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KENDŌ E SCULTURA DI SÉ

II.2.1 P ERCHÉ ESERCITARSI ?

Secondo Sloterdijk, la pratica dell’esercizio fa parte del tentativo di dare una risposta a interrogativi esistenziali ed identitari (chi sono io, cos’è il mondo, qual è il suo senso?), e per far ciò “è tenuto a conferire una veste simbolica alla sua vita”.169 L’uomo è

Homo immunologicus, dotato “naturalmente” di sistemi immunitari mentali che forniscano

quell’equipaggiamento simbolico per esorcizzare la mancanza di senso della vita e la paura della morte e che si realizzano nell’antropotecnica. È proprio la mancanza di un senso universale il più grande problema che l’uomo deve affrontare, e una delle sue più grandi paure. L’incertezza generata da questa condizione viene messa a tacere mediante l’istituzione di un ordine: se non esiste un ordine universale ed eterno in natura, allora sarà l’uomo stesso a istituirlo. La marzialità, il rigore del kendō, i saldi principi morali a cui si aggrappa e su cui si fonda, sono una risposta granitica e rassicurante a questo sentimento di incertezza.

Noi vaghiamo in uno spazio ampio, sempre incerti e sballottati, sospinti da un’estremità all’altra. Qualunque termine a cui pensiamo di legarci e di fermarci, oscilla e ci lascia andare; e se lo seguiamo, sfugge alla nostra presa, ci scivola via e fugge in una eterna fuga. Nulla si ferma per noi. È la nostra condizione naturale, e tuttavia la cosa più contraria alla nostra inclinazione; noi bruciamo di trovare un assetto stabile e un’ultima base solida per edificarvi una torre che si innalzi all’infinito; ma ogni nostro fondamento scricchiola e la terra si apre fino agli abissi.170

L’anelito alla stabilità è considerato da Pascal la condizione esistenziale per eccellenza dell’essere umano, anelito cui viene in soccorso l’antropotecnica; cercando nell’Oriente quegli atti, quei gesti dotati ancora di senso, si sta compiendo un’azione di

169 Ibidem, p. 15.

170 Blaise PASCAL, Pensieri, trad. di Adriano Busola e Remo Tapella, Milano, Bompiani, 2016 (rist.), p.

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ricerca di una stabilità non altrimenti garantita. Ma la stabilità si ottiene imponendosi delle regole, un ordine da rispettare: una disciplina.

La disciplina è uno dei dispositivi attraverso cui l’uomo conferisce al mondo un’impressione di stabilità: tramite una disciplina più o meno severa, l’uomo è in grado di incarnare quei paradigmi dotati di valore nel momento storico in cui vive, siano essi più diffusi oppure circoscritti a un’élite. Citando Comenio, Sloterdijk afferma che “l’intero mondo è una scuola”, perché tutta la società umana poggia le sue basi sull’insegnamento e l’apprendimento. “Di conseguenza, tutto è riempito dalle discipline, ovverosia da un variegato armamentario di esortazioni, consigli e sproni: per questa ragione, il mondo può essere definito, non a torto, come una casa della disciplina”.171 Solo attraverso la disciplina è possibile realizzare tutte le potenzialità del kendō che presenterò e analizzerò nel corso della tesi: l’evasione, la riproduzione di una tradizione antica e lontana, la rifondazione dei rapporti sociali, la secessione, un’acuita consapevolezza del corpo, e soprattutto il miglioramento personale incorporando il sistema etico contenuto nell’habitus del kendō. Tutti processi che fanno capo al più ampio lavoro di costruzione di sé stessi.

L’uomo vive nel recinto delle discipline, e non può uscirne: anche gli atteggiamenti anarchici, secondo Sloterdijk, sono in realtà delle mere discipline, anche se declinate in una forma diversa.172 Proprio a causa della costante ricerca di stabilità che caratterizza l’uomo, egli non può fare a meno delle discipline, di imporsi regole che definiscano e prescrivano ciò che è e ciò che fa, che diano ordine a ciò che in natura non lo ha. L’imperativo “Devi cambiare la tua vita!” implica e impone “devi disciplinarti!”, dichiarando così quel bisogno universale di stabilizzazione dove le antropotecniche riescono a trovare il terreno fertile per radicarsi e germogliare.

ho visto che disciplinarsi era il modo per arrivare; lì ho capito che se non mi fossi disciplinato non sarei mai arrivato a capire e fare queste cose. Io ero costretto a costringermi, sia dal punto di vista fisico, ovvero costringere il tuo corpo a fare cose che ti sembrano innaturali, sia dal punto di vista mentale.

