Gli interventi pubblici sono essenziali per lo sviluppo dell’innovazione, ma non sufficienti per ricreare il modello della Silicon Valley, il quale deve il suo successo al qualificarsi come punto di congiunzione tra università, aziende e pubblica amministrazione. Uno scambio continuo tra questi tre settori di conoscenze e risorse, un flusso costante di nuovi imprenditori talentuosi, ingegneri, programmatori, economisti, ricercatori molto ben istruiti, un’attiva comunità di venture capital e professionisti del
80 È possibile consultare la Startup Europe map al seguente link
http://www.startupeuropemap.eu/map.
81 Tra le varie iniziative citiamo a titolo esemplificativo la SEC2SV: Startup
Europe Comes to Silicon Valley.
82 Tra le varie iniziative citiamo a titolo esemplificativo la Startup Europe Comes
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business non potrebbe dare risultati differenti. Del resto, il primo
fattore determinante per la nascita delle startup sono le idee e, senza dubbio, un contesto universitario stimolante può avere un impatto determinante in questo senso. Quest’ultimo, infatti, non solo può incentivarle, ma se fornito dei giusti strumenti, può essere in grado di colmare quel gap che separa una buona tecnologia o una buona idea da una buona impresa, portando a termine quella che viene definita “terza missione”.83 “Il sistema formativo dovrebbe
preparare persone che dispongano di una sicura padronanza delle nuove tecnologie e della capacità di gestire realtà aziendali sempre più complesse, nell’ambito di un sistema produttivo mondiale sempre più competitivo e ricco di nuovi attori”.84
L’università appare in grado di realizzare tre forme di
networks, attraverso cui l’imprenditore può ottenere una serie di
vantaggi e opportunità che facilitano il processo di new business
creation:
1. Legitimation networks: consiste nell’attività di supporto che l’università realizza a favore del potenziale imprenditore.
2. Opportunity networks: le Università mediante il loro ruolo e le loro attività, sono in grado di attivare networks che possono agevolare l’imprenditore nel riconoscere, valutare e scegliere tra le diverse opportunità.
83 In tal senso Green Paper Fostering and Measuring “Third Mission” in
Higher Education Institutions, Marzo 2012. Qui si legge, infatti, che la terza
missione è “…mission to engage with society in meaningfull and mutually
beneficial dialogues and processes”. Come mette in evidenza una parte della
dottrina, tale definizione ricalca il Tripla Helix Model elaborato da H. Etzkowitz e L. Leydesdorff di cui parleremo più avanti. (A. Bellezza, V. Caggiano, V. Piccione, Entrepreneurial university as innovation driver: the Salamanca
Summer School case, Studi sulla Formazione, Firenze, Vol. 20, Fasc. 2, 2017,
pp.179 ss.).
84 E. PONTAROLLO, Recensione a G. BERTA, L’Italia delle fabbriche. La
parabola dell’industrialismo nel Novecento, Bologna, Il Mulino, pp. 338, in L’industria, Fascicolo 2, 2014, p. 340.
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3. Resource networks: le università agevolano l’attività del nuovo imprenditore consentendo l’accesso ad informazioni e a risorse materiali e immateriali, altrimenti non disponibili e difficilmente reperibili. 85
Dalla nostra analisi emerge dunque che “l'innovazione è
effettivamente frutto di un processo collettivo”. Ma in che modo
Stato, università e settore privato interagiscono tra di loro all’interno dell’ecosistema innovativo? Henry Etzkowitz and Loet Leydesdorff nel libro “The Triple Helix, University-Industry-Government
Relations: A laboratory for Knowledge-Based Economic
Development” individuano tre modelli di interazione:
1. Etatistic model: Il ruolo più importante è svolto dal governo che deve influenzare le altre due istituzioni definendo una politica industriale e di ricerca che fornisca a esse strumenti di indirizzo e di supporto.
