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<<Temibile ordigno inquisitorio>>.

È così che autorevole dottrina68 definisce il codice che, nonostante i

cambiamenti politico-costituzionali verificatisi in Italia nei decenni successivi a quando Alfredo Rocco e Vincenzo Manzini lo allestivano, rimaneva in vigore per oltre mezzo secolo. Un codice sulla cui scena regna sovrano un pubblico ministero ingigantito, longa manus del potere esecutivo; tutto imperniato sull'antitesi tra <<istruzione>> (segreta e scritta) e <<giudizio>> (pubblico e orale) privilegiando nettamente la prima rispetto al secondo; in cui le archiviazioni rimangono affare interno degli uffici requirenti.

In quell'assetto codicistico, il pubblico ministero sceglie il rito, da solo governa e conduce l'istruzione, i difensori ne sono esclusi. Sotto tale profilo il pubblico ministero è equiparato al giudice. Gli imputati rischiano custodie cautelari infinite. In ossequio al principio del segreto, i difensori si trovano confinati ad un ruolo marginale69.

L'avvento della Costituzione e l'assestamento democratico della società non costituiscono un ostacolo alla vigenza di un impianto legislativo che sopravvive alla caduta del regime sotto il cui segno era nato. Questo continua ad operare sostanzialmente identico, a parte piccole modifiche consistenti nella restituzione dell'archiviazione al giudice istruttore

68 Così, CORDERO, F., Procedura penale, Milano, 2006, p. 87 69 CORDERO, F., Procedura penale, ult. cit., p. 87

operata dall'art. 6 d.l. 14 settembre 1944 n. 288 (art. 74 c.p.p. 1930), e nella reintegrazione della facoltà di impugnazione per il latitante ad opera della l. 29 dicembre 1948 n. 1514.

Una significativa innovazione giunse con la l. 18 giugno 1955 n. 517, riforma che riesumò alcune garanzie concesse nel 1913. Si ammise la difesa a perquisizioni domiciliari, esperimenti, ricognizioni, perizie; venne fissata una soglia di durata della custodia cautelare oltre la quale il detenuto doveva essere scarcerato.

Nel sistema del Codice Rocco questo ritorno al 1913 ha effetti dissonanti, generando un <<ambiguo garantismo inquisitorio>>70 che

nuoce all'assetto organico. Sarebbe necessaria una riforma complessiva della procedura penale, anziché ricorrere a piccole modifiche di tecnica interpolatoria.

Il primo tentativo di riforma organica del codice di procedura penale è una delega legislativa al governo (l. 3 aprile 1974 n. 108). Rimasta senza seguito, bisognerà attendere la delega 16 febbraio 1987 n. 81 per vedere venire al mondo il codice repubblicano che, promulgato con d.p.R. 22 settembre 1988 n. 447, entrerà in vigore dal 24 ottobre 1989. Il nuovo codice nasce con l'obiettivo primario, espressamente dichiarato nel preambolo della legge delega che ne costituisce il fondamento di legittimità, di attuare non solo i principi costituzionali e adeguare il sistema alle norme internazionali di tutela dei diritti umani, ma anche di recepire i caratteri del sistema accusatorio. In altri termini, con il codice del 1988, si dichiara di voler aderire ad un sistema reputato più moderno ed evoluto di processo penale, improntandolo ad una diversa metodologia nell'attività di raccolta e di formazione della prova, e riconducendo a questa specifica attività la natura inquisitoria o accusatoria del processo penale71. In realtà, la contrapposizione rigida

tra sistema accusatorio e sistema inquisitorio non riesce a definire

70 Così, CORDERO, F., Procedura penale, cit., p. 89.

compiutamente le caratteristiche del modello processuale che si ritiene irrinunciabile per uno Stato democratico e civile. Oltre alle difficoltà di individuare i caratteri specifici dei sistemi accusatorio ed inquisitorio in elaborazioni sociologiche, dogmatiche e comparatistiche, esistono in concreto nel mondo sistemi c.d. <<misti>>, la cui natura accusatoria o inquisitoria è temperata da previsioni derogatorie che appartengono al modello opposto, oppure perché collocano nello stesso sistema una pluralità di procedimenti, ispirati a loro volta ai due paradigmi fondamentali72.

Il sistema accusatorio richiamato è inteso, a mente della delega, secondo principi richiedenti la <<massima semplificazione nello svolgimento del processo>>, <<l'adozione del metodo orale>>, <<la partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento>>.

In questa transizione verso il sistema di tipo accusatorio, il procedimento per decreto viene disciplinato dal nuovo codice agli artt. 459 – 464 ricevendo una collocazione diversa e con l'assegnazione di una funzione più importante: contribuire, insieme agli altri riti speciali, alla deflazione del dibattimento. È netto l'intento di riservare ampio spazio al procedimento in parola sul terreno dei riti differenziati, posti nell'ambito di una politica volta all'alleggerimento del carico giudiziario e di accelerazione dei tempi processuali73.

