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LE VOCALI: ASPETTI QUALITATIVI E QUANTITATIVI 2.1 La qualità vocalica

2.2 La quantità vocalica

Abbiamo visto nel paragrafo 2.1.2 come i correlati acustici di intensità e frequenza siano sufficienti a caratterizzare l‟onda sonora complessa. Questo è certamente valido per quanto riguarda le proprietà qualitative del segnale; ma un‟onda sonora presenta anche una dimensione temporale, ha cioè una sua durata nel tempo e questo aspetto riveste una grande importanza nei segnali linguistici.

Innanzitutto, ogni fono è caratterizzato da una propria durata intrinseca, che dipende dalla sua natura articolatoria, per cui generalmente le consonanti sorde sono più lunghe delle sonore, le fricative più delle occlusive, le velari più delle labiali e delle alveolari (Albano Leoni & Maturi 2002). Nel caso delle vocali, le basse hanno durata maggiore delle alte e le più aperte sono anche le più lunghe; la durata vocalica sembra quindi essere collegata all‟altezza della lingua. La diversa durata intrinseca riscontrata ha probabilmente una spiegazione di natura fisiologica e meccanica: “una vocale più bassa necessita di una più larga apertura della mascella rispetto a una vocale più alta e – dal momento che la mandibola è un lento articolatore – l‟aumento dell‟apertura della bocca richiede più tempo perché [il movimento] sia portato a termine” (Calamai 2004a: 213)28; l‟ampiezza dei gesti

necessari ad impostare una particolare configurazione articolatoria determina perciò la quantità di tempo necessaria a raggiungere il bersaglio fonetico.

In realtà però, il fattore dal quale dipende principalmente la durata dei suoni non va ricercato nelle loro caratteristiche intrinseche, bensì nelle dinamiche (linguistiche ed extra- linguistiche) che riguardano la produzione dell‟intero enunciato, prima fra tutte la velocità di eloquio: maggiore è il numero di parole pronunciate in un‟unità di tempo, minore risulta la durata media dei segmenti. Da questa osservazione, si evince immediatamente che la durata è una proprietà soprasegmentale e, in quanto tale, ha carattere relativo: per stabilire la lunghezza di un fono non è sufficiente misurarne il valore assoluto, ma è necessario

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La durata, inoltre, aumenta anche in relazione al grado di tensione: vocali tese, cioè prodotte con maggiore energia articolatoria, risultano più lunghe delle corrispettive rilassate.

confrontarla con quella dei segmenti adiacenti e dell‟intero enunciato. Ad esempio un fono della durata di 80ms può essere considerato breve se inserito in una frase pronunciata molto lentamente, ma risulta sicuramente lungo in un parlato più veloce.

La durata di un suono è determinata anche da variabili fonologiche sistematiche, prima fra tutti l‟accento. Una delle funzioni dell‟accento è quella cosiddetta culminativa, la quale consiste nel rendere prominente una determinata sillaba rispetto a quelle adiacenti; a questo scopo, la vocale tonica, che costituisce il nucleo della sillaba accentata, subisce un incremento di tutti i parametri acustici che la caratterizzano, ossia durata, intensità e frequenza. Per quanto riguarda l‟italiano, sono stati compiuti numerosi studi volti ad individuare quale fra i tre correlati appena nominati sia quello che concorre maggiormente alla realizzazione dell‟accento. In Fava e Magno Caldognetto (1976) si avanza l‟ipotesi che questo possa essere costituito dalla frequenza, dal momento che le autrici non riscontrano variazioni particolarmente significative nell‟analisi di durata e intensità; in Ferrero (1972) si osserva invece una compartecipazione di durata e frequenza nella determinazione della tonicità di una sillaba29.

Bertinetto (1981) ritiene, alla luce di alcuni esperimenti da lui condotti, che la durata rappresenti il correlato più attendibile per l‟accento in italiano, dal momento che frequenza e intensità tendono a presentare un “disegno praticamente stabile, su cui la diversa collocazione della prominenza accentuale non influisce in modo sensibile” (Id.: 68). Inoltre, egli sottolinea come frequenza e intensità siano indissolubilmente legate anche a fattori di natura intonativa, arrivando a formulare una sorta di legge che definisce “del risparmio tendenziale di energia” (Id.: 73), secondo la quale intensità e frequenza partecipano alla realizzazione dell‟accento in maniera proporzionale alla distanza di quest‟ultimo dalla sillaba iniziale. Trovandosi in essa un fisiologico picco di questi due parametri, in caso di tonicità situata in tale sede il parlante non sente la necessità di incrementarne i valori già di per sé elevati e si affida esclusivamente alle variazioni di durata per veicolare l‟accento; al contrario, mano a mano che quest‟ultimo si allontana dalla posizione iniziale del segmento, i valori di frequenza e intensità possono essere accresciuti per controbilanciare il naturale andamento discendente del profilo intonativo. Bisogna però precisare che tali conclusioni sono ricavate dall‟analisi di parole in isolamento: una volta che queste vengono inserite in un contesto di frase, si assiste a un

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Egli individua una sorta di “legge quantitativa” per cui durata e F0 sono relazionati secondo una “gradazione individuale” volta alla reciproca compensazione in caso di carenza di uno dei due: se, in una singola realizzazione, uno dei parametri assume un valore non abbastanza elevato rispetto al suo equivalente in sillaba atona, l‟altro parametro presenta un valore molto maggiore (sempre in opposizione alla controparte atona) che consente di determinare la tonicità di quel segmento con maggiore efficacia (Id.: 28).

ribaltamento della situazione per cui l‟andamento discendente precedentemente riscontrato non è più quello prevalente. Questa osservazione porta successivamente l‟autore a ridimensionare il ruolo della frequenza come correlato acustico dell‟accento, la quale appare piuttosto legata a dinamiche intonative o pragmatiche (per esempio la realizzazione dell‟enfasi), confermando così la funzione primaria della durata nel veicolare la prominenza accentuale.