2. Laissez-faire model: ciascuna istituzione rimane chiusa in se stessa e persegue i propri obiettivi istituzionali, limitando la nascita di relazioni in rapporto alle esigenze espresse da ciascuno dei singoli attori nell’ambito della propria autonomia operativa. 3. Tripla helix model: Tale modello si caratterizza per una forte
interazione tra Università, Imprese e Stato. Ciascuno degli attori è chiamato a ricercare occasioni di “contaminazione” con le altre realtà. L’Università assume il ruolo di entrepreneurial university, proponendosi quale parte attiva nello stimolare un confronto con il sistema produttivo, elaborando strategie di collaborazione con
85 L. PETRETTO, Imprenditore ed Università nello start-up di impresa, Firenze
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lo Stato e le Imprese nel rispetto delle proprie finalità istituzionali.86
Senza dubbio, il Laissez-faire model si configura come il prototipo meno ideale nell’attuale contesto socio-economico, dove forme sinergiche di collaborazione appaiono più che necessarie. Appare di estrema importanza l’individuazione di una modalità di collaborazione tra pubblico e privato efficiente per catalizzare interessi e costruire rapporti “simbiotici” e non “parassitici” nel sistema dell’innovazione. Sul punto si rileva un ruolo essenziale
svolto dall'iniziativa pubblica, come committente e finanziatrice delle innovazioni fondamentali, rispetto alle quali l'innovazione imprenditoriale non ha forza sufficiente per realizzarsi autonomamente”.87
86 Cfr. H. ETZKOWITZ E L. LEYDESDORFF, The Triple Helix, University-
Industry-Government Relations: A laboratory for Knowledge-Based Economic Development, Routledge, 2008.
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CAPITOLO II
LA FUNZIONE ECONOMICA IN ITALIA
SOMMARIO: 1. I principi costituzionali in materia economica - 2. Il contesto economico Italiano - 3. L’ecosistema innovativo italiano - 3.1 La fattispecie giuridica dei nuovi status imprenditoriali - 4. Interventi pubblici a favore delle startup - 4.1 Semplificazione degli oneri amministrativi di inizio attività - 4.2 Deroghe in materia societaria e lavoristica - 4.3. Credito di imposta per ricerca e sviluppo - 4.4 Maggiore facilità nella compensazione dell’IVA - 5. Incentivi agli investitori - 5.1 Accesso semplificato, gratuito e diretto al Fondo Centrale di Garanzia (accesso al credito) - 5.2 Incentivi fiscali all’investimento nel capitale di rischio delle startup innovative provenienti da persone fisiche e giuridiche - 5.3 Sostegno ad hoc nel processo di internazionalizzazione - 5.4 Smart&Start - 5.4.1 L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa - 5.5 Il Fondo Nazionale Innovazione - 6. Un’alternativa al capitale di rischio: l’equity crowdfunding.
1. I principi costituzionali in materia economica
Lo Stato Italiano assume la forma di uno Stato democratico parlamentare ad economia mista.88 Con la costituzione si configura uno stato sociale, secondo cui, per il raggiungimento degli obiettivi sociali, gli andamenti economici vanno controllati, indirizzati e sorretti in forma pubblica. Tale forma di stato nasce a seguito dell’evoluzione corruttiva e fraudolenta dello “Stato interventore” che si affermò durante il periodo fascista dovendo fronteggiare la crisi del 1929. Tale ricorso agli ausili statali per le imprese in difficoltà venne mantenuto negli anni quaranta, legittimato dalla necessità di ricostruzione postbellica. Nel tempo, l’espansione delle ipotesi favoritive divenne sempre meno eccezionale tanto da portare
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all’istituzionalizzazione di uno “Stato assistenziale”: gli incentivi
“a pioggia” erano strumenti clientelari per la cattura del voto.89 Oggi, l’art. 41 della Costituzione italiana si pone come fondamento del potere di indirizzo e coordinamento in economia dei pubblici poteri. Tale articolo contiene tre importanti disposizioni: la prima afferma il principio della libertà della iniziativa economica privata, la seconda espone le limitazioni cui tale iniziativa è sottoposta, la terza sancisce le modalità di intervento pubblico necessarie affinché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata.90
La norma in questione riflette, in particolar modo se letta congiuntamente con gli articoli 42, 43 e 44, il compromesso raggiunto dalle tre grandi correnti ideologiche che si fronteggiarono in Assemblea costituente: la corrente marxista, la cattolica e la liberale.91 Le tre correnti assumevano posizioni differenti ma non inconciliabili, in particolare non vennero a realizzarsi spaccature tra chi sosteneva l’economia libera contro la tesi dell’economia pianificata. Non si pose mai in dubbio il potere pubblico nel campo economico ma si discuteva sul carattere che la programmazione avrebbe dovuto assumere.92
89 In tal senso, S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, Laterza,
2007; D. CROCCO, op. cit.
