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Per quante ore l’anno

Non si tratta di una materia e quindi non c’è il riferimento ad una misura di contenuti ed al tempo necessario per apprenderli. Ma se deve trattarsi di un’attività suscettibile di

formare – e quindi di modificare gli atteggiamenti – non può essere marginale nel qua-dro orario complessivo.

Un sei-sette per cento circa del totale sembra essere la misura minima per conferire un peso ed una capacità di incidere sufficienti a queste attività. E dunque, considerato che i piani di studio delle diverse scuole oscillano fra 891 e 1056 ore annue, 60-65 ore potrebbero costituire la dimensione ottimale.

Detto questo, si pone immediatamente il problema: queste ore devono aggiungersi a quelle esistenti o sostituirle in parte? E, in questa seconda ipotesi, a spese di quali inse-gnamenti si dovranno reperire?

Treellle è dell’opinione che la questione non possa trovare una risposta unica in tutti i casi. Per esempio, nella scuola primaria, che è per lo più organizzata secondo il model-lo a 27 ore settimanali, sarebbe certamente opportuno che tali ore fossero aggiuntive, portando l’orario medio settimanale a 29-30 ore.

Questo per almeno due ragioni: l’educazione a vivere insieme si costruisce vivendo insieme il più a lungo possibile; e la formazione nell’età infantile richiede tempi lunghi e diste-si. A queste considerazioni “pedagogiche” se ne potrebbe aggiungere un’altra, di diver-sa natura. I primi anni di scolarità sono anche quelli in cui è possibile realizzare quella funzione compensativa delle differenze di origine sociale che tanto peso finiscono con l’a-vere nel successo scolastico e lavorativo degli studenti. Dunque, tendenzialmente, il modello orario dovrebbe essere quello del tempo pieno, che permetta di assorbire le dif-ferenze e di favorire coloro che partono svantaggiati.

Peraltro, un terzo circa delle classi di scuola primaria opera già in regime di tempo pieno e cioè a 40 ore settimanali. In questo caso, la logica deve essere diversa: non si può pro-lungare ulteriormente il tempo scuola, per non comprimere eccessivamente il tempo di riposo e di svago di bambini in età ancora tenera. Dunque, occorrerà ricavare il tempo per le attività di formazione alla cittadinanza nel generoso contenitore che va dalla mat-tina fino a metà pomeriggio, magari variandone la collocazione nel corso dell’anno. Per la scuola secondaria di primo grado (11-14 anni), che ha un orario di 30 ore setti-manali, esiste già la previsione di uno spazio dedicato a “Cittadinanza e Costituzione”, non quantificato negli attuali piani di studio, ma compreso nell’area letteraria/stori-co/geografica, che nel suo complesso dispone di 10 ore settimanali (9+1 “di approfon-dimento”). Si potrebbe ipotizzare di utilizzare una delle dieci ore e di completare il pac-chetto utilizzando a rotazione ore prese dalle altre materie. Questo consentirebbe di mantenere inalterato l’orario complessivo (ed i relativi costi). In alternativa, si dovrebbe pensare ad un prolungamento da trenta a trentadue ore settimanali, fermo restando quanto si dirà appresso circa la distribuzione delle attività secondo una logica diversa da quella tradizionale.

Per la scuola secondaria superiore (14-19 anni), appare in linea di principio sconsiglia-bile un prolungamento dell’orario: non tanto per una questione di costi, quanto per con-siderazioni relative al carico mentale degli studenti. I piani di studio, dopo la riforma del 2010, sono spesso troppo frammentati: nel ridurre dalle 36-40 ore preesistenti alle 30-32 attuali, non si è voluto rinunciare a nulla e ci si è limitati a comprimere lo stes-so numero di discipline in un numero minore di ore, con il risultato di una

polverizza-zione del quadro orario, che non va ulteriormente accentuata.

La soluzione migliore consisterebbe nel recuperare le ore attualmente destinate alle assemblee di classe e di istituto (circa 60, appunto), eventualmente integrandole con una decina di ore da prendere a rotazione. La sostituzione delle ore di assemblea con le atti-vità di educazione alla cittadinanza appare coerente con quelle che furono a suo tempo le ragioni per introdurre le assemblee stesse: un momento per far crescere e maturare la consapevolezza democratica e l’impegno civile. Se le intenzioni erano lodevoli e condi-visibili, il risultato non è stato corrispondente. Tutti sanno che le assemblee di classe vengono utilizzate nella migliore delle ipotesi per preparare le interrogazioni ed i com-piti delle ore successive; e, nella peggiore, come una ricreazione prolungata. Quanto a quelle di istituto, il livello di partecipazione è bassissimo, dell’ordine del dieci per cento del totale degli studenti: a volte persino meno del numero di firme raccolte per chie-derne l’indizione. Sarebbe quindi una buona ragione per recuperare, senza costi né per gli insegnamenti disciplinari né per gli obiettivi formativi, un pacchetto di ore che risul-terebbero quasi certamente più utili a conseguire i fini civili di quanto non siano ormai le assemblee ed i loro stanchi rituali.

