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2.3 L'accoglimento della richiesta e gli elementi del decreto.

4. I vizi del decreto.

I vizi processuali tipici, siano la nullità o l'inammissibilità, nel procedimento per decreto mostrano di avere degli effetti del tutto peculiari. Infatti, se il decreto viziato non viene opposto, ogni vizio risulta immediatamente sanato dal giudicato; mentre l'esperimento dell'opposizione ed il conseguente giudizio che viene ad introdursi pone nel nulla il decreto stesso, che viene revocato ex lege234. Da qui, è stato

constatato che ci si trova dinnanzi ad una <<nullità che opera in modo particolare, giacché se non è proposta opposizione o questa è dichiarata inammissibile, il giudice che ha emesso il decreto non può che ordinarne l'esecuzione, [...] mentre, se l'opposizione è proposta e ad essa consegue il giudizio [...] il decreto non produce più nessun effetto>>235.

Peraltro, i vizi del procedimento non possono essere rilevati nemmeno in fase di esecuzione, dove, ai sensi dell'art. 670 c.p.p., l'interessato può far valere unicamente l'inesistenza del provvedimento236, intendendosi

come tale una situazione in cui l'atto <<non presenta neppure i requisiti minimi ed essenziali che ne consentano un'identificazione accettabile

234E quindi le relative invalidità diventano irrilevanti. Cfr. Cass., sez. III, 3 luglio 1998, Di Carlo, in Cass. pen., 2000, p. 401.

235Cass., sez. IV, 26 aprile 1995, Pisanu, in Dir. pen e proc., 1995, p. 81. Peraltro, in tale decisione, a proposito della nullità del decreto penale concernente- ex art.. 125 e 460 c.p.p.- il difetto di motivazione, è stato stabilito che questa è sanata con l'opposizione e l'introduzione del giudizio di opposizione. Emerge così come la prassi di ricorrere a motivazioni “di stile”, che lasciano sostanzialmente immotivato il decreto penale, sia sorretta dalla mancanza di sanzioni idonee a reprimerla.

236L'inesistenza giuridica è la specie più grave di invalidità, comprendente vizi tanto macroscopici che il legislatore non ne ha neppure ipotizzato l'eventualità. Frutto di operazioni interpretative, tale figura non potrebbe essere diagnosticata qualora il vizio del caso di specie sia già contemplato come specie di invalidità e sanzionato dal codice. Il vizio generato dall'inesistenza è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, compreso quello di esecuzione, ma anche oltre, con un'azione di accertamento, in quanto la gravità del vizio impedisce la formazione del giudicato. (Cfr. VOENA, G., P., Il principio di tassatività delle nullità e la tecnica di

previsione, in Compendio di procedura penale, a cura di CONSO, G., GREVI, V.,

sul piano dei “principi naturali” del processo>>237.

Nel codice del 1930, oltre che come conseguenza dell'opposizione238, la

revoca del decreto costituiva il possibile epilogo di un'azione processuale specifica, appositamente congegnata per risolvere le ipotesi in cui il decreto fosse stato <<pronunciato fuori dei casi consentiti dalla legge>> (art. 506 comma 4° c.p.p. 1930)239, e spettante al procuratore

generale presso la corte d'appello240.

Il codice vigente, invece, non contempla una simile possibilità.

Secondo alcuni autori, potrebbe configurarsi l'esistenza di un potere di impugnazione in capo al pubblico ministero, quale garante della legalità, in sede di legittimità241. Tuttavia, una simile soluzione non

sembra compatibile né con l'art. 461 comma 5° c.p.p., che stabilisce che <<se non è proposta opposizione o se questa è dichiarata inammissibile, il giudice che ha emesso il decreto di condanna ne ordina l'esecuzione>>, né con l'art. 648 comma 3° c.p.p., che sancisce

237PISANI, M., Le nullità, in Manuale di procedura penale, a cura di PISANI, M.- MOLARI, A.-PERCHINUNNO, V.- CORSO, P.,- GAITO, A.,SPANGHER, G., Bologna, 2006, p. 208.

238Alla quale doveva necessariamente seguire la presentazione dell'opponente all'udienza del giudizio di opposizione .

