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CAPITOLO 4 IL MANAGEMENT DELLE RETI DI IMPRESE

4.1 QUADRO MACRO-ECONOMICO DI SINTESI DELLE PMI ITALIANE

Lo strumento del contratto di rete nasce principalmente come tentativo di rilanciare la competitività, sia nazionale ma soprattutto internazionale, delle PMI italiane. Storicamente, infatti, la dimensione medio-piccola delle imprese è una delle principali caratteristiche del tessuto industriale nazionale. Lo è fortemente ancora oggi, così come dimostrano chiaramente i dati nazionali riportati nella Scheda Informativa SBA 201328 (Tabella 4.1). Come si può facilmente osservare, le PMI costituiscono ben il 99,99% delle imprese italiane, attestandosi così non solo al di sopra della media europea, ma addirittura in prima posizione rispetto a qualsiasi altro stato membro. In particolare, tra le PMI più del 94% sono microimprese29 e contribuiscono ad un terzo sia del valore aggiunto prodotto che del tasso di occupazione. Considerando invece il complesso delle PMI, i dati concernenti valore aggiunto e peso occupazionale salgono addirittura al 68% e all’80% rispettivamente; anche in questo caso trattasi di percentuali significativamente superiori rispetto alla media europea (Tabella 4.2). Tale struttura del tessuto industriale italiano è stata, almeno fino ad inizio millennio, proprio uno dei punti di forza del nostro sistema Paese. Infatti le PMI italiane erano sempre riuscite, in parte lavorando indipendentemente e in parte aggregandosi nei distretti, a garantire flessibilità nella produzione, rapido adattamento alle richieste del cliente, ottime competenze tecnologiche ed ingegneristiche e qualità del prodotto finale generalmente superiore rispetto ai concorrenti; esse potevano inoltre contare su buoni numeri nel mercato nazionale e su notevoli performance in termini di export derivanti dalla competitività dei prezzi (dovuta anche a politiche di svalutazione competitiva della Lira) e dalla

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Disponibile all’indirizzo < http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/facts-figures-

analysis/performance-review/files/countries-sheets/2013/italy_it.pdf>. L’obbligo di redazione della Scheda Informativa SBA è stato introdotto nel 2011 per i Paesi membri dell’UE nell’ambito del programma di supporto delle PMI volto a sostenerne lo sviluppo e l’internazionalizzazione. Una questione centrale riguarda proprio il monitoraggio delle tendenze strategiche e delle politiche pubbliche relative alle PMI, con obbligo per ogni Paese membro di nominare un funzionario in rappresentanza delle PMI nazionali e che si faccia responsabile dell’attuazione dell’agenda SBA nel proprio stato.

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Si fa sempre riferimento alla classificazione dell’UE che valuta la dimensione delle imprese secondo il numero di dipendenti. Pertanto:

 Microimpresa - 1-9 dipendenti  Piccola impresa – 10-49 dipendenti  Media impresa – 50-249 dipendenti  Grande impresa – più di 250 dipendenti

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qualità riconosciuta dai clienti al prodotto italiano30. Tuttavia la crisi iniziata nel 2007 ha messo in difficoltà soprattutto il comparto proprio delle PMI, in particolare le microimprese si sono ritrovate in grande difficoltà e tutt’oggi fanno registrare dati

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Ci si riferisce in particolare alle cosiddette 4A del Made in Italy: Automazione meccanica, Abbigliamento, Agroalimentare e Arredamento. Come si può notare dalle Fig. 3 e 4, il loro peso sulla bilancia commerciale nazionale è assolutamente rilevante tanto che, al netto delle importazioni relative a fonti energetiche, questa risulterebbe ampiamente positiva. Vale inoltre notare come il surplus commerciale relativo al solo settore dell’automazione meccanica sia più del doppio del surplus generato dalle altre A del Made in Italy; questo per sfatare la comune percezione che l’industria italiana si basi principalmente sui settori della moda, arredamento, design e agroalimentare.

Fig.4.1: Andamento comparato di bilancia commerciale totale, relativa alle 4A e agli altri settori.

Fonte: Marco Fortis – Fondazione Edison

Fig. 4.2: Andamento della bilancia commerciale relativa alle 4A scomposto per settore industriale.

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stagnanti (ovviamente quando non addirittura negativi) in termini di crescita del fatturato, di valore aggiunto (VA) e di occupazione. In generale, le PMI dal 2008 al 2012 sono diminuite in numero del 2%, il loro tasso occupazionale è sceso del 5% e sono calate in termini di valore aggiunto del 10%. La loro dimensione infatti non le ha permesso di resistere alla crisi cercando di espandere i propri mercati ai Paesi emergenti, strategia che invece hanno potuto perseguire le grandi aziende che infatti dimostrano di avere fronteggiato piuttosto bene la crisi, registrando addirittura un trend di crescita dal 2008 al 201131 dell’11,4% per quanto riguarda il valore aggiunto prodotto (Tabella 4.3); invece i cali osservati con riguardo al loro numero e al tasso di occupazione possono essere spiegati, oltre naturalmente anche con la crisi, anche da altre dinamiche industriali, come recenti fusioni, l’outsourcing di alcune funzioni, l’implementazione di ICT che ha sostituito il personale “umano” in alcuni processi, e similari.

