A multiple case study Marta Bertagnoll
3. Presupposti teorici del sostegno alla genitorialità a distanza
L’attuale filone di studi pedagogici sulle famiglie appare guidato da nuove co- ordinate orientate verso la pluralità e l’eterogeneità delle forme familiari (Gigli, 2007; Fruggeri, 2007). Si tratta di una visione polimorfa che sembra lasciare spazio anche alle famiglie transnazionali (Bryceson & Vuerela, 2002). Con
10 Si sta facendo riferimento alla “Women domestic workers and carers in the EU European Par-
liament resolution of 28 April 2016. (2015/2094 (INI). Il testo completo si può leggere online
sul sito del Parlamento Europeo.
11 Al comma D, infatti si legge: «domestic workers and carers contribute greatly to the gender equality targets of the Europe 2020 strategy by effectively providing the infrastructure ena- bling many families in the EU to achieve work-life balance» (comma D, Europarlamento, 2016).
12 È quello che succede in Spagna dove i movimenti femministi, i sindacati, i collettivi di donne e le lavoratrici hanno intrapreso da tempo un percorso comune; il loro slogan è “Sin nosotras
no se mueve el mundo” (senza di noi non si muove il mondo). Un esempio interessante di
questi movimenti è la rete “Territorio doméstico” nata una decina di anni fa Madrid; si tratta di un’unione transfrontaliera e multiculturale di donne consapevoli di essere anelli della “ca- tena globale della cura” (http://territoriodomestico.net/?page_id=11).
quest’espressione si intendono quei nuclei in cui i componenti, pur essendo legati da vincoli affettivi o matrimoniali, vivono in contesti geo-culturalmente diversi (Tognetti & Bordogna, 2012). La vita familiare transnazionale è co- stellata di pratiche (viaggi, comunicazioni, scambi economici, relazioni d’aiuto) tese a fortificare i legami affettivi e la solidarietà tra i diversi membri. La ma- ternità transnazionale indica, quindi, l’esperienza di quelle madri primo-mi- granti13che vivono lontane dalla propria famiglia e fungono da sostegno
economico senza però rinunciare – come accade generalmente per il corrispet- tivo maschile – a ricoprire anche le funzioni di cura e sostegno emotivo a di- stanza. Secondo Beck e Beck-Gernsheim (2012, p.128), in modo contrapposto al consueto binomio prossimità/amore, ci troviamo di fronte a una distanza che è carica di amore, cura e preoccupazione: «chi ama la propria famiglia l’ab- bandona, per gettare altrove le basi per un futuro migliore». L’esperienza delle madri migranti, tuttavia, è spesso accompagnata dallo stigma per la loro par- tenza. Il “discorso ufficiale” (Bezzi, 2013), infatti, tende a giudicare negativa- mente i genitori migranti, specialmente le madri, accusandole di aver abbandonato i propri figli e in questo modo contribuisce a porre in secondo piano gli squilibri socioeconomici che generano le partenze (Vianello, 2011). Ciò nonostante la maggior parte delle ricerche sul tema ha messo in luce come il rapporto a distanza tra madri e figli sia caratterizzato più dalla continuità – affettiva e relazionale – che non dalla rottura del legame (Bezzi, 2013; Casta- gnone, Eve, Petrillo et al., 2007; Foamete-Ducu, 2011; Keough, 2015; Onica, 2009; Hondagneu-Sotelo & Avila, 1997; Parreñas, 2001). Le funzioni di cura nei confronti dei cosiddetti children left behind, contrariamente a quanto l’espressione italiana “orfani bianchi” (Fondazione Albero della Vita, 2010) non lasci più di tanto immaginare, vengono svolte nella maggioranza dei casi dalla famiglia allargata a cui i minori vengono affidati. Se non si può parlare di abbandono, sarebbe tuttavia un errore non prendere in considerazione tanto le problematiche connesse con taluni affidi alla famiglia allargata14, quanto i
costi emotivi e sociali che le partenze femminili comportano nei nuclei fami-
13 Per “donne primo-migranti” si intendono coloro che intraprendono la migrazione da sole, senza il proprio partner o i propri familiari; questo di solito implica l’assunzione di un ruolo di sostegno economico (breadwinner). La letteratura sulle migrazioni per decenni, fino agli anni ‘80, ha considerato gli uomini primo-migranti e le donne “migranti al seguito”, si parla in proposito di “male bias” (Kofman, 1999).
