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Prossimi passi dell’Unione nella strategia antiterrorismo: cenni sulla direttiva (UE) 2017 n° 541 del

Nel documento Eurojust ed il contrasto al terrorismo (pagine 142-161)

III. EUROJUST E IL CONTRASTO AL TERRORISMO

7. Prossimi passi dell’Unione nella strategia antiterrorismo: cenni sulla direttiva (UE) 2017 n° 541 del

Parlamento europeo e del Consiglio

I contenuti della strategia europea antiterrorismo sono quelli che più direttamente investono le competenze dei pubblici ministeri e degli investigatori in genere. Le indagini nel contrasto al terrorismo in Europa costituiscono, attualmente, il terreno su cui si misura l’effettività delle politiche scelte e l’efficacia della cooperazione fra Stati187.

Pertanto, merita di essere brevemente analizzata la direttiva UE n. 541 del 2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, la quale avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri entro l’8 Settembre 2018. Si tratta di uno strumento che s’inserisce in un periodo storico particolare, dal punto di vista delle strategie di contrasto al terrorismo presenti in Europa, in cui gli Stati membri stanno osservando in che misura è possibile introdurre modifiche nei propri ordinamenti penali per adeguare il diritto interno alle esigenze di sicurezza affrontate dalla nuova normativa antiterrorismo. Un processo interessante da monitorare, poiché consente di osservare gli andamenti delle normative penali nazionali e le eventuali procedure d’infrazione per l’inadempimento degli Stati.

In particolare, la direttiva (UE) n. 541 del 2017 sostituisce la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio sul contrasto

187 Cfr. G. de Amicis, La cooperazione verticale, in AA. VV., Manuale di procedura penale europea, a cura di R. E. Kostoris, cit., 238 ss.

al terrorismo nell’Unione europea e modifica la decisione 2005/671/GAI del Consiglio. Tale direttiva rappresenta, da un lato, la base giuridica per il completamento delle materie sulla sicurezza nell’ambito dell’Unione europea, previste dall’art. 83 del TFUE delle materie. Dall’altro la base per l’applicazione dell’articolo 82 paragrafo 2 lettera C del TFUE, che disciplina la tutela delle vittime per reati di terrorismo188.

Inoltre, si ricorda che la disciplina per reati di terrorismo, in questo caso, prende in considerazione il passaggio da una decisione quadro ad una direttiva. Perciò, essa, oltre ad aver introdotto la definizione di “reato di terrorismo”, rappresenta una novità anche dal punto di vista della fonte, poiché i reati legati ad attività terroristiche venivano sanzionati già dalla pre-esistente decisione quadro, ma essendo contenuti nel Terzo pilastro erano dotati da una forza coercitiva minore negli Stati membri rispetto agli obblighi di incriminazione previsti da una direttiva. Infatti, se uno Stato non sanzionava il crimine di terrorismo non era esperibile la procedura d’infrazione sulla base di quanto previsto dalla decisione quadro e anche la competenza della Corte di Giustizia era limitata al fatto che lo Stato avesse accettato tale giurisdizione. Nel momento in cui gli obblighi d’incriminazione dei reati di terrorismo vengono trasferiti all’interno di una direttiva, essi vengono attratti in una disciplina maggiormente garantista, che obbliga l’Unione ad

esperire la procedura di infrazione verso lo Stato inadempiente189.

Ciò non significa che questa direttiva abbia automaticamente efficacia diretta. Anzitutto, perché quest’ultima è una normativa che prevede obblighi d’incriminazione a carico degli Stati membri. In secondo luogo, perché nei requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte dell’Unione europea, affinché una direttiva possa produrre effetti ad efficacia diretta deve riconoscere diritti nei confronti di un soggetto singolo privato, mentre in questo caso la direttiva n. 541 non prevede condizioni favorevoli al soggetto bensì sfavorevoli. Infine, in terzo luogo, trattandosi di una normativa in materia penale contenuta in un atto di diritto europeo, non può direttamente introdurre disposizioni sanzionatorie a carico degli individui, ma lascia discrezionalità agli Stati nel decidere i modi con cui uniformare la disciplina interna agli obblighi di derivazione europea.

