• Non ci sono risultati.

Il Volga nasce in Europa e l'avantesto di Kaputt

4. I L LUNGO VIAGGIO NELL 'E UROPA IN GUERRA

4.2. Il Volga nasce in Europa e l'avantesto di Kaputt

Tra la primavera del 1941 e il luglio del 1943, Malaparte seguì l'esercito tedesco sul fronte orientale, dapprima in Jugoslavia, poi in Romania e in Ucraina, infine in Finlandia; alternò periodi di servizio a più o meno lunghe permanenze in Italia, a Capri e a Roma, continuando a dirigere la rivista, e a scrivere le sue opere. Rientrò in Italia nel luglio del 1943, in seguito della caduta di Mussolini.

Fin dal giugno del 1942, tornato da poco dalla Finlandia, Malaparte scrisse un telegramma a Bompiani per proporre il volume delle sue corrispondenze dal fronte orientale54. Il progetto prevedeva la raccolta di trenta articoli (parte dall'Ucraina e

parte dalla Russia) più la prefazione; vagliò diversi titoli prima di giungere a quello definitivo55. Nella prefazione al volume, lo scrittore afferma che il titolo dell'opera

avrebbe dovuto essere, in realtà, Guerra e sciopero56, che è diventato il titolo della

53 Ivi, p. 336.

54 Telegramma a Bompiani del 17 giugno 1942, in E. L

AFORGIA, Malaparte scrittore di guerra,

cit., p. 223.

55 Inizialmente aveva pensato di intitolarlo Il sangue operaio, ma sapendo benissimo che la

censura non l'avrebbe mai accettato ne propose un altro, in inglese, Russia says not (lettera a Bompiani del 20 giugno 1942, in Ivi, p. 224). Più avanti, comparvero anche Russia perché – che divenne il titolo della prima parte dell'opera – e finalmente Il Volga nasce in Europa (lettera a Bompiani del 7 gennaio 1943, in Ivi, p. 227). Il primo titolo apparteneva a un articolo censurato, che Malaparte aveva pubblicato in «Prospettive» (C. MALAPARTE, Il sangue operaio, «Prospettive», n° 28-29, Anno VI, 15 aprile-15 maggio 1942).

56 VNE, pp. 11-12. La scelta di questo titolo voleva mettere in risalto «il carattere sociale di

quella guerra e l'importanza che la "morale operaia" aveva» in essa, ma afferma che la censura proibì il titolo per il timore che dalla contrapposizione tra il 'fatto guerra' e il 'fatto

prefazione stessa. Anche in questo caso la situazione bellica e i continui spostamenti dello scrittore ne ritardarono la pubblicazione: dapprima, nel febbraio del 1943 (dunque ben quasi due anni dopo i primi contatti con Bompiani), un bombardamento distrusse la tipografia dove stava per essere stampato il volume; poi, nel settembre dello stesso anno, l'opera fu finalmente stampata ma la difficoltà dei collegamenti, l'intervento di censura e di sequestro per ordine delle autorità tedesche ne impedirono la circolazione. Infine, Il Volga nasce in Europa fu edito nuovamente nel 195157.

L'edizione del 1943 contiene trenta corrispondenze pubblicate sul «Corriere della Sera» tra il giugno del 1941 e il novembre del 1942, e include Il sangue operaio, articolo censurato dal quotidiano. L'edizione del 1951 è sostanzialmente affine a quella del 1943, con l'aggiunta dell'articolo Una tomba nei sobborghi di Leningrado58.

L'opera è divisa in due «libri»: la prima parte reca il titolo Russia perché, e contiene le corrispondenze dal fronte russo-ucraino, mentre la seconda parte, intitolata La fortezza operaia, quelle dal fronte russo-finlandese sull'assedio di Leningrado. Nel passaggio al volume, l'autore cambiò quasi tutti i titoli originali delle corrispondenze, mantenendo di norma le indicazioni di luogo e le date. Gli interventi nella maggioranza dei casi non incidono sul significato degli articoli59.

Le corrispondenze malapartiane si soffermavano sugli aspetti sociali, politici e morali del conflitto, sulla vita quotidiana e materiale delle truppe e delle popolazioni. Queste intenzioni sono dichiarate dallo stesso autore più volte nel corso dei suoi scritti, avendo egli compreso fin da subito che quella «non era una guerra come le altre60». Egli insomma si sforzava non soltanto di riferire i «fatti» che si

svolgevano davanti ai suoi occhi, ma di fornirne una interpretazione obiettiva qualunque guerra, sia lo sciopero» (Ivi, p. 11).