239Si trattava di un rimedio giuridico preposto al ripristino della legalità. Al pubblico ministero prima, ed al procuratore generale presso la corte d'appello poi, era attribuita la facoltà di esercitare l'azione penale nei modi ordinari, provocando l'instaurazione di un giudizio ordinario che poteva condurre alla revoca del decreto. Sul tema, LAPICCIRELLA, C., Decreto penale di condanna (dir. proc. pen.), in

Enc. dir., XI, 1962, p. 884; BELLAVISTA, G., Il processo penale monitorio, cit., p.

218 ss.

240Prima dell'art. 7, l. 31 luglio 1984, n. 400, l'azione poteva essere intrapresa dal pubblico ministero tout court.

241Sostiene tale tesi CHILIBERTI, A., Il decreto penale, in AA.VV., Manuale pratico

dei procedimenti speciali, Milano, 1994, p. 92, che delimita la configurazione della

possibilità del ricorso in cassazione ai casi di abnormità e di violazione di legge conseguente al mancato accoglimento delle richieste del pubblico ministero. Cauto nel sostenerla, e solamente in relazione al caso di abnormità del provvedimento, DELL'ANNO, R., I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, cit., p. 379, il quale specifica che <<per quanti e quali vizi il decreto penale possa presentare nella parte motiva ed in quella relativa agli avvisi diretti al condannato escluderei un qualsivoglia interesse del P.M. ad impugnarlo anche laddove il decreto potesse essere qualificato come abnorme>>. Aderisce a quest'ultima impostazione anche SCALFATI, A., Le nuove prospettive del decreto penale, cit., p. 546 ss.

l'irrevocabilità del decreto <<quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile>>. In ogni caso quindi, a causa dell'ineludibilità di tali disposizioni, anche l'eventuale ricorso in cassazione non sarebbe idoneo ad evitare il passaggio in giudicato del decreto penale di condanna al decorrere del termine per formulare opposizione, perdendo così rilievo il ricorso stesso: l'irrevocabilità impedisce ogni tipo di controllo, escluso il caso dell'inesistenza.

A ciò si aggiunge la circostanza per cui anche le norme sulle impugnazioni non considerano la possibilità di impugnare il decreto penale dinanzi alla Corte di cassazione (artt. 607 e 608 c.p.p.)242.

Una possibile via d'accesso all'impugnabilità dell'atto sarebbe ipotizzabile ricorrendo alla categoria dell'abnormità243 elaborata dalla

242SCALFATI, A., Le nuove prospettive del decreto penale, cit., p. 546, sostiene che potrebbe giungersi ad una riformulazione dell'art. 608 c.p.p. mediante l'art. 111 Cost. Tale impostazione è criticata da PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 480, che, oltre ad esprimere dubbi sulla praticabilità di una simile soluzione in via interpretativa (reputando necessario un intervento della Corte costituzionale), rileva che a quel punto dovrebbe ammettersi una parallela riformulazione dell'art. 607 c.p.p., con l'attribuzione di un analogo potere di impugnazione in capo al destinatario del decreto penale. Il risultato sarebbe di stravolgere i tratti del rito monitorio, concedendosi al destinatario <<la duplice via […] del ricorso e dell'opposizione>>.

243 Il concetto di abnormità configurerebbe un vizio sui generis degli atti processuali penali, non assimilabile alla categoria dell'invalidità. Cfr. CATALANO E. M.,

Giurisprudenza creativa nel processo penale italiano e nella common law: abnormità, inesistenza e plain error rule, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1996, p. 306;

VALENTINI, C., I profili generali della facoltà di impugnare, in Le impugnazioni

penali, I, a cura di GAITO, A., Torino, 1998, p. 206. Oppure, tale concetto

rientrerebbe proprio nella categoria dell'invalidità degli atti. Così, CATALANO, M., Il concetto di abnormità fra problemi definitori ed applicazione

giurisprudenziale, in Dir. pen. e proc., 2000, p. 1243; IASEVOLI, C., Abnormità (dir. proc. pen.), in Enc. giur., I, Roma, 2004, p. 12; ZIGNANI, D., Sulla nozione di abnormità nel processo penale, in Riv. Dir. proc., 2003, p. 275. A supporto di