Con l'introduzione della possibilità di pervenire ad una riduzione della pena sino alla metà del minimo edittale, il decreto penale del rinnovato codice assume spiccate caratteristiche di premialità e quindi un aspetto ammicchevole nei confronti dell'imputato, sollecitato ad un comportamento acquiescente proprio in ragione di una riduzione di pena tanto consistente.

72 UBERTIS, G., Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass. pen., XLIII, 2003, p. 2096.

Viene introdotto un limite temporale entro cui il pubblico ministero deve formulare la richiesta di emissione del decreto penale, originariamente di quattro mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito viene iscritto nel registro delle notizie di reato, poi innalzato a sei mesi ad opera del d.lgs. 22 giugno 1990, n. 16174, allo scopo di renderlo uniforme a quello previsto dall'art. 405

comma 2 c.p.p. Questa circostanza75 sembra smentire l'idea per cui il

ricorso alla procedura monitoria sia collegato esclusivamente ad ipotesi criminose ad evidenza probatoria talmente spiccata da consentire l'emissione del decreto penale di condanna senza la necessità di indagini accurate76.

Rispetto alla disciplina previgente, le principali novità si raccolgono inoltre intorno alla distinzione di funzioni tra accusa e giudice, in contrapposizione all'ambigua figura del pretore, che fino a quel momento aveva assommato a sé funzioni requirenti e giudicanti.

74 L'art. 3, d.lgs. 161/1990 dispone che <<Nel comma 1 dell'articolo 459 del codice di procedura penale le parole "entro quattro mesi" sono sostituite dalle seguenti: "entro sei mesi">>.

75 A pochi anni di distanza dall'entrata in vigore del codice, la Corte costituzionale interviene ad individuare il principio di <<completezza tendenziale delle indagini preliminari>> in base alla direttiva n.37 della legge delega (che, oltre ad individuare il ruolo del pubblico ministero non quale mero accusatore ma organo di giustizia obbligato a ricercare tutti gli elementi di prova rilevanti per una giusta decisione, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato, pone i presupposti per garantire effettività al controllo del giudice sulla richiesta di archiviazione) ed agli artt. 326 e 358 c.p.p. che attuano i principi della delega, prevedendo che il pubblico ha il dovere di compiere ogni <<attività necessaria>> ai fini delle <<determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale>>, comprendendo queste <<gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini>>. Secondo la Consulta, nella struttura del processo, il principio di “completezza tendenziale delle indagini preliminari” assolve ad una duplice funzione: <<[...] La completa individuazione dei mezzi di prova è, invero, necessaria, da un lato, per consentire al pubblico ministero di esercitare le varie opzioni possibili e per indurre l'imputato ad accettare i riti alternativi […] ;ciò è essenziale ai fini della complessiva funzionalità del sistema, ma presuppone, appunto, una qualche solidità del quadro probatorio. Dall'altro lato, il dovere di completezza funge da argine contro eventuali prassi di esercizio "apparente" dell'azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale>> (Corte cost., sent. n.88 del 15 febbraio 1991, in Consulta online, www.giurcost.org.).

A seguito della riforma attuata con la l. 16 dicembre 1999 n. 479 (c.d. Legge Carotti) viene successivamente soppresso l'ufficio del pretore e il relativo ufficio del pubblico ministero (ovvero la procura della Repubblica presso la pretura, ufficio introdotto nel 1988 dal nuovo codice). L'ufficio del pretore è assorbito, ufficio del giudice per le indagini preliminari compreso, dal tribunale; il relativo ufficio del pubblico ministero viene assorbito dalla procura della Repubblica presso il tribunale. Quello che un tempo era il “rito pretorile” è ora rinominato “rito monocratico”, e l'VIII libro del codice reca la rubrica <<Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica>>77.

La scelta del rito monitorio è ora rimessa alla discrezionalità della pubblica accusa, cui compete l'iniziativa nel presentare la <<richiesta motivata>> al giudice per le indagini preliminari (art. 459 comma 1°c.p.p.), al quale spetta in ultimo la pronuncia del decreto penale. La determinazione della pena e l'eventuale riduzione sino alla metà del minimo edittale, così come la possibile sostituzione ai sensi dell'art. 53 l. 24 novembre 1981 n. 689, configurano elementi costitutivi della domanda dell'organo dell'accusa, non modificabili dal giudice. Il giudice che ritiene di non accogliere la richiesta può solamente respingerla seccamente78. La riforma, inoltre, introduce modifiche tali

da incentivare l'applicazione dell'istituto del decreto penale di condanna, recuperando il corredo di premialità già presente nel patteggiamento79

ed estendendone il raggio d'azione anche ai reati perseguibili a querela (sempre che sia stata validamente presentata); viene “tipizzata” l'opposizione, nel senso che con questa l'imputato opponente deve anche compiere una precisa scelta in ordine all'adozione degli altri riti

77 Art. 44, co.1, l. 479/1999.

78 CORDERO, F. Procedura penale, cit., p. 1085.

79 Per cui adesso non possono essere applicate pene accessorie, non è più contemplato il pagamento delle spese processuali e il reato si estingue se il condannato non commette delitti o contravvenzioni della stessa indole, nel termine rispettivamente di cinque o due anni.

alternativi, ed in mancanza della quale la via obbligata è l'emissione di decreto di giudizio immediato80.