57 Pubblicato per la casa editrice Aria d'Italia di Daria Guarnati, come VI volume delle Opere

complete di Curzio Malaparte.

58 C. M

ALAPARTE, Una tomba nei sobborghi di Leningrado, «Corriere della Sera», 28 aprile

1942.

59 Si tratta soprattutto di rielaborazioni consistenti in tagli e aggiunte, cambiamenti di tempi

verbali (dal presente al passato), ripristino di nomi di persone e di luoghi, rielaborazione di articoli in un unico scritto. In alcuni casi, invece, le varianti introdotte nell'edizione hanno una particolare importanza: aggiungono note di pietà e di umanità per il nemico sovietico, correggono nel senso di una maggiore indeterminatezza le affermazioni di una imminente vittoria tedesca (Vd. E. LAFORGIA, Malaparte scrittore di guerra, cit., pp. 150-154).

mettendo in rilievo quelli che per lui erano i problemi essenziali del conflitto, di natura appunto morale e sociale:

Mi son detto che ciò che importa non è di descrivere le carcasse dei carri armati, le carogne dei cavalli, i segni, insomma, della battaglia, quali si presentano allo sguardo, ma di tentar di cogliere il significato profondo, il senso segreto di questa guerra singolare, di mettere in luce il suo particolare, inconfondibile carattere, di notare obbiettivamente, senza inutili e stupide partigianerie, tutti gli elementi caratteristici di questa guerra, elementi che non si ritrovano in nessuna delle campagne combattute finora in Polonia, in Francia, in Grecia, in Africa, in Jugoslavia61.

La novità principale che Malaparte aveva colto nella nuova guerra europea era il suo carattere tecnico e meccanico. A differenza dell'altra, questa guerra moderna si presentava non solo come uno scontro di uomini ma come «uno scontro di macchine, di tecniche, di sistemi di industrializzazione62». Non si trattava dello

scontro tra il mondo occidentale e il mondo orientale, tra Europa (Germania) e Asia (Russia), ma tra due anime dello stesso fenomeno europeo. La sua riflessione sulla Russia e sulla rivoluzione bolscevica risale a molti anni addietro, si è visto come fin dal suo primo libro Malaparte nutriva un profondo interesse per il fenomeno sovietico, rifiutando di ritenere il bolscevismo come un «fenomeno tipicamente asiatico». Lo stesso titolo, Il Volga nasce in Europa, si riferisce appunto a questa sua convinzione63. Lo scontro dunque era tra la «morale borghese» e la nuova «morale

operaia» del mondo moderno, la quale per Malaparte costituisce il segreto della guerra russa:

L'esemplare umano comunista ha sempre suscitato in me un grande interesse. Quel che più mi ha colpito in Russia, non sono tanto le realizzazioni sociali e tecniche, i lineamenti della società collettiva, quanto i suoi elementi interiori, quanto l'esemplare umano, la “macchina uomo” creata da circa vent'anni di disciplina marxista, di stakhanovismo, di intransigenza leninista. Mi ha colpito la violenza morale dei comunisti, la loro astrattezza, la loro indifferenza al dolore e alla morte64.

61 Ivi, pp. 45-46. 62 Ivi, p. 62.

63 Ivi, p. 9. Il titolo Il Volga nasce in Europa è un chiaro richiamo extratestuale a Il Volga

L'industrializzazione e il progresso tecnico avevano prodotto, insomma, un cambiamento radicale nelle abitudini, nella mentalità, nei costumi, nei valori, nella cultura dell'antico popolo russo, forgiando un nuovo 'tipo' umano. In continuità con quanto aveva scritto un decennio prima in Tecnica del colpo di stato a proposito della natura tecnica della conquista di uno Stato moderno, nell'esperienza della guerra egli vedeva applicato il principio tecnologico-meccanico alla distruzione delle città e alla eliminazione delle persone.

Il carattere di questa guerra moderna, ancor prima che nella riflessione analitica, è resa attraverso la fitta trama di descrizioni uditive, olfattive e visive: l'«odore della benzina» sopraffà «l'odore dell'uomo e del cavallo»; l'«odore di olio bruciato, di acido carbonico, di benzina, e di ferro incandescente crea nel bosco la particolare atmosfera di un cortile di officina […] l'odore della guerra motorizzata», «grigie macchine di acciaio», «ali metalliche», «ronzio dei motori», «crepitio delle mitragliatrici», «interiora di ferro contorto», «terribile urto di macchine», «schianto lacerante di qualche grossa granata», «uno spaventoso fetore di carne bruciata». Tutto concorre a proiettarci in un mondo dove l'elemento umano sembra fondersi con quello meccanico e dare vita a un freddo e preciso ibrido dispensatore di morte e terrore.