90 P. RICCI, “L’articolo 41 della Costituzione Italiana e la responsabilità sociale
d’impresa” in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale - R.I.R.E.A.,
Vol. 110, Fascicolo: 3/4, pp. 142-150¸ 2010.
91 Ibidem.
92 “Al riguardo non appare peregrino un breve excursus almeno delle posizioni
politiche più significative dell’epoca. La tesi dei comunisti è interamente racchiusa nel discorso tenuto nella seduta del 16 ottobre 1946 dal leader del P.C.I., l’on. Togliatti…. Quest’ultimo ribadiva che doveva essere compito dello Stato vigilare <affinché l’interesse esclusivo dei gruppi privilegiati non possa prevalere sull’interesse della collettività e che tutta l’attività economica del Paese venga guidata in modo che consenta la realizzazione dei nuovi principi di
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I padri costituenti con l’art. 41 consacrarono la libertà di iniziativa economica, qualificandola come estrinsecazione dei diritti di libertà e uguaglianza (artt. 2 e 3 Cost.), nonché humus sul quale ogni cittadino può esercitare il diritto-dovere “di svolgere, secondo
le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art.
4 Cost.) ma al tempo stesso hanno previsto dei limiti e la finalizzazione del suo esercizio.93
Sotto il profilo costituzionale, si legittima pienamente la differenziazione della disciplina giuridica dell’iniziativa da quella del concreto esercizio dell’attività economica. Tale diritto soggettivo economico non è illimitato, né incontrollato. Il primo limite lo incontriamo nella clausola “utilità generale” dell’art. 41, comma 2, il secondo limite invece si colloca al comma 3 il quale sancisce che l’attività economica, indipendentemente dalla natura (pubblica o privata), possa essere con legge indirizzata e coordinata al perseguimento di obiettivi di rilevanza sociale.94 I principali strumenti giuridici mediante cui si attua il potere di indirizzo e coordinamento dell’economia sono i programmi e i controlli, i quali sono definiti dalla legge. La dottrina riferendosi a tali tipologie di leggi tese a vincolare e a condizionare l’altrui esercizio delle libere
giustizia sociale>. I democristiani dal canto loro non mossero critiche a quest'impostazione, pur affermando perentoriamente che andasse in ogni caso garantito il diritto di critica all'esercizio della disciplina e del controllo dell'economia da parte dello Stato, che l'intervento pubblico avesse un'articolazione decentrata e, non da ultimo, che la proprietà personale venisse rispettata in quanto risultato del lavoro e del risparmio dei singoli. Anche l'on. Einaudi, che pur muoveva da posizioni tipicamente <<liberali>>, sostenne un approccio più moderato, avvertendo che il progressivo svilupparsi senza freni delle forze economiche, per una consequenziale logica di sviluppo, conduce alla formazione di monopoli, con un evidente danno sofferto da larghe masse di consumatori. (D. CROCCO, op. cit., pp. 30 ss.).