La legge 6 marzo 2001 n. 60, modificando l'art. 460 c.p.p. amplia gli spazi riservati al difensore, prevedendo in particolare che il decreto penale di condanna debba essere notificato al difensore d'ufficio o a quello di fiducia eventualmente nominato, e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria81.

Le ulteriori modifiche conseguenti al cambiamento dell'impianto codicistico riguardano essenzialmente l'estensione del termine per poter proporre opposizione da cinque a quindici giorni, la possibilità che la stessa sia presentata dal difensore anche in assenza di un mandato ad hoc (art 461 comma 1° c.p.p.) e che il conseguente giudizio possa svolgersi nella contumacia dell'imputato opponente.

Con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 viene inserita nella Costituzione la nozione di “giusto processo”, introducendo cinque nuovi commi nell'art. 111 Cost82. L'operazione si era resa necessaria al fine di

adeguare la giustizia italiana a principi che in Europa sono considerati espressione di civiltà giuridica. L'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, cui l'Italia ha aderito con la legge di ratifica 14 agosto 1955 n. 848, individua quei minimum rights che assicurano un processo equo. La riforma costituzionale, nel codificare le deroghe al principio del contraddittorio svela nuovi profili problematici del rito monitorio. In particolare, la previsione di un consenso dell'imputato successivo alla formazione ed alla utilizzazione della prova, oltre che alla pronuncia di

80 L'art. 37, l. 479/1999 dispone: <<il comma 3 dell'art. 464 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: Nel giudizio conseguente all'opposizione, l'imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di oblazione. In ogni caso, il giudice revoca il decreto penale di condanna>>.

81 Art. 20, l. 60/2001: <<il comma 3 dell'art. 460 c.p.p. è sostituito dal seguente: Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero ed è notificata con il precetto al condannato, al difensore d'ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato ed alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria>>.

82 Sulle innovazioni apportate all'art.111 Cost., MARZADURI, E., Commento all'art.

condanna, pone problemi di legittimità dell'istituto in ordine all'assetto processuale predisposto e configurato dalla riforma stessa. Inoltre, la formula solenne con cui nell'art. 111 Cost. si esprime il «diritto dell’indagato ad essere informato, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell’accusa» comporta una riflessione sulle caratteristiche di un procedimento mediante il quale può pervenirsi ad un'affermazione di responsabilità dell'imputato senza che quest'ultimo sia stato edotto del procedimento a suo carico83. In questo modo, le

consuete questioni di legittimità costituzionale, riferite all'uguaglianza ed al diritto di difesa, trovano un nuovo punto di riferimento nei commi 3° e 5° dell'art. 111 Cost..

A fronte dei nuovi temi del giudizio di costituzionalità, la giurisprudenza della Corte costituzionale rivisita le argomentazioni già collaudate sotto la vigenza del precedente codice, contribuendo alla cristallizzazione dei tratti fondamentali dell'istituto. Le decisioni più recenti della Consulta partono dalla constatazione di ordine generale secondo cui i principi del giusto processo vanno modulati variamente sul carattere specifico dei singoli procedimenti84, giustificando la

fisionomia del procedimento per decreto alla luce delle garanzie difensive comunque presenti nella fase successiva all'emissione del decreto penale85, atte a riequilibrare le carenze proprie della fase

83 Con riferimento a quest'aspetto, si è profilata la possibilità di contemplare, nella scansione del rito monitorio, la notifica dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari previsto per il rito ordinario. La Corte costituzionale tuttavia sostiene con fermezza che una simile previsione snaturerebbe struttura e finalità del procedimento per decreto, in Corte cost., 4 febbraio 2003, n. 32, in Giur. Cost., 2003, p. 205.

84 Corte cost., 1 novembre 2010, n. 317; Corte cost., 13 luglio 2004, n. 292, in Giur.

Cost., 2004, p. 2949; Corte cost., 27 marzo 2003, n. 131, in Giur. Cost., 2003, p.

981.

85 La Corte costituzionale ricorre sovente al concetto di elasticità riferendolo e al diritto di difesa, che può essere modulato e compresso in ragione delle peculiarità del procedimento in cui si trova a trovare espressione, a patto che di tale diritto siano assicurati scopo e funzione, e al principio del contraddittorio, che può esplicarsi in modalità diverse a seconda del procedimento in cui viene in rilievo, osservando in particolare che non debba essere sempre collocato nella fase iniziale del procedimento stesso. Cfr. Corte cost. 15 gennaio 2003, n.8, in Giur. Cost. 2003,

precedente86.

4. La vocazione deflattiva dei procedimenti