L'uomo diventa una macchina insensibile: la capacità di provocare morte e distruzione in maniera mediata e indiretta, attraverso i bombardamenti e la protesi d'acciaio dei carri armati, anestetizza, crea una fredda barriera tra uomo e uomo, che rende la morte dell'altro indifferente. Questo sentimento di freddo distacco è espresso in un articolo intitolato La morte fredda65, nel quale Malaparte descrive gli aviatori

alle prese con un operazione di bombardamento, dall'interno dell'aereo: sono animati non dall'ardore del sangue ma da un «fuoco freddo»; hanno «visi di vetro», «immoti» nello svolgimento del loro compito; gli occhi illuminati da «freddi bagliori»; «macchine in forma umana» dall'«immobilità fredda, piena di una gelida decisione»; una volontà astratta e una freddezza glaciale nell'azionare lo sgancio delle bombe. Mentre lo scrittore ha il «cuore in tumulto», invaso da un «commosso terrore», pensando – poiché l'aveva vissuto – alla sorte delle fanterie là sotto, terrorizzate, in 65 C. M

fuga come «animali pazzi» nel bosco, il viso dell'aviatore resta impassibile, sereno, «come se neppure sospettasse quale terribile strage avesse provocato il suo semplice gesto». Questa «freddezza» morale del soldato-operaio, legata al mondo della tecnica e della macchina, diventerà in Kaputt il segno della crudeltà tedesca, che l'autore però riferirà a una degenerazione patologica della Kultur tedesca.

La macchina intromette un mostruoso distacco tra il gesto compiuto e l'effetto che produce, perduta la percezione morale ed emotiva dei nessi di causa-effetto, anche la morta sembra ingiustificata, non sorretta da alcuna regola o calcolo66. A

livello stilistico, la trasformazione dell'uomo in macchina è reso in modo efficace e inquietante attraverso, viceversa, l'umanizzazione delle macchine. Esse sono «corpi vivi», assumono caratteri umani: i carri armati giacciono «sventrati», dappertutto vi sono «carcasse» di automobili, un carro giace «coricato» su un fianco, un altro sembra «fiutare l'aria», i motori «starnutano», lo scrittore incontra un «cimitero» di macchine agricole, il carro «non ha una ferita».

Un altro aspetto della natura tecnica e calcolatrice della nuova condotta della guerra è il fatto che i soldati russi lasciano il campo di battaglia in ordine, rastrellando il terreno con una cura maniacale, non lasciando nemmeno quei «detriti inevitabili di una battaglia67» che sono lembi di stoffa, pezzi di carta, indumenti

macchiati di sangue, garze; si portano via anche i loro morti, che sotterrano lontano in fosse comuni senza croci né segni. Questo aspetto surreale della guerra è descritto attraverso una immagine topica della letteratura barocca, quella dei morti che sembrano vivi: è come se fuggissero dal campo di battaglia, narra Malaparte, come se dopo aver ripulito ogni traccia della lotta, scomparissero nel nulla, come un «prodigio della natura68», conferendo al terreno un aspetto spettrale. Anche la notte,

dimensione di confronto dell'uomo con la natura in ogni guerra attraversata da Malaparte, subisce un radicale rovesciamento di segno: non più la terribile notte nella 66 «Strani i morti di questa guerra. Giacciono fra il grano, come una apparizione arbitraria.

Così estranei, anche a questo cielo immenso, appoggiato lievemente sul ciglio delle colline. [...] su questi campi di battaglia, sembrano accidenti, fuori della logica di questa guerra: hanno qualcosa di assurdo, suscitano negli stessi soldati un moto di sorpresa, quasi di incomprensione. Come realtà fuori di ogni regola, di ogni legge; come l'inattesa rivelazione di un esperimento mal riuscito, di qualche difetto della stessa macchina della guerra» (VNE, pp. 61-62).

«veglia febbrile, nervosa, della guerra di trincea», o la “notte-bestia” sul Monte Bianco e in Africa, ma un «bivacco nero», «senza fuochi, senza canti, senza voci», una sosta di riposo e di assenza di combattimento e di lavoro: i carri armati si portano in posizione di difesa, pronti ad attivarsi al segno di pericolo, i soldati dormono un «sonno profondo, un tranquillo riposo […] a pochi passi dal nemico69», come lo

spegnimento del motore di una macchina.

