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3.1. Turrisendo, rettore del comune veronese e conte di Garda (1156)

3.1.4. Pecorario maior , nipote del vescovo Tebaldo

L’investitura in feudo di Bovolone, Malcesine, Brenzone, Torri e Garda, effettuata dal vescovo Tebaldo a un suo nipote, denunciata dai canonici tra le sue numerose ‘malefatte’ (333), rice- ve una conferma, non del tutto coincidente, in una lunghissima deposizione, dettagliata e convalidata da precisi riscontri docu- mentari (334), resa dopo oltre mezzo secolo, nel corso degli atti di un processo per la giurisdizione vescovile su Porto (335), da Iacobino di Artenisio, causidico, attivo fra il settimo decennio del

(332) Simeoni, Le originicit., p. 123, nota 116. (333) Doc. citato sopra, nota 317.

(334) Ad esempio, il riferimento al privilegio federiciano dell’anno 1184 (doc. citato sopra, nota 284), da lui ricordato con precisione di tempo, luogo e contenuto: Castagnetti, ‘Ut nullus’cit., pp. 28-29.

(335) ASV, Mensa vescovile,perg. 15 bis e perg. 15, non datate, attribuibili agli anni 1214-1217: cfr. A. Castagnetti, La pieve rurale nell’Italia padana.

Territorio, organizzazione patrimoniale e vicende della pieve veronese di San Pietro di ‘Tillida’dall’alto medioevo al secolo XIII, Roma, 1976, p. 19.

secolo XII e il secondo decennio del secolo seguente, più volte magistrato del comune (336). In due passi della sua deposizione (337) Iacobino afferma con chiarezza che il vescovo Tebaldo aveva investito della giurisdizione di Bovolone, Brenzone e Malcesine il nipote Pecorario

maior

, investitura ritenuta illegittima dal successore Ognibene, che si era adoperato per annullarne gli effetti, ricorrendo alla curia dei vassalli e poi alla curia imperiale, ottenendo la condanna da parte della prima e analoga condanna da parte di un nunzio dell’imperatore e riuscendo a costringere Pecorario a restituire i diritti di cui era stato investito. Si noti che non viene citata proprio Garda, un centro di maggiore importanza rispetto a quelli contesi.

In un altro passo della medesima deposizione (338) Iacobino ricorda che il vescovo Adelardo, tre o cinque anni prima, quindi intorno al 1210 – l’episcopato di Adelardo concerne gli anni 1188- 1214 –, aveva investito un Pecorario delle decime dei novali di Bovolone, investitura concessa

ad feudum

e

ad fictum

, secondo una prassi diffusa nel territorio veronese (339). Possiamo definire questo Pecorario come

minor

, rispetto al precedente. Fra i due è possibile supporre un legame diretto di parentela.

Pecorario

maior

va identificato con un Pecorario console del comune nel 1151 (340), quando con numerosi colleghi difese gli interessi del monastero di S. Zeno di Verona contro le pretese della

(336)Ibidem, pp. 19-20, nota 61. (337) ASV, Mensa vescovile,perg. 15 bis. (338) ASV, Mensa vescovile,perg. 15.

(339) A. Castagnetti, Contributo allo studio dei rapporti fra città e contado.

Le vicende del castello di Villimpenta dal X al XIII secolo, “Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti”, CXXXIII (1974-1975), p. 99.

(340) A. Castagnetti, Società e politica a Ferrara dall’età postcarolingia

alla signoria estense (secoli X-XIII),Bologna, 1985, app. II, n. 8, 1151 maggio 31, riedito in Castagnetti, Le città cit., app., II, n. 5.

chiesa e del comune ferraresi (341). La sua appartenenza alle fami- glie dominanti nella società veronese del primo comune si coglie con immediatezza quando vent’anni dopo il vescovo Ognibene – lo stesso, si badi, che lo costringe a restituire i feudi ricevuti dallo zio Tebaldo vescovo – lo pone fra alcune decine di famiglie o di singoli cittadini, considerati, ai fini della conservazione dei diritti eminenti di proprietà, fra i più pericolosi, perché più potenti (342); nell’elenco, invero, Pecorario, che doveva essere nel frattempo scomparso, viene indicato come padre di un figlio innominato, “il figlio di Pecorario” appunto (343), individuato attraverso il padre per la maggiore fama di questo e, certamente, per essere il figlio ancora non sufficientemente noto.