14 Tognetti Bordogna (2012) mette in evidenza come in alcuni casi i nonni a cui vengono affi- dati i bambini e ragazzi abbiano un’età avanzata e facciano fatica a gestire i nipoti, soprattutto se adolescenti. Purtroppo non vengono forniti dati statistici precisi in merito all’età di tali
liari e nelle comunità di origine, in particolar modo in quei contesti dove le responsabilità di cura sono tradizionalmente affidate alle componenti femmi- nili.
I presupposti per un sostegno alla genitorialità derivano dall’intendere que- st’ultima – non solo e non più di tanto in senso biologico – bensì come una funzione personale e autonoma (Bastianoni, 2009) ma anche processuale, re- lazionale, contestuale e storica (Milani, 2001, 2009). Una funzione che è esito, quindi, di un apprendimento continuo, dove “genitori non si nasce, ma lo si diventa” e per cui esistono diversi modi di essere good enough parent (Bettel- heim, 1987); da qui la necessità, prima di un intervento di sostegno, di fare riferimento al contesto ambientale, ma anche alle fasi e ai compiti del ciclo vi- tale di una famiglia, così come ai tratti distintivi personali e culturali che la contraddistinguono (Milani & Zanon, 2015). Date queste premesse, il soste- gno alla genitorialità viene inteso come un’importante occasione di formazione umana e di promozione del benessere (Iavarone, 2008; Milani, 2009) che in- veste tutti i membri del nucleo familiare. Alla luce di questi aspetti, all’interno della dimensione di nostro interesse – l’aver cura di chi cura – un’attenzione privilegiata è stata accordata al sostegno alla genitorialità a distanza esercitato dalle madri migranti provenienti dall’Est Europa15e in particolare ad alcune
esperienze di realizzazione di tale sostegno.
Mentre una ricca letteratura ha già contribuito a descrivere le complesse pratiche della genitorialità transnazionale e del caring a distanza – le modalità e strategie con cui le madri continuano ad esercitare il loro ruolo genitoriale (affettivo, normativo, educativo, ecc.) anche da lontano (Ambrosini & Boc- cagni, 2009; Hondagneu-Sotelo & Avila, 1998; Hochschild & Ehrenreich, 2003; Parreñas, 2001), – il tema del sostegno alla maternità transnazionale si presenta come un fronte pressoché sconosciuto e tuttora da indagare.
Il presente lavoro, riconoscendo la dimensione familiare presente nel- l’evento migratorio in esame (Vinciguerra, 2012; Zanfrini, 2008), si propone di soffermarsi sulle modalità con le quali offrire e progettare un possibile so- stegno alla genitorialità a distanza esercitata dalle madri migranti. La ricerca prende le mosse dall’ipotesi di un possibile legame virtuoso esistente tra il be- nessere delle “madri-lavoratrici” (Keough, 2015) inserite nel settore della cura
15 In particolare ci si è riferiti a Ucraina, Romania e Moldova per molteplici ragioni: per la ri- levanza statistica; perché sono i gruppi destinatari dei progetti individuati e perché infine, in particolare per quanto concerne Romania e Moldova, grazie alla conoscenza della lingua ro- mena, è stato possibile estendere il panorama bibliografico anche alla letteratura romena e moldava.
e l’esperienza di una genitorialità vissuta, per quanto possibile, in modo equi- librato e consapevole anche se a distanza. In quest’ottica, dunque, si ritiene che anche la specifica genitorialità esercitata dalle madri migranti a distanza possa trarre vantaggio dalla ormai consolidata esperienza nata nell’ambito dei servizi educativi e sociali di sostegno ai genitori, diffusi da alcuni decenni nel nostro paese (Milani, 2001).