La natura tecnologica e industriale della guerra moderna fa sì che solo le città, cuori pulsante delle industrie e della tecnologia, siano toccate dalla sua furia distruttrice, lasciando intatte le campagne: a Belzy, in Moldavia, «enormi cataste di ferro annerito dal fumo delle esplosioni»; «carri rovesciati»; «scheletri di case si levano traballando contro il cielo azzurro»; «torme di gente miserabile», «con i segni nel viso della paura, della fame, dell'insonnia70» tornano a frugare tra le macerie. A

Soroca, incontra gli «spettri» di un un passato antichissimo: la vecchia signora russa, dalla buona educazione borghese, sembra provenire da un tempo antichissimo, da una Russia zarista scomparsa per sempre. Accoglie lo scrittore nella sua umile e misera casa colpita dai bombardamenti, e gli offre un po' di tutto quel che ha in casa, servito da un cameriere, dando vita alla «finzione» pietosa di un ricevimento galante d'altri tempi, una «dolce e triste commedia». La contrapposizione tra il passato della vecchia Europa, regno d'eleganza e di cultura, e il presente di distruzione e di crudeltà è uno dei nuclei dialettici di Kaputt.

Nella seconda parte, Malaparte si trova sul fronte nordico, davanti a Leningrado, la città più industrializzata dell'U.R.S.S. Egli comprende che la resistenza sarà accanita e lunga, che la difesa di Leningrado assume un significato politico prima che militare, perché è la «fortezza operaia», il cuore della rivoluzione d'ottobre del 1917. L'agonia di «cinque milioni di uomini chiusi dentro quella immensa gabbia di cemento, di ferro, di filo spinato, di campi di mine71», che

resistono grazie alla «incredibile capacità di soffrire72», assume i contorni di «un

terribile spettacolo» per coloro che la vivono da lontano, qualcosa che, per il suo 69 Ivi, p. 148.

70 Ivi, pp. 92-93. 71 Ivi, p. 218. 72 Ivi, p. 219.

«orrore sovrumano», non può essere abbracciato da nessun sentimento cristiano, nessuna pietà o commozione: solo con gli occhi è possibile parteciparvi, come davanti a certe scene di Eschilo o Shakespeare: «la mente dello spettatore è come sopraffatta da tanta orrenda forza, come davanti a uno spettacolo non umano73».

Questa orrenda tragedia è espressa in uno stile visionario e fantastico:

Fra i detti caratteristici di Castruccio Castracane, signore di Lucca, raccolti da Machiavelli nelle ultime pagine della sua Vita di Castruccio Castracane, v'è un'immagine che Pirandello ha poi fatta sua. È l'immagine delle «case che fuggirebbero dalle proprie porte, se sentissero che sta per venire il terremoto». Nella mia mente ancora insonnolita, pervasa dall'orrore di quello spettacolo, l'immagine delle case e delle officine del quartiere Uritzkij, che fuggivano terrorizzate dalle proprie porte (le case seminude, con i capelli sciolti nel turbine di fumo e di scintille, gli occhi sbarrati, le mani strette intorno alle tempie, le bocche spalancate, irrompevano urlando fuor dalle proprie porte, nello schianto delle esplosioni, nei riflessi purpurei degli incendi) si accavallava all'immagine non meno impressionante dei soldati sovietici immobili nelle trincee, laggiù davanti a noi, il viso rivolto verso la città in agonia74.

Il dato realistico del bombardamento è trasfigurato in una immagine terribile e fantastica attraverso il richiamo a una citazione letteraria che si sovrappone all'evento reale, provocando lo scatto di una visione dal forte impatto evocativo. Nella prima parte vi era una maggiore adesione a una descrizione realistica delle cose vissute, degli aspetti quotidiani e materiali di una “guerra-macchina”. Nella seconda, la sostanziale immobilità del fronte, la natura estrema dei luoghi dove il conflitto si svolge, proiettano la guerra in una dimensione metafisica. L'incredibile paesaggio finlandese è descritto attraverso una scrittura che tende al magico e all'onirico, quasi che gli effetti della luce e degli elementi atmosferici fossero irreali, non appartenenti alle leggi fisiche conosciute: «il candor della neve mutava la notte in un meraviglioso, candido giorno», la luce «pareva salire dagli abissi marini, illuminando dal profondo la crosta di ghiaccio75», la carta gela a tal punto che sembra

di scrivere su un «vetro appannato76».

