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3.1. Turrisendo, rettore del comune veronese e conte di Garda (1156)

3.1.3. Turrisendo e la sua famiglia capitaneale

Valutiamo anzitutto i fondamenti dell’ipotesi che considera Turrisendo nipote del vescovo Tebaldo. A tale fine è opportuno rie- pilogare le vicende della famiglia di Turrisendo o dei Turrisendi, come più tardi sarà conosciuta (322).

I primi personaggi agiscono in città nel secolo XI, in rapporti parentali con le due famiglie comitali veronesi, San Bonifacio e Gandolfingi, con la famiglia capitaneale veronese degli Erzoni e con quella vicentina dei da Sarego. Fin dai primi tempi essi mostrano interesse per la regione gardense: su preghiera ed inter- vento di un Turrisendo, l’imperatore Enrico IV indirizzò nel 1077 un privilegio agli uomini di Lazise (323), confermando quanto concesso un secolo prima da Ottone II (324). Alla fine del secolo il testamento (325) di un membro della famiglia, Epone, se non for-

(320) Doc. dell’anno 1145, citato sopra, nota 213. (321) Doc. dell’anno 1179, citato sotto, nota 478.

(322) Riprendiamo sinteticamente quanto esposto in Castagnetti, Fra i vas-

sallicit., pp. 66-83, segnalando solo alcuni documenti significativi.

(323)DD Heinrici IV, n. 287, anno 1077. Cfr. Tabacco, I libericit., p. 153; Castagnetti,Le comunità della regione gardensecit., p. 50.

(324) Diploma dell’anno 983, citato sopra, nota 67.

nisce una descrizione del patrimonio, che passa per la maggior parte al figlio ed erede, permette di conoscere, attraverso alcuni lasciti, una sua dislocazione ampia, che giunge ai territori manto- vano, vicentino e trentino. Nel terzo decennio uno dei Turrisendi, Tebaldo Musio, viene investito in feudo dall’arciprete del capitolo, Tebaldo, il futuro vescovo, della signoria su alcuni villaggi dell’al- ta Valpantena e, in città, del palazzo di S. Zeno con i dazi della porta omonima, ora porta Borsari (326).

La qualificazione capitaneale, che appare nella documentazio- ne veronese in modi saltuari, è attribuita per la prima volta ad Epone dal figlio Turrisendo, che in tale modo viene identificato mentre assiste in San Bonifacio ad un atto dei conti (327). Essa deriva dal rapporto vassallatico con la chiesa vescovile trentina, dalla quale i Turrisendi detenevano il feudo di signoria su Ossenigo, concesso probabilmente avanti il 1100 (328). Il feudo, posto ai confini tra i territori trentino e veronese, sulla via del Brennero, assumeva una rilevanza strategica: basta citare un episo- dio più tardo, dal quale risulta che per il passaggio da Verona in Germania il castello del luogo, se in mani ostili, poteva costituire un ostacolo assai grave (329).

Oltre ai rapporti feudali con le chiese maggiori, agli intrecci parentali con la famiglia comitale dei San Bonifacio e con quelle capitaneali degli Erzoni, veronesi, e dei da Sarego, vicentini, alle partecipazioni al potere politico locale e alle vicende politiche generali, altri fattori contribuivano a rafforzare la posizione dei Turrisendi: essi detenevano i dazi della porta di S. Zeno, attraverso cui passavano le comunicazioni con il distretto gardense e la Lombardia, e nei pressi erano proprietari di un complesso edilizio,

(326) Castagnetti, Fra i vassallicit., app., n. 18, 1125 dicembre 30, Verona. (327) Biancolini, Notizie storichecit., V/2, n. 32, 1109 luglio 17, San Bonifacio. Cfr. Castagnetti, Le due famigliecit., pp. 66-67.

(328) Castagnetti, Fra i vassallicit., p. 71. (329) Castagnetti, Le cittàcit., p. 252.

un

palacium

, con torre e chiesa privata; possedevano mulini e gualchiere sul Fibbio, mezzi essenziali per il decollo dell’attività tessile; detenevano feudi signorili dal capitolo in Valpantena, diritti di decima dalla chiesa vescovile in Soave e in Trevenzuolo, beni cospicui dal monastero di S. Zeno.

Condizioni sociali ed economiche, rapporti feudali e sociali vari e molteplici, assunzione di magistrature dell’Impero e del comune, partecipazione complessa e alternante alle vicende politi- che locali e generali convergono nell’indicare la posizione e l’a- zione della famiglia quale frutto di una sintesi efficace tra una situazione sociale e politica tradizionale e feudale ed una nuova, propria dell’età comunale, le cui strutture e possibilità sono utiliz- zate con abilità e spregiudicatezza.

Un’ultima osservazione può contribuire alla comprensione dei protagonisti della politica cittadina in quel torno di tempo. Tra la famiglia di Alberto Tenca, il rettore in carica quando avvenne l’e- pisodio della Chiusa, che tanto aveva irritato l’imperatore, e quella dei Turrisendi, erano, probabilmente, già intercorsi attriti, che, rispetto a quelli possibilmente derivanti dalla posizione eminente di entrambe e dalla loro comune aspirazione al governo della città, potevano essere stati accentuati da un episodio criminoso. La sorella di Tebaldo Musio, Adelmota, aveva sposato Guglielmo

capitaneus

, scomparso avanti il 1124, parente stretto, forse fratello di Alberto Tenca, dal quale aveva avuto due figli, Bassafolia e Guglielmo, come si deduce da una donazione del 1134 alla chiesa di S. Maria di Marcellise (330), atto al quale aveva dato il suo con- senso il fratello di Adelmota, Tebaldo Musio, secondo quanto pre- scritto dalla tradizione giuridica longobarda (331). Come annota il

(330) Biancolini, Notizie storichecit., V/2, p. 73, n. 33, 1134 maggio 11, Verona.

(331) P. S. Leicht, Il diritto privato preirneriano, Bologna, 1933, pp. 48-49, 70.

Simeoni sulla scorta di una testimonianza più tarda (332), Adelmota fu uccisa dal figlio Bassafolia, del quale, forse proprio per questo, non rimane altra documentazione. Ancora del Simeoni è l’ipotesi che questo delitto abbia contribuito a rendere tesi i rap- porti fra Turrisendi ed Erzoni.

Nella prospettiva, dunque, di una nomina recente di Turrisendo a conte di Garda per opera di Federico nei primi anni del suo regno, forse nella prima discesa, la designazione di Turrisendo da parte della cittadinanza veronese a proprio rettore potrebbe essere intesa quale un segnale di lealtà verso l’Impero, dopo che era stata ricevuta l’ambasceria nell’autunno precedente, anche se non era stato concesso il pieno perdono.

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