Il motivo che ha spinto l’Unione europea a prendere decisioni in materia d’incriminazione per reati di terrorismo è dato dal fatto che tale minaccia dal 2001 al 2016 è evoluta rapidamente. Pertanto, molte persone venivano segnalate dalle autorità competenti e ritenuti «combattenti terroristi stranieri» che si recano all’estero a fini terroristici e rientrano in patria rappresentando una minaccia per la

189A. Pisapia, La risoluzione del Parlamento europeo sulla procura europea ed

Eurojust. quando il Parlamento europeo non è co-legislatore, Cass. Pen., fasc.2,

sicurezza di tutti gli Stati membri. Una situazione che, unita al crescente trend di reati terroristici di matrice religiosa jihadista commessi sul suolo europeo, ha generato un clima di vulnerabilità negli Stati dell’Unione190. Le politiche europee di contrasto al terrorismo di matrice islamica possono essere divise in tre principali momenti di crisi: il primo momento è riconducibile agli attentati dell’11 settembre 2001, quando tale fenomeno entra a far parte delle priorità dell’Unione prima incentrate su questioni di carattere economico nel rapporto fra Stati. Così, il 21 settembre 2001, il Consiglio europeo aggiorna l’agenda sulla sicurezza dell’Unione e introduce il primo atto sul contrasto al terrorismo, ossia la decisione quadro n. 475 del 2002, che incrimina i reati di associazione con finalità terroristica e introduce le misure di contrasto al finanziamento del terrorismo191.

Il secondo momento di crisi, che ha condizionato l’evoluzione delle politiche europee sul contrasto al terrorismo, è quello degli attentati rivolti ai territori europei a Madrid del 2004 e a Londra nel 2005. La novità, oltre al fatto che per la prima volta vengono commessi attacchi terroristici sul territorio dell’Europa, emerge dalle risultanze investigative che collega tali attacchi ad un’organizzazione diversa rispetto a quella che ha interessato i fatti dell’11 settembre 2001. Infatti, mentre quest’ultimi sono stati

190 Cfr. Eurojust annual report 2017, criminal justice across borders. 191 Terrorism situation and trend report, Europol report, 2018, pp. 66 ss.

commessi dal gruppo terroristico di Al-Qaeda e da estremisti di origine salafita, quelli di Madrid e Londra sono ricondotti a soggetti nati e cresciuti all’interno dell’Unione, dove il contatto con la rete sovranazionale era assente o comunque molto meno marcato rispetto agli attentati di New York. Tale sviluppo investigativo ha messo in luce la nascita di un nuovo fenomeno: la radicalizzazione religiosa di soggetti che si trovano a risiedere sui territori dell’Unione europea. Una minaccia che è cresciuta negli ultimi anni e di fronte alla quale l’Europa ha reagito, stimolando gli Stati membri a introdurre nel proprio ordinamento penale fattispecie di condanna ai reati di terrorismo.

L’ultimo momento di crisi che ha segnato l’evoluzione delle politiche europee al contrasto al terrorismo è rappresentato dal rafforzamento dello Stato islamico oltre i confini territoriali europei, in particolare in Siria. Di conseguenza, tali fatti hanno spinto il legislatore europeo a prestare maggior attenzione alle politiche di contrasto al terrorismo, soprattutto dopo gli attentati commessi in Francia del 2015 e quelli di Nizza, Berlino e Bruxelles nel 2016, ossia attacchi che si sono verificati da cellule terroristiche presenti in Europa come l’ISIS, ma caratterizzati da legami con gruppi terroristici più estesi a livello globale. Questa può essere considerata la terza fase dello sviluppo delle politiche europee sull’antiterrorismo perché, se noi guardiamo i risultati del report di Europol del 2017 intitolato “Terrorism situation and Trend report”, ci confrontiamo innanzitutto

con un dato importante che è quello dei Foreign Terrorist Fighters. Secondo le stime riportate da questo documento nel corso del 2014 si sono recati in Siria circa 2500 FTF e 5000 nel 2015, prevalentemente dal Belgio, dalla Francia, dalla Germania e dal Regno Unito.