73 Ivi, p. 256. 74 Ivi, p. 255. 75 Ivi, p. 190.

Ma l'elemento che più attira l'attenzione dello scrittore è la foresta finnica, selvaggia, sterminata, oscura e intricata selva di betulle, di larici e di abeti, che risuona di voci e rumori incomprensibili all'orecchio di chi non è nato e vissuto in quei luoghi. Si rischia, infatti, di smarrirsi in un «labirinto mentale», dove «lo spirito perde ogni contatto con la realtà, e tutto, intorno, si trasforma, muta aspetto, in una continua, allucinante metamorfosi77». Le voci, le forme e i suoni, anche i più comuni,

ingannano i sensi, si avverte un senso magico e misterioso, uno spaesamento inquieto e ambiguo: «Per la prima volta in vita mia, assai più che nelle giungle del Gimma in Etiopia, ho "sentito" tutto l'orrore della foresta»78. Qui l'odore dell'uomo è sopraffatto

«dall'odore forte, acre e dolce insieme, scarno e gelido79», del fogliame, degli alberi.

Lo straniamento e l'angosciante presenza dell'inumano sono rotti dall'apparizione degli aerei sovietici che lo scrittore accoglie come una «testimonianza di umanità»: per un momento si illude che contro la forza ostile della natura, contro la sua crudeltà, non vi sia altro sostegno e certezza per gli uomini che la coscienza della comune umanità nella sottomissione al mistero dell'esistenza. Ma è una illusione che dura poco, poiché nel folto della foresta, alla ricerca di «segni umani», si imbatte in una «apparizione straordinaria»: i cadaveri di due paracadutisti sovietici impigliati tra i rami degli abeti. Lo scrittore assiste a questa scena con un senso di «orrore sacro»: sono due dèmoni, «due angeli neri», «luciferi miserabili e pietosi», precipitati giù dalla collera di Dio, egli vi vede la testimonianza di una tragedia svoltasi in un regno sovrumano: «Credo che William Blake, nelle sue visioni infernali, non abbia mai veduto nulla di così grandiosamente terribile, di così puramente biblico80». La pistola nella mano di uno dei paracadutisti, i suoi «urli

feroci» mentre scendeva dal cielo sparando, i segni della battaglia nel folto della foresta, sembrano suggerire l'ineluttabilità della guerra, la cui inestirpabilità risiede nell'istinto degli uomini, che la foresta eccita.

La guerra assume, dunque, l'aspetto di un paesaggio infernale, acquista una condizione metafisica, staccandosi dalle connotazioni politiche, sociali, storiche: 77 Ivi, p. 196.

78 Ivi, pp. 273-274. 79 Ivi, p. 274. 80 Ivi, p. 277.

La guerra in queste foreste, mi appare liberata dalla violenza della «morale operaia» sovietica: ma oppressa da una violenza ancor più dura, quella della ferinità primigenia della natura e dell'uomo. Assume un carattere più concreto, più semplice (e perciò più terribile), senza sovrastrutture ideologiche o morali81.

Alla luce di ciò, nella scarpa caduta a uno dei paracadutisti, «straordinariamente viva, reale», una «scarpa vuota, […] triste, smarrita, sgomenta, che non poteva più camminare, che non poteva fuggire», «con qualcosa di animalesco», sembra racchiudersi tutta l'umanità scomparsa negli uomini, quella umanità che lo scrittore ritrovava negli animali, e dentro la tragedia surreale e assurda di questa guerra, persino in una povera scarpa di cuoio.

Per poter esprimere ciò che stava oltre i fatti, oltre le cose viste, Malaparte ricorse anche nelle corrispondenze di guerra allo stile sperimentato in precedenza, in grado di colpire e di esprimere la verità profonda di ciò che si è visto e vissuto, a ciò che è dentro le cose e gli uomini. Malaparte insomma, come scrive Spila, «avverte i limiti della capacità dello strumento giornalistico quanto a predicazione del vero e prova ad “aumentarlo”, ad enfatizzarlo con i mezzi della letteratura82», creando un

modello di reportage lirico-narrativo, al confine tra giornalismo e letteratura, che coniuga testimonianza dei fatti, istanza narrativa, riflessione politico-sociale. Ciò che egli riporta e racconta è sempre il suo punto di vista: ciò che “egli” vede, sente, interpreta, immagina, in quanto testimone e osservatore dentro gli avvenimenti, dentro la Storia, che ne Il sole è cieco aveva cercato di obiettivare nella narrazione romanzesca.

Le riflessioni sulla morale operaia e sulla guerra meccanica contenute ne Il Volga nasce in Europa, confluiranno in Kaputt nelle conversazioni, come punti di vista dei vari interlocutori e come sfondo delle straordinarie apparizioni del romanzo. La scena descritta poc'anzi dei cadaveri dei paracadutisti russi sembra già una scena del romanzo, dove queste apparizioni straordinarie e inverosimili saturano la narrazione. L'intero corpus di corrispondenze rappresenta per così dire la parte