(Giacomo, 27/01/2017, Varese)

171 Citato SLOTERDIJK, Devi cambiare la tua vita, cit., p. 430. 172 Ibidem, p. 135.

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Le discipline si ramificano in volontarie e involontarie: tra le prime rientrano gli sport, in quanto complesso organizzato di esercizi dichiarati, ed è proprio grazie alla natura dichiarata dell’esercizio sportivo che viene reso manifesto “il cerchio ascetico dell’esistenza”, il quale produrrà quei modelli che a loro volta saranno di motivazione a perseguirli, animati dall’imperativo assoluto ora uscito allo scoperto.173 Le arti marziali in particolare sono un caso eclatante, perché l’esercizio ascetico si fa non solo esplicito, ma il cuore motivazionale della pratica: il discorso del miglioramento personale diventa quello centrale nelle arti marziali, la sua linfa vitale, legittimazione e rivendicazione di valore e di separazione dagli “sport”. “Il kendō è una disciplina, non uno sport” è una delle frasi che si sentono ripetere fin dall’inizio della pratica, e da tutti: qui risiede il suo capitale simbolico. L’abbiamo già visto nella prima parte della tesi, e vediamo qui quanto sia integrato anche nella configurazione del kendō come antropotecnica.

è molto diverso dire sport o disciplina. Chi fa sport lo fa magari con intenti più agonistici, mentre nel kendō sì, ci sono le gare che vanno più verso quello spirito, ma personalmente non mi piacciono molto, proprio perché si perde di vista le basi su cui si fonda, come il rispetto per gli altri, il rispetto per l’avversario, e tutta la filosofia e cultura giapponese che c’è dietro, e che praticando riesci man mano a scoprire e comprendere.

(Mara, 25/07/2016, Tradate)

Quando ho chiesto ai vari praticanti o aspiranti tali quali fossero le ragioni che li hanno rivolti al kendō, molti hanno risposto proprio che il motivo era il suo essere una disciplina. Giovanni, un partecipante dell’Open Day del dōjō Mizuta di Venezia, mi ha detto “sicuramente la disciplina, l’idea di un autocontrollo e la possibilità di non eccedere mai. È la disciplina interiore […] nelle arti marziali questa disciplina si manifesta attraverso un codice che trovo estremamente affascinante”,174 e anche Luca ha detto una cosa simile:

Ho scelto il kendō perché è una disciplina molto particolare, essendo io appassionato della realtà giapponese. L’ho scelta un po’ per passione, per quello che ho letto, essendo che è una disciplina molto unita alla filosofia, non solo una disciplina di puro fisico, muscolare. Una disciplina molto precisa, dove non è lasciato nulla al caso, devi essere sempre molto veloce, molto preparato, devi essere anche mentalmente stabile per non lasciarti mai andare alle emozioni ed essere sempre concentrato. Quindi l’ho scelta sia per passione, sia per iniziare un percorso di crescita, per essere più preciso, aver maggior autocontrollo.

(Luca, 27/09/2016, Mestre)

173 Ibidem, p. 136.

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Sloterdijk definisce lo sportivo “il superuomo del mondo moderno”, che in seguito alla de-spiritualizzazione delle pratiche ascetiche si fa portatore del fardello “di custodire il sacro fuoco dell’eccesso”.175 Lo sportivo incarna il modello dell’uomo che supera sé stesso attraverso la performance del corpo in tutta la sua essenzialità, perché il suo ruolo è semplicemente superarsi ogni volta. Ma la tensione perpetua a superare sé stesso proviene dall’alto: sono altri superuomini, eletti a modello dall’alto della loro corda, a spronare l’uomo comune a rassomigliare loro.

Ma qual è la scintilla che innesca la metanoia? Perché l’uomo vuole cambiare

habitus?