadronirsi del potere17». Dall'interpretazione del colpo di stato mussoliniano che

l'autore dà in quest'opera possiamo misurare la distanza che ormai separa l'intellettuale Malaparte dal fascista intransigente Suckert: non vi sono più i toni enfatici, la violenza espressiva e il sarcasmo aggressivo degli anni giovanili, ma una ironia più sottile, il distacco dai fatti tipico dello scrittore che osserva la vita. L'ultimo capitolo dell'opera è dedicato a Hitler, che chiude la serie di ritratti di dittatori e dei loro tentativi rivoluzionari. Se Mussolini, Trotzki, Stalin sono descritti come uomini forti, capaci di imporsi in modo autoritario e violento sulla scena politica attraverso una tattica che non ha paura di violare le leggi, al futuro dittatore tedesco Malaparte dedica una descrizione parodistica e beffarda, dalla quale traspare antipatia e diffidenza. Hitler è una «caricatura di Mussolini», ma del Mussolini delle oleografie; vorrebbe imitare il duce interpretandolo alla tedesca, «il suo eroe ideale è un Giulio Cesare in costume tirolese18». A differenza di Mussolini,

15 Si leggano le pagine del Memoriale in MAL II, pp. 724-725. 16 TCS, p. 161.

Hitler è un reazionario, e la sua tattica per la conquista dello Stato è dominata dalla preoccupazione di giungere al potere sul terreno elettorale e legalitario, con la conquista del Reichstag: «è da eroe civile, da difensore della legge, da restauratore della tradizione nazionale, da servitore dello Stato19» che vuole impadronirsi di esso.

La descrizione della personalità di Hitler è uno dei ritratti più incisivi della psicologia del dittatore:

lo spirito di Hitler è uno spirito profondamente femminile: la sua intelligenza, le sue ambizioni, la sua volontà stessa, non hanno nulla di virile. È un uomo debole, che si rifugia nella brutalità, per nascondere la sua mancanza di energia, le sue debolezze sorprendenti, il suo egoismo morboso, il suo orgoglio senza risorse. Ciò che si ritrova in tutti i dittatori, ciò che è uno dei tratti caratteristici della loro maniera di concepire i rapporti fra gli uomini e gli avvenimenti, è la loro gelosia: la dittatura non è soltanto una forma di governo, è la forma più completa della gelosia, nei suoi aspetti politici, morali e intellettuali. […] Vi è qualcosa di torbido, di equivoco, di sessualmente morboso, nella tattica di Hitler, nella sua avversione per la violenza rivoluzionaria, nel suo odio per ogni forma di libertà e di dignità individuali. Nella vita dei popoli, nelle grandi sciagure, dopo le guerre, le invasioni, le carestie, vi è sempre un uomo che esce dalla folla, che impone la sua volontà, la sua ambizione, i suoi rancori, e che «si vendica come una donna», su tutto il popolo, della libertà, della felicità e della potenza perdute20.

L'argomento del libro, basato su fatti ed eventi ai quali l'autore aveva spesso assistito di persona (o ne era addirittura parte in causa, come per il fascismo), era dunque di estrema attualità; i fatti storici narrati, dagli esempi classici di Silla, Catilina, Cicerone, Cromwell, fino al colpo di stato di Napoleone, servivano piuttosto come richiami per marcare le differenze, per attuare una sorta di “aggiornamento” della tecnica della conquista dello Stato in epoca moderna. Ma la storia e l'attualità non entrano nell'opera in modo obiettivo e realistico: come scrive l'autore nel 1946, il libro «non è un saggio storico, né uno studio politico e sociale», e «non ha, né vuole avere, nessuna pretesa di assoluta obbiettività e di verità realistica». Malaparte lo definisce «un libro di storia romanzata», nel quale «i fatti fondamentali sono veri ed esatti, ma i motivi di esperienza personale s'intrecciano continuamente a motivi tratti 19 Ivi, p. 174.