L’emanazione della direttiva UE n. 541 del 2017 è l’ultimo passo fatto dall’Unione nel contrasto al terrorismo, il cui principale obiettivo è quello di fornire un quadro maggiormente uniforme delle misure di contrasto ai reati terroristici, attribuendo obblighi d’incriminazione agli Stati membri. Misure di prevenzione e contrasto al terrorismo che in parte vengono riprese dalla precedente decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio e in parte vengono aggiunte. Con la direttiva (UE) n. 541 del 2017, per la prima volta viene definito il termine “reato di terrorismo”, rispetto al quale il legislatore europeo non dà una definizione univoca ma ne individua le linee guida. Questa tendenza, europea e internazionale di negare una definizione omogenea al termine potrebbe, in realtà, rispondere ad una necessità di garanzia ben più precisa. Infatti, la previsione di una definizione che collochi un fenomeno caratterizzato da sfumature e aspetti mutevoli, potrebbe comportare pregiudizio all’elasticità all’incriminabilità delle azioni. Si pensi agli attentati commessi attraverso veicoli guidati e scagliati sulla folla, come nel caso dell’attacco sul lungomare di Nizza o quello commesso ai mercatini di Natale a Berlino. Questa tipologia di attentato si è

ripresentata a Monaco, nell’ottobre dell’anno 2018, quando un camioncino è stato guidato sulla folla.

Tuttavia in quest’ultimo caso le indagini investigative hanno escluso la pista terroristica e la volontà collettiva, perché l’autore del reato, in realtà, era un soggetto singolo che in maniera autonoma e indipendente aveva deciso di commettere l’atto. Cio nonostante, la condotta simile degli attentati ci pone di fronte al dubbio di come definire la condotta terroristica. Pertanto, in parte ci ha risposto il legislatore europeo con l’emanazione della direttiva n. 54, poiché ha ritenuto che l’atto terroristico non possa essere definito tale sulla base della materialità della condotta che lo realizza, altrimenti tutti gli atti di violenza contro atti o persone sono potenzialmente considerabili reati di terrorismo. Questa semplice constatazione fa spostare l’attenzione sul piano suscettivo del reato terroristico, perché ciò che consente di considerarlo tale non è tanto la condotta che viene posta in essere dal soggetto, bensì la finalità realizzata con l’atto commesso, ossia una finalità terroristica. L’altro elemento che consente di distinguere l’atto terroristico dall’atto violento, ma non terroristico, è la sua capacità di avere un impatto sull’intero paese nonostante sia circoscritto ad una parte di territorio, perché è evidente che l’attacco come quello consumato a Nizza riflette i sui effetti sui sentimenti di tutta l’Unione, mentre l’atto di Monaco mantiene i suoi effetti limitati al contesto territoriale in cui è stato commesso.

La direttiva (UE) n. 541, definisce atto terroristico quell’atto commesso con gli scopi indicati al paragrafo 2, art. 3 della suddetta direttiva. Tali scopi sono: «intimidire gravemente la popolazione, costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto e, infine, destabilizzare o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o di un’organizzazione internazionale». Inoltre, accanto a questi elementi caratterizzanti ne abbiamo altri, che possono riguardare qualsiasi altro tipo di reato doloso e intenzionale, ma senza avere legami con la finalità terroristica. Questi ultimi sono individuati al paragrafo 1 dell’articolo 3, che individua: atti di violenza contro cose o persone già previsti come reati dagli Stati membri (v. lett. a); attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso b); attentati all’integrità fisica di una persona e c) sequestro di persona o cattura di ostaggi. Pertanto, ciò che li rende connessi al terrorismo è la loro riconducibilità alle finalità indicate al paragrafo 2192. La direttiva introduce per questi reati un obbligo d’incriminazione, che si ricava dall’art 15, paragrafo 1 e 2, il quale impone agli Stati di provvedere all’emanazione di sanzioni per atti commessi con finalità di terrorismo. L’art. 4 della direttiva lett. b) impone di sanzionare la partecipazione ad un gruppo terroristico.

Per tutti questi casi, è bene precisare che, si sta parlando di crimini già previsti come tali dagli ordinamenti dell’Unione e ripresi dalla decisione quadro del 2002/475/GAI del Consiglio.

Tuttavia la novità introdotta dalla nuova disciplina è la previsione di limiti edittali della pena per reati terroristici: all’art. 15, comma 3°, impone sanzioni della durata non inferiore a quindici anni per reati elencati all’art. 4, lett. a) e non inferiore a otto anni per i reati di cui alla lett. b).