questa tesi, vi è l'osservazione per cui il fenomeno, al pari dei vizi processuali, produce gli stessi effetti dell'atto perfetto ma in via precaria, e cioè fino alla pronuncia della Corte di cassazione che ne riconosca la sussistenza ovvero sino al formarsi del giudicato che, quale causa di sanatoria, cristallizza le conseguenze giuridiche prodotte. Cfr. Cass., Sez. Un., 6 dicembre 1999, Di Dona, in Cass. pen., 2000, p. 1167. L'atto abnorme, a differenza di quello inesistente, è idoneo ad integrare lo schema normativo minimo, ma si caratterizza per il contenuto estemporaneo, sia sul piano strutturale che su quello funzionale. Per spiegare il significato del concetto di abnormità si è fatta allusione alla <<carenza di immaginazione del sistema>> (le parole sono di IACOVIELLO, F. M., Giudizio di

giurisprudenza, ma anche in questo caso la pronuncia della Corte di cassazione che intervenisse a termine ormai decorso per proporre opposizione non sarebbe comunque idonea ad esplicare effetti su un provvedimento divenuto irrevocabile, mentre il mero ricorso in cassazione non avrebbe effetti sospensivi su quel termine244. Inoltre, se

si ritenesse che l'impugnazione possa essere proposta dopo il decorso

cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da SPANGHER, G., vol V,

Torino, 2009, p. 642.), rilevandosi che, come l'art. 177 c.p.p. esprime il principio di tassatività (che vincola tutto il sistema delle sanzioni processuali tipiche, imponendo che la mancanza dei requisiti fissati dalla legge a pena di invalidità dell'atto ha come conseguenza la nullità, l'inutilizzabilità o l'inammissibilità), idoneo a mantenere la divergenza rispetto allo schema tipico sul piano del <<patologicamente prevedibile in base ad una valutazione ex ante>> (IASEVOLI, C., Abnormità, cit.) , il concetto di abnormità realizza una deroga a tale principio in relazione alle impugnazioni (invece quello di inesistenza pone rimedio alla tassatività delle nullità), rendendo ammissibile un autonomo ricorso per cassazione o la rilevazione ufficiosa del giudice dell'impugnazione ritualmente investito. (cfr. VOENA, G., P., Il principio di tassatività delle nullità e la tecnica di previsione, in

Compendio di procedura penale, a cura di CONSO, G., GREVI, V., Milano, 2010,

p. 276). Caratteristica dell'abnormità è il suo carattere di sussidiarietà e residualità, perché si riferisce ed opera in relazione a situazioni che il codice non contempla e che non sono ipotizzabili dal sistema. In virtù del principio di tassatività, qualora il vizio sia espressamente previsto non può configurarsi l'abnormità, mentre quando l'anomalia non trova nel sistema una forma di sanzione o una tutela alternativa il ricorso all'abnormità si rende necessario per consentire alla parte la rimozione di un provvedimento lesivo dei suoi interessi. (Cfr. Cass., Sez. Un., 31 maggio 2005, Minervini, in Cass. pen., 2005, p. 2860; Cass. Sez. Un., 12 febbraio 1998, Di Battista, in Riv. it. dir e proc. pen., 1999, p. 324; in dottrina, CAPRIOLI, F., Art.

568, in Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di CONSO, G.,

GREVI, V., Padova, 2005, p. 1955; CATALANO, E. M., Giurisprudenza creativa, cit., p. 304, che sottolinea come la giurisprudenza <<ha messo in luce l'impossibilità di rimuovere gli effetti [dei provvedimenti abnormi] con mezzi diversi dal ricorso per cassazione […] autoimponendosi, di conseguenza, il rispetto del criterio dell' extrema ratio per l'individuazione delle concrete ipotesi di abnormità>>).

244PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 487 ss. sottolinea le disfunzioni applicative generate dalla possibilità che il decreto penale sia ricorribile in cassazione: innanzitutto, la necessità di chiarire da quale momento potrebbe decorrere il termine per impugnare, se dall'emissione del decreto o dall'inutile decorso del termine per proporre opposizione; in secondo luogo, la stravaganza dell'ipotesi per cui l'impugnazione possa avvenire anche in pendenza del termine per l'opposizione. In quest'ultimo caso, prosegue, si imporrebbe una soluzione dai tratti preoccupanti, specie laddove << [...]la decisione sul ricorso intervenga prima della revoca del decreto, ponendo l'operatore di fronte ad un giudizio incardinato sulla base dell'opposizione ad un decreto annullato, ma che parimenti espone al rischio di effetti incontrollabili anche nel caso opposto, se solo si pone mente al fatto che ci si dovrebbe far carico di decreti penali con destinatari plurimi>>. L'autore muove sul punto una critica a CHILBERTI, A., Il decreto penale, 1994, p.

del termine per proporre opposizione, rimane il tenore letterale dell'art. 648 comma 3° c.p.p., per cui il decreto penale è irrevocabile <<quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile>>.

