I.4 Comprare la spiritualità
I.4.2 S PIRITUALITÀ : LIBERTÀ E BENESSERE
Come ho potuto constatare dalle interviste che ho condotto, la spiritualità, pur essendo ricercata attraverso una disciplina come quella del kendō, è un medium per la
libertà, la via di fuga dalle restrizioni sociali; la religione, invece, viene considerata come
un “mezzo per controllare le masse”, come sostiene Fulvio. Ed è proprio questa l’efficacia e la forza persuasiva della spiritualità, il canale attraverso cui ha potuto inserirsi all’interno di un mercato e disseminarsi in maniera pervasiva. La spiritualità infatti, termine tanto vago
119 In quest’ultimo caso, grande importanza è stata conferita all’ideale di wa, “armonia” (con le persone, ma
anche con la natura), retorica che affonda le sue radici sulle rappresentazioni dell’Oriente pacifista in contrasto con un Occidente guerrafondaio.
120 BAFFELLI, La spiritualità contemporanea…, cit., in Massimo RAVERI (a cura di), Verso l’Altro, cit.,
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quanto consolidato soprattutto nella New Age, è qualcosa che sta tra la religione e la scienza: prende le distanze dalle prescrizioni della religione, ma cerca una realtà più ricca di quella proposta dall’arida oggettività della scienza, un enorme contenitore che raccoglie selettivamente e rielabora elementi attinti dai più svariati contesti. Strettamente connessa all’idea di benessere e di cura di sé, la spiritualità si pone come un’alternativa alle religioni istituzionalizzate, offrendo la libertà dal loro giogo: queste ultime infatti annullerebbero l’individuo, riducendolo alla stregua di un numero da controllare, di una pecora in un gregge; la spiritualità, invece, con un alternativo lavoro di introspezione mostrerebbe la via per raggiungere un più profondo livello di coscienza, per scoprire sé stessi, per rivelare il proprio “Higher Self”.121 Come scrive Erica Baffelli,
La principale critica apportata alle religioni tradizionali, in particolare al Cristianesimo, è quella di aver istituzionalizzato il rapporto tra l’uomo e il divino ed emarginato il ruolo dell’esperienza. In seguito, si assume il luogo comune che vede le religioni orientali come tradizioni spirituali che rivalutano l’essere umano al fine di condurlo a una fusione con la natura e il cosmo.122
La spiritualità, inoltre, essendo inscindibilmente legata a un background “orientale”, raggiunge quel capitale simbolico sufficiente ad attrarre a sé un gran numero di individui alla ricerca di “qualcos’altro”, di un’implementazione della propria identità. Scegliere di praticare kendō diventa dunque un canale per raggiungere quelle promesse identitarie offerte dalla spiritualità. Tantissimi praticanti infatti hanno nominato la spiritualità come caratteristica distintiva del kendō che lo pone a un livello diverso (e superiore) rispetto agli sport. Il fatto che il kendō non sia annoverato tra gli sport, che sia una disciplina “spirituale”, influisce notevolmente sul compiacimento e la soddisfazione di praticare qualcosa di “diverso”, di “non-comune”. L’aspetto della spiritualità viene menzionato anche da Mara, la quale tuttavia non ha menzionato il fascino per il Giappone tra i suoi motivi che l’hanno portata a praticare kendō; e ciò avvalora ulteriormente il potere delle rappresentazioni. Riferendosi ai giapponesi e alle arti marziali, dice:
121 SHIMAZONO Susumu, From Salvation to Spirituality. Popular Religious Movements in Modern Japan,
Melbourne, Trans Pacific Press, 2004, p. 276.
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secondo me loro [i giapponesi] sono molto più spirituali rispetto a noi. Noi siamo molto più pratici sotto molti aspetti. Loro sono molto più riflessivi […] se penso agli sport che esistono qua da noi, non c’è dietro nessuna filosofia, c’è solo il divertimento e l’obiettivo di vincere una partita. Loro invece dietro al kendō hanno tutta la loro cultura, filosofia, e religione: il buddhismo entra infatti in tutte le discipline giapponesi, ed è un po’ quello il filo che le unisce.
(Mara, 22/09/2016, Varese)
Per Claudio, “il kendō è spirituale; la scherma è uno sport”.123 Fulvio ricorda “Da ragazzo facevo molti sport: sci, pallacanestro, nuoto… Ma lo sport di per sé non mi ha mai attirato in maniera agonistica, diciamo, ma solo come attività fisica. Mentre il kendō mi ha fin da subito attirato per la sua dimensione chiamiamola ‘spirituale’ ”.124 Anche Gioele è dello stesso parere, e possiamo notare con che trasparenza emerga l’accezione della spiritualità orientale come cura dell’individualità, di cui lo sport occidentale invece sarebbe priva.