93 Ivi, p. 34. 94 Ivi, pp. 40 ss.
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attività imprenditoriali private parla di interventi indiretti.95 In ossequio al principio di democraticità che dall’ambito politico deve trasporsi all’ambito economico, tale attività di programmazione dovrebbe concretizzarsi in un rapporto sinergico Governo- Parlamento con la finalità di elaborare un atto composto che contenga la determinazione dell’indirizzo. Il Governo dovrebbe sottoporre al Parlamento il proprio disegno di politica economica e quest’ultimo, dopo averlo discusso nel rispetto della dialettica costruttiva maggioranza-minoranza, dovrebbe approvarlo, deliberando così l’indirizzo politico-economico del paese. Tuttavia l’opinione maggiormente diffusa è che tale modello istituzionale non abbia trovato applicazione e che il Governo si pone come titolare principe dell’attività di direzione dell’economia, degradando il parlamento a mero organo di consulenza e ratifica.96
Dunque, le attività economiche non sono soggette alle sole regole di mercato, ma anche alla regolamentazione amministrativa che è sia sul mercato che per il mercato, per l’esistenza dell’industria stessa o per l’esercizio dell’attività commerciale. Nella maggior parte dei casi gli imprenditori, al fine di esercitare la loro attività, devono munirsi di un provvedimento amministrativo che, a seconda dei casi, può essere una concessione o una autorizzazione.97
95 M. GIUSTI, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia cit., p. 53. 96 D. CROCCO, op. cit., p. 17.
97 Si rammenta che la concessione è quel provvedimento amministrativo col quale
si ammettono soggetti privati all’esercizio di attività economiche, sulle quali generalmente grava la riserva di un diritto in capo al pubblico potere. Per autorizzazione si intende un provvedimento amministrativo che è il risultato di un controllo di legittimità sulla sussistenza in capo al richiedente, di requisiti prefissati conformi al rispetto degli interessi coinvolti al punto tale da rendere possibile la rimozione di un divieto generale posto al libero esercizio di un diritto. Cfr. M. GIUSTI, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia cit., p. 54.
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Con riferimento all’attività di controllo della Pubblica amministrazione, bisogna mettere in evidenza che la dottrina maggioritaria per “controlli” intende l’attività di verifica del piano economico, che come appena detto, viene determinato e approvato con legge. In altre parole per controlli si intende l’attività dei pubblici poteri diretta ad impedire e precludere il manifestarsi degli effetti delle attività economiche poste in essere in contrasto con le indicazioni dettate dal piano e o comunque contrarie alle sue finalità o dannose all’utilità sociale. Le conseguenze alla violazione delle norme del piano possono essere differenti a seconda della gravità; si va dalla diffida all’operatore economico a mettersi in regola in un termine perentorio sino a sanzioni di natura fiscale e pecuniaria.
Bisogna segnalare che l’art. 4198 non si configura esclusivamente quale fondamento costituzionale dello Stato regolatore e garante, ma viene individuato, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, come fondamento del potere di intervento diretto del pubblico potere attraverso una lettura congiunta di altre disposizioni costituzionali. In tal senso, con l’intento di indirizzare ai fini sociali l’economia (art. 41, comma 3) lo Stato può ricorrere alle c.d. politiche di ausilio. Quest’ultime, frutto di scelte estemporanee di opportunità politica, si concretizzano, di volta in volta, con modalità e strumentazioni differenti, non prevedendo il nostro ordinamento un sistema organico di attuazione. Le varie
species degli ausili finanziari scaturiscono da atti di carattere
amministrativo e possono prevedere la costituzione di vantaggi non pecuniari (che si configurano come l’attribuzione di prerogative al
98 F. SAITTO, La corte costituzionale, la tutela della concorrenza e il «principio
generale della liberalizzazione» tra stato e regione in Rivista telematica AIC associazione italiana dei costituzionalisti, https://www.cortecostituzionale.it, Fascicolo 4, 12 Dicembre 2012.
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destinatario atte a derogare le regole generali) o pecuniari (che si configurano in un vantaggio monetario che può essere ottenuto sia attraverso un flusso finanziario dal soggetto pubblico al soggetto privato che all’inverso, ossia mediante la sottrazione del privato dall’onere di determinate prestazioni patrimoniali).