Tab. 4.1: Dati sulla composizione del tessuto industriale italiano.

Numero di imprese

ITALIA UE 27

Numero Percentuale Percentuale

Micro 3.491.826 94,4% 92,1% Piccole 183.198 5,0% 6,6% Medie 19.265 0,5% 1,1% PMI 3.694.288 99,9% 99,8% Grandi 3.196 0,1% 0,2% Totale 3.697.484 100,0% 100,0%

Fonte: Scheda informativa SBA 2013.

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Sul sito dell’ISTAT i dati relativi alla struttura industriale nazionale sono aggiornati solamente fino al 2011. Si sarebbe potuto effettuare il confronto con i dati 2013 della scheda informativa SBA, tuttavia comparando questi con i dati ISTAT relativi al 2011 (unico anno di misurazione comune disponibile) si osserva come il calcolo del valore aggiunto non coincida per via di una differenza metodologica e che risulti sottostimato nel documento SBA. Pertanto un confronto tra dati ISTAT e dati SBA avrebbe portato a conclusioni non veritiere del reale andamento del dato relativo al valore aggiunto. Pertanto si ritiene più significativo riportare la variazione dei dati relativi alle grandi imprese facendo riferimento sia per il 2008 che per il 2011 ai dati forniti dall’ISTAT.

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Fig. 4.3: Confronto tra il numero di PMI in Italia e la media dei Paesi UE.

Fonte: Scheda informativa SBA 2013.

Tab. 4.2: Dati sull’occupazione e il valore aggiunto prodotto dalle imprese italiane.

Occupazione Valore aggiunto

ITALIA UE 27 ITALIA UE 27

Numero Percentuale Percentuale Miliardi di

Percentuale Percentuale Micro 3.491.826 94,4% 92,1% 180 29,4% 21,2% Piccole 183.198 5,0% 6,6% 139 22,7% 18,5% Medie 19.265 0,5% 1,1% 99 16,2% 18,4% PMI 3.694.288 99,9% 99,8% 418 68,3% 58,1% Grandi 3.196 0,1% 0,2% 194 31,7% 41,9% Totale 3.697.484 100,0% 100,0% 612 100,0% 100,0%

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Fig. 4.4: Confronto tra il numero di dipendenti nelle PMI italiane e la media dei Paesi UE.

Fonte: Scheda informativa SBA 2013.

Fig. 4.5: Confronto tra il valore aggiunto prodotto dalle PMI italiane e la media dei Paesi UE.

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Tab. 4.3: Dati su numerosità, valore aggiunto ed occupazione delle grandi imprese nel 2008 e 2011.

Fonte: Elaborazione personale sulla base di dati ISTAT.

La circostanza, poi, per la quale le micro-imprese sono specializzate in attività a bassa intensità di conoscenza e possiedono un livello tecnologico medio-basso rende il loro contributo in termini di valore aggiunto prodotto inferiore al livello che ci si dovrebbe aspettare data la loro alta numerosità. Inoltre in media il complesso delle PMI ha sofferto anche sul piano delle esportazioni: le risorse in termini di capitali e di competenze a loro disposizione nella maggior parte dei casi non hanno permesso loro di ricercare di aprirsi maggiormente verso i mercato esteri, specialmente quelli dei Paesi emergenti. Infatti osservando i dati relativi al quadriennio 2008-2012 si nota come le sole esportazioni delle PMI italiane verso i Paesi UE siano calate del 12%.

Ad aggravare le loro difficoltà ha contribuito anche il sistema del credito italiano. Infatti le banche continuano a dimostrarsi poco propense ad appoggiare le PMI fornendo loro capitale di prestito, il che è dimostrato da un aumento della percentuale di rifiuti. Oppure propongono finanziamenti a tassi di interesse assolutamente inaccettabili per le imprese. Diminuiscono inoltre anche i finanziamenti pubblici, mentre i tempi per ottenere i pagamenti dagli enti pubblici rimangono inaccettabilmente lunghi, particolarmente se comparati a quelli medi negli altri Paesi dell’UE (90 giorni in Italia contro i 29 giorni della media UE).

Infine, per quanto concerne la capacità innovativa delle imprese, l’ultimo sondaggio comunitario del 2010 ha messo in luce come le PMI siano ancora molto indietro nella commercializzazione di prodotti innovativi, ma anche per quanto riguarda le collaborazioni dedicate all’R&D e la partecipazione a bandi europei per la ricerca. Tra i pochi dati positivi, quello relativo allo “spirito innovativo” delle imprese, misurato con indicatori quali introduzione di innovazioni di prodotto e di processo e attività di ricerca

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in house; è tuttavia da evidenziare come queste siano principalmente di tipo

incrementale, il che le rende in molti casi aggredibili dalla concorrenza internazionale. Rispetto alle controparti europee, inoltre, sono ancora molto indietro per quanto concerne sia l’integrazione nelle proprie attività delle ICT, sia l’utilizzo dei canali digitali per potenziare l’ambito commerciale (con riguardo quindi sia agli acquisti che alle vendite).