Una disciplina di tipo orientale ha influito molto anche come si affronta il percorso del kendō anche rispetto a un qualsiasi sport di squadra. C’è un lavoro in più sull’individuo. Ho praticato altri sport, come ad esempio il baseball, qualcosa di più americano, ma anche calcio… Molti sport. Rispetto alle discipline occidentali, quelle orientali sono basate di più sull’individuo, non tanto sulla squadra o sui risultati. Sono mirate al miglioramento dell’individuo, il suo perfezionamento.
(Gioele, 11/07/2016, Madesimo)
Interessante è tuttavia il caso del maestro Betti, che sostiene che la spiritualità non sia appannaggio esclusivo del kendō, ma possa essere ritrovata anche negli sport, e in particolare in coloro che fanno sport nonostante gravi limitazioni fisiche, come il ciclista Zanardi. Il maestro Betti ha espresso addirittura la sua disapprovazione nei confronti della superiorità manifestata dai kendōka rispetto agli atleti comuni.
anche la scherma ha la sua spiritualità: quando arrivi a certi livelli, quando pratichi così tante ore in palestra, fai tanti sacrifici per arrivare, devo avere sicuramente qualcosa di più dentro di te, oltre alla sportività. Ora, a noi kendōka piace dire che siamo i più spirituali, i più avanzati, ecc. Dopo tanti anni, io dico che non è così: ci sono le nostre miserie, gente che fa
kendō per i motivi che non sono quelli del kendō, gente anche brava che però ha un approccio,
un rapporto di supponenza, arroganza e superficialità con gli altri. Quindi bisogna fare attenzione quando si dice che noi siamo i migliori di tutti.
(maestro Betti, 9/10/2016, Bologna)
123 Claudio, 22/09/2016, Varese. 124 Fulvio, 23/09/2016, Varese.
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Nonostante la critica, il maestro riconosce in ogni caso la spiritualità del kendō, aggiungendo con una nota di nostalgia e rammarico “che stiamo perdendo, purtroppo”; le rappresentazioni sull’Oriente spirituale, anche se ridimensionate, si dimostrano comunque capillarmente pervasive, anche se impiegate per dissentire. Non si può prescindere dal fatto che l’Oriente sia considerato “spirituale”.
Il legame che corre tra spiritualità, benessere e cura di sé viene incontro proprio allo spirito del tempo in cui effettivamente sorgono, di quella società dell’incertezza di cui parla Bauman in cui il mercato offre il materiale, gli strumenti necessari per costruire sé stessi. La New Age invita a una nuova prospettiva sulla realtà, ma sulla realtà diversificata, multiculturale e interconnessa che è la realtà postmoderna: proprio perché globalizzata, perché i mezzi di comunicazione attuali permettono un accesso in taluni casi istantaneo ai vari “mondi culturali”, la New Age propone una visione olistica della realtà, in cui, nonostante le diversificazioni innumerevoli delle sue componenti, si può individuare nella spiritualità un retroterra comune, imparando ad accettare in quale è possibile un approccio più sereno e tollerante nei confronti della diversità, pacifico e sensibile nei confronti di sé stessi e del mondo.125 La spiritualità diventa il minimo comune denominatore del mondo, ma il primo passo per accedere alla dimensione spirituale è lavorare a fondo prima di tutto su noi stessi; ed è in questo momento che entra in scena il lato della medaglia meno “genuino” della New Age: il mercato della spiritualità a cui è inevitabilmente connessa. Tutte le promesse della spiritualità di occuparsi di noi sono figlie dello “spirito del tempo”, votato all’individualismo, e trovano nel nuovo mercato globale il terreno fertile per realizzarsi, per dare avvio a un mercinomio che gravita attorno a queste richieste di appagamento identitario. 126 La spiritualità orientale diventa protagonista del “ ‘mercato dei beni di salvezza’ che propone ‘prodotti differenziati per una società differenziata’, gestito da ‘imprenditori del sacro’ che si adoperano per la creazione di (falsi) bisogni spirituali”. Le arti marziali saranno il canale di accesso allo zen, e la “disciplina ascetica” che propongono sarà il mezzo attraverso cui avvicinarsi alla “spiritualità orientale”, quell’antropotecnica che ci permetterà di costruire ed elevare noi stessi. Nel kendō, la cura
125 Aldo Natale TERRIN, New Age: ricerca di armonia e di pace attraverso lo spirituale, in Massimo
RAVERI (a cura di), Verso l’Altro. Le religioni dal conflitto al dialogo, Venezia, Marsilio, 2003, p. 97.