Inoltre all’art. 13 della suddetta normativa il legislatore europeo ha stabilito che «affinché un reato di cui all’articolo 4 o al titolo III sia punibile non è necessario che un reato di terrorismo sia stato effettivamente commesso». Perciò, l’adesione all’associazione con finalità di terrorismo è punibile dagli Stati a prescindere che il reato terroristico sia stato effettivamente commesso. Dal titolo 3° della direttiva n. 541 viene in rilievo il reato connesso alla pubblica provocazione a commettere atti terroristici, un obbligo d’incriminazione che nasce dalla volontà di reagire da parte dell’Unione a quella che abbiamo considerato la seconda fase dell’evoluzione delle politiche di contrasto europee ai crimini terroristici. Ci si riferisce a quei reati di terrorismo commessi da soggetti nati e cresciuti nei territori degli Stati membri. Per quanto riguarda la condotta presa in considerazione, riguarda qualsiasi condotta che costituisce stimolo e istigazione a realizzare il risultato dell’attentato. Tuttavia, ai fini della punibilità della condotta non è

richiesto che il fatto sia stato commesso, ma è necessario che l’attività d’istigazione sia pubblica, ossia che si realizzi attraverso messaggi rivolti ad un pubblico vasto e tramite mezzi capace di raggiungere più destinatari come nel caso dell’utilizzo dei social network. La direttiva all’art. 22, inoltre, si occupa del rapporto fra Stati in tema di cooperazione giudiziaria penale per reati di terrorismo193. In particolare la nuova disciplina sostituisce il paragrafo 6 della precedente decisione quadro e prevede che «ciascun Stato membro adotti le misure necessarie per garantire che le informazioni pertinenti raccolte dalle autorità competenti nel quadro di procedimenti penali collegati a reati di terrorismo siano accessibili il più rapidamente possibili alle autorità competenti di un altro stato membro, quando dette informazioni potrebbero essere utilizzate ai fini di prevenzione, accertamento, indagine o azione penale in relazione ai reati di terrorismo di cui alla direttiva (UE) 2017/541 in tale Stato membro, su richiesta o a titolo spontaneo, conformemente al diritto nazionale o ai pertinenti strumenti giuridici internazionali». Tale previsione normativa sembra riferirsi alle attività svolte dall’organo giudiziario sovranazionale Eurojust che, tramite i servizi di coordinamento tra autorità giudiziarie presenti in ciascun Stato membro, consente un rapido scambio d’informazioni nelle indagini per reati aventi natura transnazionale194.

193 V. Direttiva UE n. 541/2017, art. 22.

194 V. Decisione quadro 2009/426/GAI del Consiglio, art. 9 quater, lett.b) nella parte in cui prevede che il membro nazionale ad Eurojust d’intesa con un’autorità

Conclusioni:

Dopo gli attentati terroristici commessi a New York nel 2001, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha invitato gli Stati ad adottare misure idonee di prevenzione per contrastare un fenomeno dilagante. Successivamente, anche il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il primo atto sulla lotta contro il terrorismo, la decisione 2002/475/GAI, con cui viene chiesto ai Paesi membri di allineare le loro normative e introdurre pene minime per fronteggiare tali crimini. La sfida terroristica ha messo gli Stati e l’Unione di fronte all’esigenza di rafforzare la cooperazione giudiziaria penale per contrastare la criminalità transnazionale, ossia quei reati che coinvolgono due o più territori nazionali. A tal fine, il Consiglio con decisione 2002/187/GAI ha dotato l’Europa di un organismo di coordinamento giudiziario delle attività investigative svolte dalle autorità giudiziarie di ciascun Stato membro: Eurojust. Quest’ultimo, composto da 27 membri nazionali nominati dal paese di provenienza secondo le proprie normative, viene istituito a l’Aja e rappresenta un organo dotato di personalità giuridica. Per quanto riguarda la sua natura, Eurojust sembra essere un organo giudiziario di natura amministrativa, anche se, in realtà, svolge alcune attività che richiamano la natura giudiziaria. Si pensi al potere del membro nazionale di entrare a conoscenza delle informazioni coperte dal segreto istruttorio, cui solo le

nazionale competente possa «emettere e completare richieste e decisioni in materia di cooperazione giudiziaria, anche con riferimento agli strumenti che applicano il principio del riconoscimento reciproco».

