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CAPITOLO 2: L’AFFIDAMENTO IN GIAPPONE

2.1 Modello monogenitoriale

2.1.1 Preferenza per l’affidamento ad un solo genitore

Come già esposto nel capitolo precedente, durante il corso della sua storia, in Giappone lo stato raramente è intervenuto nei casi di divorzio; inoltre la diffusa concezione che al divorzio corrispondesse lo scioglimento di tutti i legami creatisi durante il matrimonio, combinata alla “natura chiusa” della famiglia, che portava ad una tendenza a risolvere i problemi all’interno della famiglia stessa senza un intervento esterno, hanno creato un ambiente favorevole al sistema dell’affidamento monogenitoriale7. L’affidamento condiviso non è mai stato tra i costumi giapponesi; sia precedentemente che durante la prima metà del Novecento, in caso di divorzio alle madri non veniva data altra scelta se non quella di abbandonare la casa matrimoniale, lasciando i figli con i padri8. Solo durante gli anni sessanta si è verificato uno spostamento verso una preferenza per le cure materne9: in altre parole si è iniziato a ritenere che concedere alle madri la custodia dei figli, fosse la scelta migliore per i figli stessi10. Anche oggi, la maggior parte dei casi di affidamento ad un solo genitore, restano in favore della figura materna, a meno che questa non sia ritenuta idonea al ruolo genitoriale11.

L’affidamento ad un solo genitore è ritenuto la soluzione più idonea poiché fornisce stabilità ai figli; va sottolineato che il tutelare un ambiente stabile sia considerato come la scelta migliore al fine di salvaguardare l’interesse del minore12. Anche se negli anni la società giapponese ha assunto diverse posizioni in merito a quale dei due genitori fosse ritenuto più idoneo alla cura dei figli (passando dalla figura paterna del capofamiglia, alla figura della madre come figura essenziale per la crescita del bambino), il supporto per il sistema dell’affidamento monogenitoriale è rimasto costante13.

7 TANASE Takao, Divorce and the Best Interest of the Child: Disputes Over Visitation and the Japanese Family Courts, (Traduzione a cura di Matthew J. McCauley), Pacific Rim Law & Policy Journal Association, Volume 20,

Numero 3, 2011 pp. 576-577

8 Paul HANLEY, Black Hole in the Rising Sun: Japan and the Hague Convention, International Human Rights Law

Journal, Volume 2, Articolo 2, 2016 pp. 14-16

9 Nel prossimo paragrafo si analizzerà più nel dettaglio questa preferenza nell’identificare le madri come

genitore affidatario.

10 HANLEY, Black Hole in the Rising Sun ..., 2016, pp. 14

11 MCCAULEY, Divorce and the Welfare of the Child in Japan, 2011, pp. 594 12 MCCAULEY, Divorce and the Welfare of the Child in Japan, 2011, pp. 604 13 HORVATH and RYZNAR, Protecting the Parent-Child Relationship, 2014, pp. 311

24 La posizione di genitore affidatario permette (al genitore a cui venga concessa tale nomina) di decidere dell’educazione dei figli, l’eventuale percorso religioso, quali cure mediche intraprendere, e decidere della cura quotidiana di questi. Il genitore non affidatario assume un ruolo marginale, perdendo quel potere decisionale (che viene invece gestito autonomamente dal genitore affidatario) e il suo impatto nella vita dei figli viene limitato14. Il principio della custodia monogenitoriale si fonda su un particolare elemento, secondo il quale un genitore viene ritenuto più “essenziale” nella crescita del figlio, e quindi a questo deve essere affidata la custodia del figlio, mentre l’altro debba occuparsi solo di una eventuale assistenza finanziaria15.

