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CAPITOLO 2 – IL CONTRATTO DI RETE SOTTO IL PROFILO GIURIDICO

2.1 DAL DISTRETTO ALLA RETE D’IMPRESE

2.1.2 Il percorso legislativo dal modello distrettuale alle reti d’ imprese

Tali esigenze per il rilancio della competitività dell’industria italiana sono state intercettate anche a livello legislativo, con tempistiche decisamente diverse rispetto agli oltre vent’anni che il Legislatore aveva impiegato per comprendere e regolare il fenomeno dei distretti.

2.1.2.1 Disegno di legge “Bersani” (Industria 2015)

Sebbene poi non sia mai stato convertito in legge a causa della fine anticipata del governo Prodi, è con il Disegno di Legge “Bersani” che il legislatore dimostra per la prima volta di cambiare completamente prospettiva nella regolazione dei network di imprese. Dopo che dalla L. 317/91 tutti gli interventi legislativi con oggetto i rapporti reticolari fra aziende avevano fatto riferimento al concetto di distretto, ora si introduce la nozione di rete di imprese. Con l’art. 24 – “Delega al Governo in materia di

configurazione giuridica delle reti di impresa”, il legislatore demanda al Governo il

compito di legiferare in materia di reti di imprese. Tuttavia cambia anche l’approccio. Se con i distretti l’obiettivo era stato quasi esclusivamente quello di allestire strumenti

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per sostenerli attraverso finanziamenti pubblici, ora si esprime la volontà (secondo testo del DDL) di:

 “definire le forme di coordinamento stabile di natura contrattuale” tra imprese che mantengono tuttavia una natura giuridica tra loro distinta;

 esplicitare i “requisiti di stabilità, di coordinamento e di direzione necessari al

fine di riconoscere la rete di imprese”;

 indicare la natura giuridica che la rete assumerà nei rapporti commerciali internazionali.

Pertanto diviene interesse del legislatore anche quello di regolare i rapporti tra le imprese partner di rete da un punto di vista privatistico. Come si vedrà nel paragrafo 2.2 dedicato alla legislazione in materia di contratto di rete, tutte le tematiche sulle quali il disegno di legge “Bersani” avrebbe voluto imporre al Governo di legiferare ancora non sono state completamente regolate. Tuttavia il DDL in esame dimostra l’attenzione anche delle istituzioni (e non solo del mondo della didattica) verso un nuovo fenomeno aggregativo delle imprese, nel quale veniva conservato il principio dell’integrazione funzionale tra i partner, mentre i pilastri della territorialità e della specializzazione produttiva tipici del distretto vengono ora considerati concetti parzialmente superati e pertanto non più necessari.

2.1.2.2 Decreto Legge 25 Giugno 2008 n. 112 – “Manovra d’estate”, convertito in Legge 6 Agosto 2008 n. 133

Il Decreto Legge in esame chiarisce definitivamente che distretto e reti d’imprese sono concetti totalmente differenti tra loro, confermando la ratio del precedente DDL “Bersani”.

Al riguardo, si riporta quasi integralmente il testo dell’art. 6 bis, rubricato “Distretti produttivi e reti di imprese”4:

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Co. 1 - Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di

rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse […] sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese […].

Co. 2 - Alle reti, di livello nazionale, delle imprese […] quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali, si applicano le disposizioni concernenti i distretti produttivi […].

La differenza fra le nozioni di distretto e rete d’imprese viene dunque affermata nel momento in cui il legislatore stabilisce che alle seconde si debbano applicare le stesse disposizioni previste per le prime. Se i due termini indicassero la stessa realtà industriale, si dovrebbe concludere che tale affermazione non avrebbe significato. Inoltre, viene per la prima volta affermata una circostanza che già traspariva dal DDL “Bersani” ma che qui viene testualmente espressa: l’importanza della prossimità territoriale per la qualificazione di rete scompare, tanto che i partner di rete possono appartenere a “regioni diverse”. Unico criterio qualificativo che deve essere rispettato è invece quello dell’integrazione funzionale tra le imprese, che si realizza attraverso “l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione”. In quest’ultimo passaggio, in particolare, emerge un tema che già nel 2001 avevano proposto da Berger e Locke; i due ricercatori, a proposito di distretti, dopo aver illustrato le possibili minacce derivanti dalla globalizzazione (tra l’altro quasi tutte puntualmente verificatesi, così come illustrato nei precedenti paragrafi), auspicavano una crescita dell’integrazione nel distretto di aziende di servizi che fornissero supporto tecnologico, amministrativo e operativo alle imprese partner, oltreché un maggiore coinvolgimento, non solo di enti territoriali e associazioni di categoria, ma soprattutto di centri di ricerca e università, con i quali sviluppare partnership nel campo della ricerca di base e ricerca applicata. Com’è stato notato in precedenza, tale sviluppo era stato introdotto per i distretti con

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colpevole ritardo a livello nazionale solo con la Legge Finanziaria del 2006, mentre in tema di reti d’imprese il Legislatore si è dimostrato maggiormente illuminato, indicando nella diffusione delle tecnologie e nello sviluppo di servizi di supporto due delle priorità delle costituende reti.