20 Ivi, pp. 174-176. Lo scrittore individua con grande lucidità anche la “crisi” che poco tempo

dopo oppose Hitler alle sue truppe d'assalto – le famigerate S.A. di Rhöm –, che mal sopportavano l'opportunismo parlamentare del capo e i suoi compromessi con la borghesia, e premevano per l'esito insurrezionale della conquista del potere.

dalla fantasia e dall'altrui esperienza21». Il dialogo tra Trotzki e Lenin alla viglia della

rivoluzione d'ottobre, sebbene presentato sotto il segno della testimonianza indiretta, è una mirabile fantasia letteraria, che conferisce agli attori spessore vitale e forza drammatica.

In questa prospettiva, il capitolo “storico” sul golpe napoleonico, in cui la testimonianza lascia il posto a una argomentazione più obiettiva «serve a infondere nel lettore la fiducia nell'obbiettività storica dell'autore e a fargli accettare, quasi insensibilmente, anche i lati più paradossali del tema svolto nel libro22». Il testimone

imparziale e distaccato degli eventi rivoluzionari, che racconta in prima persona, però, non è identificabile con l'autore del libro23. Il dato autobiografico è solo uno

strumento della narrazione per entrare dentro i fatti:

Mentre il procedimento usato nei saggi storici e politici è quello di andare dall'esterno, cioè dall'esame obiettivo dei fatti, verso l'interno, cioè verso un giudizio soggettivo dei fatti stessi, il procedimento del genere letterario che ho seguito nella Technique du

Coup d'État è quello di andare dall'interno verso l'esterno cioè da una visione

soggettiva dei fatti, a un giudizio obbiettivo24.

Il racconto in prima persona di eventi vissuti come testimone ci riporta anche al genere giornalistico del reportage della prima metà del Novecento: l'attualità e l'esperienza diretta sono le caratteristiche fondamentali del genere, insieme al particolare tipo di tecnica narrativa che ha anch'essa nel racconto in prima persona il suo fulcro, e presenta molti punti di contatto con la scrittura letteraria. La differenza con l'opera malapartiana è che la testimonianza “diretta” è filtrata dall'invenzione 21 MAL II, p. 723.

22 Ibidem.

23 «Il libro è scritto in prima persona, quasi fosse una specie di autobiografia, e ha infatti la

parvenza di un resoconto fantasioso folto di dati autobiografici. Si noti che dati autobiografici non mancano, qua e là, come sempre avviene in tal genere letterario: ma il protagonista del libro, che parla in prima persona atteggiandosi a testimonio degli avvenimenti narrati, quando non addirittura a «deus ex machina», è quello che i francesi chiamano un personaggio «qui s'appelle je», cioè un personaggio che si chiama io ma che non è l'autore e non può perciò, né deve essere confuso con la persona dell'autore. La regola in tal genere letterario è che non si può imputare all'autore ciò che egli narra in prima persona. Nella critica letteraria il rispetto a questa regola è assoluto: e nessuno si sognerebbe, oggi, di attribuire all'autore tutto ciò che, in prima persona, è narrato nella «Vita» di Cellini, o nelle Memorie di Voltaire, o in quelle di Saint Simon» (Ibidem).

romanzesca, non si limita ad essere forma, ma investe il contenuto stesso. Scrive Giorgio Luti che Malaparte inventò «il libro-inchiesta, l'opera in cui possono confluire i mutamenti storici e l'esperienza autobiografica25».

Per comprendere l'operazione stilistica e letteraria di Malaparte, le affinità con il reportage e le distanze, risulta interessante accostare i capitoli dedicati alla rivoluzione russa con la famosa opera di John Reed, I dieci giorni che sconvolsero il mondo26, alla quale il giornalista statunitense premise queste parole: «questo libro è

un brano di storia intensa, di storia che si è svolta sotto i miei occhi. Non pretende di essere altro che un resoconto dettagliato della Rivoluzione di Novembre […]27»,

limitandosi all'esposizione degli avvenimenti di cui è stato «testimone», fornendo fonti e prove delle proprie affermazioni. Malaparte non cita il nome di John Reed nell'opera, ma molto probabilmente lesse il resoconto del giornalista, la cui opera nel