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di sé, connessa quindi all’idea di benessere psico-fisico che marca gran parte dei prodotti del mercato della spiritualità, è palesata già nel nome: la via della spada come via per il miglioramento di sé stessi, al fine di “to mold the mind and the body” sempre tendendo verso l’alto, alla ricerca perenne della perfezione. Quel dō, “via”, è la spia di appartenenza a un certo tipo di mercato rivolto a un certo tipo di domanda. Anche se il kendō, tra le varie arti marziali, è una delle meno implicate in logiche commerciali rispetto ad altre attività più protagoniste della cultura pop, come il karate 空手 o il kung fu soprattutto negli anni settanta (e i maestri stessi di kendō non traggono quasi guadagno dall’insegnamento), non si può non riconoscere che è comunque questo il milieu in cui si è sviluppato nella forma che conosciamo noi, in quella “rinascita del religioso”, in particolare “orientale”, che dà maggior valore alla cura di sé, alla centralità dell’individuo e all’impiego di pratiche terapeutiche psico-fisiche atte a tal scopo. Anzi, il suo essere un’arte marziale più di nicchia, è uno dei suoi punti di forza per attrarre aspiranti praticanti che non vogliono ridursi a svolgere un’attività commerciale. Spesso chi ha iniziato a praticare kendō aveva anche praticato altre arti marziali, come judō 柔道 o karate, discostandosene in seguito o per semplici motivi logistici (come Giacomo col karate), oppure per una certa delusione nei confronti di arti marziali che, come abbiamo detto, hanno perso la loro autenticità a causa della loro esposizione ai media e alla loro portata commerciale e pop. Vediamo ad esempio il caso di Fulvio: “Tutti pensano che venire a far kendō sia come fare judō, o karate: prendi quell’altro, e tecniche, tecniche, e basta. Non è assolutamente vero. Combattere contro quell’altro, quando il combattimento è reale, non tutti sono disposti a farlo […] Nel judō ti metti in posizione, applichi una tecnica, e via andare”.127 Anche Claudio si dimostra deluso dal judō: “c’è una cosa che, tra virgolette, ‘non mi piace’: il judō è diventata disciplina olimpionica, e certi atteggiamenti sono diventati un pro forma, quindi tu fai magari l’inchino, e dopo fai delle scorrettezze verso l’avversario. Quelli mantengono l’aspetto formale, ma solo all’inizio, non durante tutto il combattimento, ed ho un po’ il timore che questa cosa qua inizi a prendere anche il kendō”.128 Claudio nomina il judō e il karate sempre insieme, pur avendo praticato da bambino solo il primo: nell’immaginario collettivo,
judō e karate sono quasi sempre considerate come le arti marziali più classiche e “banali”,
scontate, nonché occidentalizzate. Ermanno, infatti, dice che “il karate è un po’ il solito”. Invece, essendo il kendō rimasto ai margini di questa commercializzazione, è percepito
127 Fulvio, 11/02/2017, Varese. 128 Claudio, 22/09/2016, Varese.
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come “molto più profondo”, e (incolume all’occidentalizzazione subita dal karate; o, se non del tutto, sicuramente in misura maggiore che qualsiasi altra arte marziale.
Per capire a che livello il benessere sia implicato nel discorso della spiritualità orientale, basta pensare al già citato Festival dell’Oriente, che dedica un intero padiglione alla sezione “benessere”, oppure basta entrare in una qualsiasi libreria per vedere che la sezione “Oriente” e “benessere psico-fisico” spesso si confondono, o sono addirittura un’unica categoria. Il benessere può essere raggiunto in vari modi, come col cibo più salutare, ma soprattutto con un rapporto migliore e più consapevole con la propria mente e il proprio corpo, considerati inscindibili; a questo scopo, lo stretto ad esempio tra buddhismo e psicologia è fondamentale, perché consente l’innestarsi di questa ulteriore offerta di mercato. Il rapporto mente-corpo in particolare è quello che attrae non solo chi pratica attività votate principalmente alla serenità d’animo, come lo yoga, o qi gong, ecc., ma anche chi pretende di sottoporsi a una ferrea disciplina, come chi pratica le arti marziali, e ovviamente anche il kendō. Ma pur essendo una disciplina, pur imponendo un sistema di regole da rispettare, non è evitata in quanto annullamento dell’individualità, anzi: è magnificata come un’esaltatrice dell’individualità, come l’unica condizione grazie a cui una personalità può finalmente emergere dalla soffocante condizione precedente, come abbiamo visto nelle parole di Gioele e come vedremo nelle considerazioni di tutti gli intervistati. Una disciplina che intrappola e annulla (la religione) contrapposta a una disciplina che libera e valorizza. Perché succede questo? Per far coincidere le arti marziali con l’idea di spiritualità orientale che ci è stata fornita dalle rappresentazioni: se qualcosa è orientale, se è zen, allora dovrà essere spirituale; se l’Oriente è diametralmente opposto all’Occidente, non può essere che una disciplina orientale come il kendō sia coercitiva tanto quanto una occidentale (ma su questo tornerò nella seconda parte della tesi).
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