2.1.2.3 Concetto di Cluster nell’ordinamento europeo – cenni

Prima di passare a trattare nello specifico la legislazione riguardante il contratto di rete, chi scrive ritiene necessario perlomeno accennare a come l’ordinamento europeo abbia approcciato il tema dei cluster, spesso confusi con i distretti produttivi italiani. Non mancano le analogie con questi ultimi, infatti i cluster si caratterizzano per i seguenti fattori:

 ne fanno parte perlopiù aziende medio-piccole;

 sono specializzati in un determinato settore industriale;  si estendono su un’area geografica delimitata;

 le imprese che ne fanno parte sono funzionalmente integrate;

 sono fenomeni rilevanti nel contesto della comunità locale, in quanto hanno un importante peso sia economico che occupazionale sul territorio e coinvolgono enti locali, istituti di ricerca e associazioni di categoria.

Secondo tale descrizione effettivamente le analogie tra cluster e distretto sono molte. Tuttavia quello che rileva maggiormente è l’approccio legislativo dell’Unione Europea in materia di definizione, individuazione e supporto ai cluster. Essa infatti li ha sempre considerati innanzitutto una forma organizzativa particolarmente efficace per lo sviluppo dell’innovazione. Così come si è avuta occasione già di sottolineare parlando dei vantaggi dei distretti, anche all’interno dell’area del cluster nascono delle forme tipiche di trasferimento tecnologico e della conoscenza che permettono uno sviluppo particolarmente massiccio dell’innovazione. È questa la ragione principale per la quale l’UE si è interessata a questo fenomeno e ha ricercato le soluzioni più adatte per favorirne e sostenerne la nascita e il progresso. Questo obiettivo è perseguito

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principalmente attraverso la predisposizione di finanziamenti da destinare ai cluster più meritevoli. Sono pertanto i network di imprese che propongono il proprio progetto, il quale, se considerato valido in termini di capacità innovative, specializzazione produttiva, peso occupazionale, potenzialità di accrescimento ed internazionalizzazione, sarà finanziato dall’UE. In tal senso, è evidente come l’approccio europeo di politiche in favore dei cluster sia stato di forte ispirazione nella definizione della succitata L.R. 8/2003, con un’organizzazione dei finanziamenti basata su bandi periodici e progetti esplicitati nei patti di sviluppo.

Per altri aspetti, tuttavia, la legislazione europea si è dimostrata piuttosto retrograda, somigliando in taluni aspetti addirittura alla L. 371/91. Questo in particolare per quanto riguarda il processo di mappatura dei cluster attivi nell’area UE iniziato nel 2004 e tuttora in corso. Tale processo è cominciato con l’istituzione dell’European Cluster Observatory, che ha il compito di mappare i cluster, fare un quadro delle diverse politiche nazionali e regionali realizzate in loro favore, elencare enti pubblici e privati che li supportano ed infine fare un archivio della letteratura disponibile in materia di cluster.

Grazie poi ad un metodo di valutazione a stelle, ogni cluster riceve una valutazione sulla base dei valori di 3 indicatori che valutano:

1. size – la dimensione è valutata in base alla rilevanza del cluster in termini di occupazione;

2. focus – la specializzazione produttiva del cluster deve avere un peso significativamente maggiore rispetto a quello delle altre attività economiche svolte nella stessa regione, sia in termini economici che occupazionali;

3. specialization – la specializzazione produttiva del cluster deve avere nella regione un peso superiore di quella che lo stesso tipo di produzione ha in altre regioni europee.

Ciò che è interessante rilevare a proposito della metodologia utilizzata dall’European

Cluster Observatory, è come esso individui i diversi cluster. Innanzitutto rileva le

attività sulla base dei codici NACE, successivamente scompone le aree geografiche secondo i NUTS, ossia unità territoriali statistiche utilizzate dall’Eurostat a fini di

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indagine statistica, per poi rintracciare i cluster incrociando NACE e NUTS. Un metodo che ricorda molto quello basato sul concetto di “area territoriale locale” e usato nella L. 371/91 per individuare i distretti. Quindi, anche in questo caso si registra un errore concettuale di base, ovvero quello di definire il cluster secondo l’estensione dell’unità geografica amministrativa, piuttosto che determinare l’ampiezza del territorio in riferimento all’ubicazione delle imprese che costituiscono il cluster.

Interessa infine notare come la legislazione europea in materia di cluster non abbia mai voluto tentare di regolare la loro natura giuridica, né tantomeno i rapporti di diritto privato intercorrenti tra i partner dello stesso cluster. Tentativo che invece il legislatore italiano ha iniziato a fare a partire dal disegno di legge “Bersani”, continuando con la L. 133/08 e la L. 33/2009 di cui si passerà a parlare in dettaglio nel paragrafo successivo. Obiettivo del legislatore europeo è stato invece unicamente quello di definire i finanziamenti per supportare lo sviluppo dei cluster e di conseguenza l’innovazione da essi sviluppata.