Andrebbe invece valorizzata una norma che già esiste, ma che non viene mai utilizzata: quella che prevede la possibilità di svolgere assemblee anche fuori dall’orario delle lezio-ni. E quindi, qualora gli studenti avvertissero la necessità di riunirsi e discutere di tema-tiche da loro scelte, potrebbero farlo anche dopo la fine dell’orario normale, per il tempo necessario: che potrebbe anche essere diverso dalle cinque-sei ore di lezione che attual-mente vengono “perdute”, mentre le assemblee raraattual-mente durano più di un’ora o due. Tuttavia, se si volesse preservare almeno in parte l’esistenza di un tempo antimeridiano “autogestito” dagli studenti, si potrebbe arrivare ad una soluzione intermedia: utilizza-re per l’educazione alla cittadinanza solo metà dello spazio orario destinato alle assem-blee (per esempio, quello che la legge prevede possa essere destinato ad assemassem-blee con intervento di esperti esterni, per dibattere “problemi sociali, culturali, artistici e scien-tifici”). Sommato alla metà del tempo attualmente speso per le assemblee di classe, que-sto darebbe circa 30 ore. Quelle mancanti potrebbero essere coperte: a) prolungando di 30 ore il monte orario annuale; b) togliendo un’ora a rotazione alle altre materie, a pari-tà di orario annuale. La prima soluzione è “indolore” per l’assetto didattico attuale, ma richiede costi aggiuntivi, al contrario della seconda. Va ricordato che anche la possibili-tà di modificare l’orario delle singole materie e di inserirne altre è già presente nella nor-mativa vigente, senza bisogno di interventi legislativi in merito.

Parlando di costi, va anche tenuto presente che la recente legge 107/15 ha messo a dis-posizione delle scuole un organico aggiuntivo, che – fra le altre cose – potrebbe essere utilizzato anche per l’educazione alla cittadinanza. Il limite attuale è quello della for-mazione iniziale degli insegnanti, che provengono da insegnamenti disciplinari “altri”, non necessariamente connessi con l’ambito delle scienze umane e sociali, che appare quello “di elezione” per lo svolgimento di queste attività. Ma l’organico dell’autonomia è tutto utilizzabile per tutte le finalità comprese nel piano dell’offerta formativa: e dun-que si potrebbero realizzare provvisoriamente degli “aggiustamenti” interni. In attesa, ovviamente, che si formino insegnanti specializzati in questa attività (vedi proposta 3

-Formare e contrattualizzare …).

Per comodità di esposizione e per consentire il raffronto con la situazione esistente, che si propone di modificare, si è finora ragionato in termini di ore settimanali. Ma la pro-posta di Treellle non va affatto nella direzione di un inserimento di alcune ore nella rou-tine settimanale, con il rischio di assimilazione a tutte le altre materie e dell’indifferen-za che sempre consegue all’abitudine ed alla ripetizione.

Quel che si pensa opportuno è invece un’articolazione del totale in un certo numero di moduli, ciascuno dei quali occuperebbe un pacchetto orario, non necessariamente tutti di uguale durata, da collocare secondo criteri da definire all’interno del piano delle attività. Questo richiederebbe di necessità che anche alcuni degli altri insegnamenti, o tutti, fos-sero articolati secondo una logica modulare, potenziandone l’orario in alcune settimane e riducendolo in altre, per fare spazio alle attività formative in materia di cittadinanza. Questa possibilità non richiede nuovi interventi normativi, in quanto è già prevista dal regolamento dell’autonomia (DPR 275/99) e perfino regolata dal contratto nazionale di lavoro dei docenti, che pure non è un modello di flessibilità. Solo che non viene di fatto praticata, per pigrizia mentale di chi elabora gli orari e per l’abitudine di molti docen-ti a concepire i propri impegni di lavoro come una “comfort zone”, di cui la prevedibi-lità e la ripetitività degli appuntamenti sono parte essenziale.