A fronte di siffatte considerazioni, ci si trova di fronte ad un provvedimento sottratto all'ordinario regime delle sanzioni processuali. Tale regime suscita dubbi tra gli interpreti, specialmente sulla base della considerazione per cui i difetti del decreto penale di condanna possono vulnerare la successiva manifestazione di volontà dell'imputato o l'atto introduttivo del processo che da esso dipende, e già in passato si sono cercate soluzioni alternative miranti a consentire al giudice un vaglio di legittimità formale del decreto, slegato dall'instaurazione del giudizio conseguente all'opposizione245.

Qualche indicazione246 alla soluzione di tale anomalia può essere offerta

dalla disciplina positiva dell'istituto. Partendo dalla generale sanatoria delle nullità che il giudicato garantisce, e considerando condivisibile l'assunto secondo cui <<la mancata proposizione dell'opposizione rende irrilevanti le nullità che [… sul decreto] possono incidere>>247, si deve

tenere presente la via per fronteggiare i casi più gravi, costituiti proprio dalle ipotesi in cui il decreto sia affetto da vizi tali da escludere radicalmente la sua riconducibilità allo schema tipico dell'atto, che ne consentono l'impugnazione dinanzi al giudice dell'esecuzione affinché attesti l'inesistenza di un valido titolo esecutivo248. È quindi sul terreno

93, tacciandolo di eccessiva creatività laddove suppone che il termine per impugnare decorrerebbe dall'emissione del decreto e, in caso di concorso tra impugnazione ed opposizione, prevarrebbe l'opposizione.

245Sul punto, PAOLOZZI, Il procedimento alternativo, cit., p. 326 ss.

246Ci si riferisce alla puntuale analisi di PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 488 ss.

247PAOLOZZI, G., Il procedimento alternativo, cit., p. 325.

248L'esperienza scientifica ha prospettato alcune situazioni, corrispondenti ad una fenomenologia reale, che costituiscono prospettazioni di casi in cui un provvedimento non può avere nemmeno i caratteri minimi dei provvedimenti di quel genere. Ci si riferisce al decreto mancante di dispositivo (sul quale, CONSO, G., Questioni di nuova procedura penale, Milano, 1959, p. 206), al provvedimento proveniente a non judice, al decreto emesso nei confronti di persone prive della

dell'inesistenza che l'interprete potrebbe muoversi, facendolo con cautela e considerando che le violazioni di legge espressamente contemplate e a cui il sistema fa corrispondere specifiche sanzioni non potranno fondare un giudizio di inesistenza.

Tuttavia, l'importanza del momento relativo alla determinazione di volontà dell'imputato249, che deve scegliere tra acquiescenza ed

opposizione, impone di valutare quelle violazioni di legge che investono il decreto penale in assenza di opposizione allo stesso. Si fa qui riferimento a quei difetti che, inficiando il momento dell'emissione del decreto e della sua effettiva conoscenza da parte del destinatario, si riverberano di conseguenza sul momento successivo, impedendo di verificare l'effettiva adesione al decreto di condanna.

Certamente i vizi che incidono sull'effettiva conoscenza dell'atto sono appositamente contemplati dall'art. 175 c.p.p., che prevede la possibilità di una restituzione nel termine per formulare opposizione; ma l'analisi che si vuole qui illustrare riguarda più precisamente i casi in cui un decreto di condanna, pur portato nell'effettiva conoscenza del destinatario, presenta dei difetti che inducono a dubitare di una consapevole adesione allo stesso.

Il caso principale riguarda il decreto penale non tradotto emesso nei confronti di un soggetto straniero che non conosce la lingua italiana. La necessità di traduzione del decreto penale era già emersa in virtù della rilettura dell'art. 143 c.p.p. offerta dalla Corte costituzionale250,

imponendosi tutte volte in cui sia indispensabile per l'imputato un

capacità di diritto penale o che infligga una pena non consentita, come una pena detentiva (PAOLOZZI, G., Il procedimento alternativo, 1988, p. 323).