Nel lavoro di concettualizzazione delle donne migranti, destinatarie dei progetti di sostegno alla genitorialità in esame, si è ritenuta imprescindibile l’assunzione di un’ottica intersezionale nell’andare a leggere la siffatta presenza migratoria. L’essere donne, l’essere straniere e la tipologia di lavoro svolto rap- presentano, infatti, tre assi fondamentali a cui guardare per poter inquadrare questa presenza migratoria, che vanno tenuti in connessione tra loro e intrec- ciati al fine di ottenere una visione al contempo complessa e critica. L’interse- zionalità16può fungere da utile strumento analitico per provare a comprendere
come tali lavoratrici e donne “dell’Est” siano percepite nel contesto “occiden- tale17” e come loro stesse percepiscano il mondo ad “Ovest” (Onica, 2009);
non solo, un siffatto sguardo risulta utile anche per introdurre discorsi legati alle iniquità e alle oppressioni che spesso riguardano i compiti di cura (Tronto, 1993). Infine lo stesso esercizio della genitorialità a distanza risulta pesante- mente influenzato dai tre assi in esame, in particolare lo status di straniere o la “migrancy” (Näre, 2013) – da cui deriva il possesso o meno del permesso di soggiorno – e la tipologia di lavoro svolto – spesso in nero18e in condizioni di
co-residenzialità – sono fattori che influiscono notevolmente sulla possibilità di fare ritorno a casa o di effettuare un ricongiungimento familiare.
16 Il termine “intersectionality” viene utilizzato per la prima volta da Crenshaw (1989). La que- stione intersezionale, tuttavia, fu sollevata già a partire dagli anni ’60 e ‘70 del ‘900 all’interno del movimento “Black feminism”. Nato negli Stati Uniti, non rimanda solo alle femministe africane o afroamericane, ma comprende una corrente che ha definito la dominazione di ge- nere senza mai isolarla da altri rapporti di potere, a partire dal razzismo e dai rapporti di classe, assumendo una posizione critica rispetto al movimento femminista dominante al- l’epoca, rappresentativo della classe media americana bianca. Per una sintesi in italiano dei movimenti americani (Perilli & Ellena 2012, pp. 130-135). Per una rassegna aggiornata sul tema vedi (Lutz, 2016).
17 Emblematico di una parte di immaginario comune e frutto di un processo di essenzializza- zione della nazionalità è il contenuto di una recente trasmissione, “La vita in diretta”, andata in onda nel marzo 2017 sulla Rai, la rete pubblica italiana, che affrontava il tema del “fascino delle donne dell’Est”, raccogliendo in una slide, poi duramente contestata, i principali “motivi per scegliere una fidanzata dell’Est”.
18 I 2/3 della presenza straniera inserita nel lavoro di cura in Italia lavora in nero. Il 26% delle donne non possiede il permesso di soggiorno, mentre il 36% pur risiedendo in modo regolare o essendo cittadina comunitaria lavora senza contratto di lavoro (Pasquinelli 2013, p. 47).
Scelte forzate, interdipendenze e relazioni di cura che generano lontananze, benesseri ritrovati che comportano malesseri altrove; sono molte le contrad- dizioni poste da questo fenomeno globale. Da un punto di vista pedagogico appare urgente interrogarsi circa l’eticità e la sostenibilità di un sistema di wel- fare in cui, per rispondere a un bisogno delle famiglie italiane, si rischia di pro- vocare la separazione e spesso la disgregazione di famiglie straniere. In continuità con una lettura della migrazione, in particolare dai paesi postsocia- listi19, vista come tentativo di superamento dei sistemi di welfare intesi come
confini internazionali di disuguaglianza (Bommes & Geddes, 2000), si pre- senta auspicabile la realizzazione di un welfare transnazionale (Piperno & To- gnetti Bordogna, 2012) capace di travalicare i confini per rispondere ai nuovi bisogni generati dalla globalizzazione.