Il figlio di Pecorario si chiama anch’egli Pecorario, come appare definito quando presenzia ad un atto pubblico della fine del secolo (344). Nei primi anni del Duecento un Pecorario ricopre magistrature comunali (345). Potrebbe essere accostato a un altro Pecorario, che nel secondo e terzo decennio, usualmente connotato dall’apposizione cognominale “di Mercato Nuovo”, diviene più volte podestà della

Domus mercatorum

(346) e podestà del comu- ne veronese (347), poi podestà a Genova (348); esponente della

(341)Ibidem, pp. 134-135.

(342) Castagnetti, Ceti e famiglie cit., app., n. 1, 1171 giugno 7, 8, 18, 19, luglio 15, Verona.

(343)Ibidem, p. 112.

(344) C. Cipolla, Trattati commerciali e politici del sec. XII, inediti o imper-

fettamente noti,I ed. 1898, poi in Scritti di C. Cipollacit., II, pp. 599-604, app., n. 5, 1198 giugno 5, Merlara: Pecorario di Pecorario si impegna con il podestà e altri cittadini di Verona a mantenere i patti stipulati con Mantovani e Ferraresi (ibidem, p. 596).

(345) L. Simeoni, Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statu-

to, I ed. 1922, poi in “Studi storici veronesi”, X (1959), pp. 111-112. (346) Castagnetti, Mercanti, societàcit., pp. 36-37.

(347) Simeoni, Il comune veronesecit., pp. 114-116.

pars Comitis

(349), fu avversario di Ezzelino III e di Federico II, dal quale fu incluso nel bando imperiale del 1239 (350).

Per quanto incerta sia l’identificazione della linea discendente da Pecorario

maior

e dal figlio (351), certo è che con il primo Pecorario va identificato il nipote anonimo del vescovo, cui allu- devano i canonici nella loro denuncia delle ‘malefatte’ del vescovo Tebaldo, il nipote cui egli aveva assegnato in feudo, secondo loro, beni e diritti nei villaggi sul lago, compreso quello di Garda, che invero non compare nella testimonianza di Iacobino di Artenisio, ben documentato quanto disinteressato rispetto alle proteste dei canonici risalenti ad oltre mezzo secolo prima. La discordanza è spiegabile con il fatto che i canonici, nel loro elenco di ‘malefatte’ vescovili, si mostrano interessati soprattutto alla dispersione del patrimonio, in terre e in uomini dipendenti, e dei redditi relativi, convertiti in denaro. Il riferimento a Garda doveva concernere i beni posseduti nel luogo dalla chiesa vescovile e non implicare l’investitura in feudo di una non provata giurisdizione signorile.

comunale e signoria cittadina: Verona e Treviso,inI podestà dell’Italia comuna-

le,a cura di J.-C. Maire Vigueur, voll. 2, Roma, 2000, I, p. 173.

(349) A. Castagnetti, I veronesi da Moratica: prestatori di denaro, signori

rurali, esponenti della ‘pars Comitum’ (1136-1267), in Studi in onore di G.

Barbieri, voll. 3, Pisa, 1983, I, p. 428.

(350) L. A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici secundi,voll. 6, Parigi, 1852-1862, V/1, pp. 318-323, doc. 1239 giugno 13, riedito in lezione più corretta da G. Sancassani in B. Bresciani, Monzambano, Verona, 1955, nota 16. Cfr. G. M. Varanini, Istituzioni, società e politica nel Veneto dal comune alla

signoria (secolo XIII-1329),inIl Veneto nel Medioevo. Dai comuni cittadini al

predominio scaligero nella Marca, a cura di A. Castagnetti, G. M. Varanini, Verona, 1991, p. 284.

3.1.5. La pretesa investitura vescovile del comitato di Garda a

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