Una spiegazione al supporto dato al modello di affidamento ad un solo genitore, potrebbe risiedere anche in una differenza intrinseca della cultura e dei costumi giapponesi. Secondo Ogawa16, vi sarebbero due ragioni principali che portano (soprattutto per quanto riguarda le madri giapponesi) a ritenere che il sistema di affidamento monogenitoriale sia migliore di quello condiviso. Anzitutto l’assenza del concetto di custodia condivisa nell’ordinamento giapponese17: si ritiene che, non essendo mai stato presente questo tipo di modello di affidamento, vi siano difficoltà per la mentalità giapponese a comprendere il principio della custodia condivisa e della condivisione delle responsabilità genitoriali in caso di divorzio. In secondo luogo, la presenza di ostilità tra le parti18 durante il divorzio, rende l’elemento della custodia condivisa un’eventuale sgradevole continuazione dei rapporti tra i genitori19. Seguendo un particolare concetto ereditato dall’epoca Meiji (se non addirittura antecedente) al divorzio corrisponde la totale interruzione dei rapporti tra gli ex-coniugi; di conseguenza risulta difficile, secondo questa mentalità, accettare una continuazione del

14 HORVATH and RYZNAR, Protecting the Parent-Child Relationship, 2014, pp. 312-313

15 In riferimento al genitore al quale viene attribuito il ruolo principale nella crescita del minore (conosciuto in

inglese come il primary caretaker) si veda HORVATH and RYZNAR, Protecting the Parent-Child Relationship, 2014, pp. 307-309

16 OGAWA, The child custody Issues at the time of divorce …, 2009, cit., pp. 43-45 17 MOTOYAMA,Kazokuhō (Diritto di Famiglia), 2015, pp.110-111

18 MOTOYAMA,Kazokuhō (Diritto di Famiglia), 2015, pp. 118

19 Queste ragioni sono particolarmente sentite nei casi internazionali (oltre che in quelli interni al Giappone),

soprattutto quando si parla di sottrazione internazionale dei minore. Molte madri giapponesi, infatti, ritengono che in caso di divorzio, sia meglio far crescere i figli seguendo la “tradizione” giapponese; pensano quindi di agire nell’interesse dei figli minori quando decidono di ritornare in Giappone, anche andando contro l’ordine di un tribunale di un altro Stato. Questo argomento verrà trattato più nello specifico nel capitolo 4. Si veda sempre OGAWA, The child custody Issues at the time of divorce …, 2009, pp. 43-45

25 rapporto seppur in forma limitata20. Vi sono addirittura testimonianze di giudici dei tribunali di famiglia che sostengono che la custodia dei figli debba essere concessa in via esclusiva alle madri, lasciando i padri “liberi” di intraprendere una “nuova vita”, senza restare legati all’ex- coniuge21.

Secondo questo particolare modello di affidamento, il genitore affidatario ottiene sia lo

Shinken che il Kangoken (di norma compreso nello stesso Shinken). Il genitore che ha la

custodia, può cambiare il nome del figlio, può prendere le decisioni più importanti relative alla crescita del minore, senza necessitare dell’autorizzazione dell’altro genitore22. Poiché in Giappone i genitori possono separarsi tramite divorzio consensuale, questi decidono autonomamente quale dei due otterrà la custodia totale dei figli23. Quando le parti non riescono a raggiungere un accordo, un giudice interviene. Poiché le determinanti per la custodia sono vaghe, e il cosiddetto “miglior interesse del minore” rappresenta uno standard molto generico e libero ad interpretazione, senza una chiara e precisa guida, la disputa per la custodia viene risolta secondo la discrezione della corte24; in questi casi i valori personali e tradizionali influenzano le decisioni nell’ambito della custodia dei minori25.

Nella maggior parte dei casi, la madre viene nominata come genitore affidatario; questa preferenza per le cure materne viene associata alla cosiddetta Tender Years Doctrine.

20 OGAWA, The child custody Issues at the time of divorce …, 2009, pp. 43-45

21 Megan J. REYNOLDS, It Can Be Done: On Japan becoming a successful signatory to the Hague Convention on the Civil Aspects of International Child Abduction, The George Washington International Law Review, Volume

44, 2012, pp. 383

22 JONES, In the Best Interests of the Court …, 2007, cit., pp. 215

23 Si faccia riferimento al paragrafo sul Kyōgirikon del capitolo precedente 24 JONES, In the Best Interests of the Court …, 2007, cit., pp. 218-220

25 Gary SKOLOFF and Robert J. LEVY, Custody Doctrines and Custody Practice: A Divorce Practitioner’s View,

Family Law Quarterly, Volume 36, Numero 1, 2002, pp. 79-85. E HORVATH and RYZNAR, Protecting the Parent-

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