Forme di intervento e di ingerenza nella sfera economica, di tipo eterogeneo, sono ampiamente diffuse in una molteplicità di disposizioni costituzionali, le quali trovano un comune punto di riferimento assiologico nell’art. 3, comma 2, della Costituzione, che impone all’ordinamento repubblicano, nelle sue diverse articolazioni, di attivarsi positivamente allo scopo di rimuovere gli ostacoli presenti nel tessuto vivo dell’esperienza sociale che, limitando nella dimensione dell’effettività, la libertà e l’eguaglianza astrattamente riconosciute dal sistema costituzionale a vantaggio di ogni essere umano, si pongono quali fattori che precludono il pieno sviluppo della persona umana e la reale partecipazione di tutti i consociati ai processi di edificazione della comunità civile e politica (la c.d. “eguaglianza in senso sostanziale”).99 Dunque, l’intervento del potere pubblico si colloca nella prospettiva segnata dall’esigenza del sistema costituzionale di ingerirsi nell’ambito dei rapporti economici allo scopo di tutelare determinati interessi socialmente deboli (o, se si vuole, di conseguire determinati risultati in termini di giustizia sociale) che evidentemente non sono adeguatamente assicurati (o, quantomeno, non necessariamente sono assicurati in misura adeguata) dallo spontaneo dinamismo economico nell’ottica di attuazione del principio di sussidiarietà. Il carattere interventista è confermato dall’art. 4 Cost “La Repubblica riconosce a tutti i
99 L. D’ANDREA, I principi costituzionali in materia economica in Studi
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cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, in tal senso lo Stato può dunque
intraprendere azioni dirette al raggiungimento del massimo livello di occupazione e, infine, dall’art. 43 che prevede la possibilità per lo stato di nazionalizzare imprese ai fini di utilità generale (servizi
pubblici essenziali, fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale ‘art.43’); attività
che è da tenere distinta dalla programmazione. Peraltro, non deve tralasciarsi di considerare come nella Carta costituzionale del 1948 non manchi traccia positiva dell’esigenza (ad un tempo, giuridica, economica e sociale) di una gestione virtuosa, se non ottimale, del complesso delle risorse disponibili da parte di tutti i soggetti del sistema (pubblici e privati): infatti, l’art. 47 prevede, al I comma, che la Repubblica “incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;
disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, e, al II
comma, che la stessa Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio
popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”; si conferisce rilievo positivo al “migliore sfruttamento dei beni e dei mezzi produttivi”, sicché “risparmio”, nella prospettiva del Costituente “è soprattutto l’uso ottimale delle capacità economiche del sistema produttivo”.100
I pericoli di parassitismo o di assistenzialismo paternalista sono certamente immanenti al modello interventista di Stato, per tale motivo, è necessario che l’intervento pubblico si qualifichi in senso autenticamente sussidiario e dunque come funzionale all’emancipazione dal bisogno e alla valorizzazione dell’autodeterminazione dei relativi destinatari. In altre parole,
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citando la suggestiva formulazione della disposizione costituzionale che enuncia la c.d. “sussidiarietà in senso orizzontale” (art. 118 Cost.), l’esercizio delle pubbliche funzioni deve risultare sempre rivolto a “favorire l’autonoma iniziativa” dei cittadini.101
Di fronte alla grave crisi che affronta l’attuale sistema economico-sociale, appare quanto mai necessario interrogare i principi della nostra Carta costituzionale, per attuare in esso nuove forme d’implementazione positiva. Alla luce delle disposizioni analizzate possiamo concludere che è possibile configurare “uno
Stato imprenditore e innovatore”, che funga non soltanto da
regolatore e da guida nell’orientamento delle risorse economiche disponibili (artt. 41 e 47) ma soprattutto da promotore nella creazione delle condizioni necessarie a garantire la piena occupazione (art. 4, comma 1), la partecipazione dei cittadini al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, comma 2) e il benessere sociale (art. 3, comma 2).