249Il consenso dell'imputato è la base su cui la Corte costituzionale ha costruito la legittimità del rito monitorio. Cfr. Corte cost., 4 febbraio 2003, n. 32, in Guida al

diritto, 2003, 9, p. 67 ss.

250Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, in Giur. cost. 1993, p. 52, in cui si è affermato che per lo stesso tenore letterale dell'art. 143 c.p.p. <<il diritto all'interprete possa essere fatto valere e possa essere fruito […] ogni volta che l'imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali>>.

interprete ai fini della comprensione dell'accusa e del compimento degli atti cui partecipa o deve partecipare. La soluzione per cui in mancanza di un adempimento siffatto il decreto non tradotto possa comunque acquisire efficacia di giudicato, in quanto ci si troverebbe di fronte ad una mera nullità di regime intermedio251, suscita perplessità perché,

come rileva il fautore della tesi qui evidenziata252, apparirebbe vanificata

l'effettività del meccanismo sotteso allo schema processuale in analisi, che è fondato proprio sull'adesione del destinatario del decreto. Infatti, pur potendo far rientrare tale ipotesi nello schema di cui all'art. 175 c.p.p., intendendo l'<<effettiva conoscenza del provvedimento>> in senso sostanziale, il rischio è che potrebbe agevolmente ritenersi colpa del destinatario il non essersi fatto tradurre un provvedimento notificatogli e proveniente da una pubblica autorità. Tale colpa, in forza dell'art. 175 comma 2° c.p.p., escluderebbe la concessione della restituzione del termine 253: sarebbe quindi insoddisfacente che un vizio

dell'atto che ne provocherebbe la nullità venga ad essere sanato non da un'adesione consapevole allo stesso, ma da un' omissione colposa della comprensione del contenuto dell'atto stesso.

Sul punto è peraltro intervenuta la modifica dell'art. 143 c.p.p., ad opera del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32 che, in attuazione della direttiva 2010/64/UE, stabilisce al comma 1° che <<L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le

251Incidendo sull'assistenza e l'intervento dell'imputato: art. 178 comma 1°, lett. c). 252PIZIALI, G., Il procedimento per decreto, cit., p. 488 ss.

253Così si è pronunciata Cass., sez. IV, 3 giugno 1997, Mahomud, in Cass. pen., 1999, p. 945; Cass., sez. IV, 23 aprile 1996, Macaulay, in Cass. pen., 1997, p. 2204. In senso contrario però si è pronunciata Cass., sez. V, 22 giugno 1995, Alegre, in

comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento >>, specificando al comma 2° che <<Negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna>>. Viene stabilito inoltre, al comma 3°, che la traduzione di <<altri atti o anche solo parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all'imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte>>, per poi, al comma 4°, introdurre una presunzione di conoscenza, fino a prova contraria, della lingua italiana in capo ai cittadini italiani.

Un caso che offre analoghi spunti di riflessione è offerto dall'ipotesi in cui il decreto manchi dell'avvertimento circa la possibilità di proporre opposizione e dell'effetto di tale inerzia.

Sicuramente, atteso che oggi il sistema prevede comunque un'assistenza tecnica mediante la nomina obbligata di un difensore d'ufficio, il problema appare ridimensionato. Tuttavia, qui si vuole esprimere che in casi come questi dovrebbe essere disconosciuta efficacia esecutiva al provvedimento, proprio in forza del fatto che non può considerarsi perfezionata la <<fattispecie complessa da cui il meccanismo processuale in analisi fa derivare la formazione di un titolo giudiziale esecutivo, cioè la notifica di un provvedimento che abbia i contenuti tipici necessari a fare insorgere l'onere di attivazione in capo al destinatario o da far ritenere esistente un'adesione di questi al

decreto>>254.

È stato infine prospettato255, sempre nei limite dei meccanismi interni al

sistema che possano rimediare a deficit di legittimità del decreto, che possa esistere un potere di revoca del decreto in capo al giudice che lo ha emesso. Il tutto, beninteso, prima del suo passaggio in giudicato o della proposizione dell'opposizione256. Per vero, la Corte di cassazione

tende a negare una simile possibilità257, aggiungendo che una revoca

siffatta presenterebbe profili di abnormità e sarebbe perciò autonomamente impugnabile258. Questa posizione può condividersi se si

ritiene, come afferma la giurisprudenza di legittimità, che una volta