autorità giudiziarie competenti possono accedervi. Tale dubbio, inoltre, è stato oggetto di un rinvio pregiudiziale del tribunale amministrativo del Lazio alla Corte costituzionale, per dubbio di costituzionalità della Legge italiana n. 41 del 2005, che recepisce la decisione quadro del Consiglio 2002/187/GAI. L’articolo 2 della sopra citata legge attribuisce la nomina del membro nazionale di Eurojust al Ministro della giustizia. Pertanto, secondo il giudice amministrativo del Lazio il riconoscimento di tale potere attribuito ad un organo politico si poneva in contrasto con il Capo IV della Costituzione, che tutela l’indipendenza e l’autonomia della funzione giurisdizionale, attribuendo la nomina dei giudici all’autogoverno (CSM). Tuttavia, la Corte costituzionale adita, con sentenza n. 136 del 2011 ha stabilito che, considerato il mancato recepimento della decisione 2009/426/GAI del Consiglio da parte degli Stati, l’unica normativa vigente cui poter fare riferimento è la decisione 2002/187/GAI. Quest’ultima, come ha affermato la Corte, non esplicita alcun riferimento alla natura giudiziaria delle funzioni esercitate dall’organismo giudiziario e dai suoi membri. Perciò, considerato che Eurojust non è legittimata ad esercitare l’azione penale, la sua natura è di tipo amministrativo e il suo ruolo è quello di agevolare le attività investigative delle autorità giudiziarie quando esse interessano due o più Stati membri. Inoltre, questa conclusione sembrerebbe in parte essere confermata dalla eterogeneità della sua composizione: in essa troviamo

giudici, pubblici ministeri e funzionari di polizia con funzioni equivalenti. Cio nonostante, il ruolo esercitato dall’organismo sovranazionale nel contrasto al terrorismo, anche se limitato al coordinamento delle indagini svolte dagli Stati membri, ha raggiunto risultati positivi negli ultimi anni. Infatti, Eurojust ha organizzato numerose riunioni di coordinamento per riunire i membri nazionali e i corrispondenti di ciascuno Stato, che in quell’occasione hanno condiviso le migliori pratiche assunte nella lotta al terrorismo e al crimine transnazionale in genere. Le riunioni di coordinamento rappresenterebbero, dunque, il principale strumento per velocizzare la circolazione delle informazioni. Peraltro, le attività di coordinamento svolte da Eurojust consentono, tramite la nomina di punti di contatto in Paesi terzi, di trasmettere informazioni anche oltre i confini europei. Ciò ha permesso agli Stati di avere una visione più globale sulle attività investigative che le autorità giudiziarie hanno svolto, per perseguire la criminalità terroristica. Gli archivi di Eurojust, da questo punto di vista, assumono un valore importante per le autorità competenti, che in occasione di un attentato terroristico possono accedere velocemente alle informazioni. Tra le istituzioni sovranazionali impegnate nella lotta al crimine transnazionale, un posto importante è occupato da Europol. Esso rappresenta un organo di cooperazione tra forze di polizia degli Stati membri, che in più di un’occasione ha scambiato informazioni utili con Eurojust, velocizzando così

i tempi necessari per lo svolgimento delle indagini. Dal punto di vista nazionale, invece, tale ruolo è esercitato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Grazie a questa relazione, tra il Procuratore della DNA e il Membro nazionale italiano, è stato possibile migliorare lo scambio dei dati investigativi e strategici, essenziali all’azione di prevenzione e contrasto al crimine organizzato e al terrorismo. Tuttavia, se guardiamo gli organismi sovranazionali presenti in Europa per il contrasto alla criminalità transnazionale, vediamo che: Eurojust può promuovere e coordinare indagini penali, ma se uno Stato si rifiuta di dargli esecuzione non può obbligarlo in tal senso; Europol si limita a fornire supporto d’intelligence alle attività di contrasto nazionali, ma non può garantire che gli Stati diano seguito alle sue analisi, né dirigere le indagini nazionali. Si denota, dunque, un’attività di cooperazione fra Stati debole, dove l’azione penale promossa dalle autorità giudiziarie nazionali è spesso lenta, che mostra lacune presenti nell’attuale meccanismo di tutela.

Con l’adozione del Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio è stata prevista l’istituzione di una Procura europea, la cui competenza sarà prevalentemente incentrata sul contrasto di crimini lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, le cui fattispecie sono individuate dal rinvio alla Direttiva (UE) 2017/1371 (c.d. Direttiva “PIF”), così come attuata dagli Stati membri. Per ciò che riguarda i crimini transnazionali gravi invece, al momento il

Procuratore europeo non sembra avere alcuna competenza, ma questo dovrebbe soltanto essere il punto di partenza. Infatti, il Consiglio europeo ai sensi di quanto previsto dall’art. 86 TFUE ha riscontrato la possibilità di estendere tale competenza ai crimini transnazionali e in particolare al terrorismo. Tuttavia, l’ipotesi al momento preferibile

Nel documento Eurojust ed il contrasto al terrorismo (pagine 142-161)