In alcune lingue la durata assume un valore contrastivo, contribuendo a distinguere significati lessicali: in questo caso si parla allora di quantità. La quantità è un concetto fonologico che si basa sull‟opposizione dicotomica breve vs lungo, il cui carattere discreto si oppone al quello continuo della durata, intesa come tempo necessario all‟enunciazione di un suono. Durata e quantità sono quindi due grandezze diverse, la cui corrispondenza si limita al fatto che i segmenti fonologicamente lunghi presentano generalmente una maggiore estensione temporale rispetto a quelli brevi e che i parlanti li riconoscono come tali all‟interno della stringa di cui fanno parte. Il dato rilevante a livello fonologico è proprio questa proprietà relazionale che si esprime nel rapporto tra i segmenti, mentre i valori assoluti di durata sono trascurabili30.

In italiano esiste un‟opposizione di lunghezza per le consonanti intervocaliche. Questa pertinenza della quantità a livello consonantico è segnalata anche sul piano della scrittura e vede contrapporsi coppie subminime in base alla presenza o assenza di consonanti geminate31:

cane canne fato fatto

Per quanto riguarda le vocali la situazione è invece più complicata. La lunghezza non riveste alcun valore distintivo32, ma è tradizionalmente accettata l‟esistenza di una quantità „fonologicamente condizionata‟ dal contesto (Fava & Magno Caldognetto 1976, Bertinetto 1981, Marotta 1985, Nespor 1993, Kenstowicz 1994, Mioni 2006). In altre parole, esiste un principio di „isocronismo sillabico‟ per cui “le vocali in sillaba aperta presentano una

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“La discriminazione tra un suono lungo e breve non può essere fissata in assoluto una volta per tutte, ma deve essere precisata in rapporto a ogni contesto fonetico” (Bertinetto 1981: 125).

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La terminologia corrente vede contrapporsi le definizioni di consonante lunga e consonante

geminata, basate non solo sull‟interpretazione fonologica soggiacente, ma anche sui meccanismi

articolatori in funzione nelle varie lingue che presentano questa caratteristica fonologica (Bertinetto 1981: 127-128).

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Le distinzioni di quantità vocalica si trovano, invece, nei dialetti italiani settentrionali (ad eccezione del Veneto e di alcuni dialetti piemontesi): ad esempio, si veda il cremonese [tus] „tosse‟

durata mediamente e significativamente maggiore di quelle in sillaba chiusa” (Landi & Savy 1996: 65).

Nel modello metrico-autosegmentale questo fenomeno viene descritto attraverso il ricorso ad una rappresentazione fonologica concepita come composta da più piani fra di loro interconnessi. In questo modo è possibile rendere conto del carattere relativo della quantità. L‟unità segmentale è infatti rappresentata su due livelli sincronizzati: al livello basilare, detto scheletro, sono contenute le informazioni relative all‟asse temporale, cioè la quantità associata ad un determinato segmento; ad un livello successivo si trova invece il contenuto fonetico, che si riferisce alle proprietà qualitative dei segmenti. In fonologia metrica, al contrario, si fa ricorso al concetto di „peso sillabico‟, rappresentato dalla mora (μ), la quale corrisponde ad un‟unità quantitativa. Il peso sillabico dipende dal numero di posizioni contenute nella rima, ovvero il costituente formato dal nucleo e dalla coda; la rima di una sillaba tonica è sempre forte, cioè contiene due unità quantitative (μμ), perciò il suo peso deve essere mantenuto tramite la ramificazione di uno degli elementi che ne fanno parte: se non ramifica la coda, come nel caso di una sillaba chiusa, allora deve farlo il nucleo, manifestando un incremento nella lunghezza vocalica33. Una vocale lunga corrisponde quindi a due more, mentre vocale breve e consonante in coda corrispondono ognuna ad una singola mora.

Bertinetto (1981) propone un tentativo di interpretazione che prende in considerazione anche il contrasto consonantico. Egli effettua degli esperimenti su coppie subminime del tipo „CV:CV e „CVC:V pronunciate in isolamento, nelle quali misura la durata della vocale tonica („V/V:), della vocale atona (V), della/e consonante/i (C/C:) e del segmento che comprende la vocale tonica più la/e consonante/i („V:+C / „V+C:). Dai dati in suo possesso risulta che la durata media delle consonanti intervocaliche sia l‟unica a presentare uno scarto considerevole; in base a questo egli ipotizza che le differenze siano da attribuirsi non tanto al solo contrasto di durata delle vocali toniche, quanto piuttosto ai rapporti di durata che sussistono tra gli elementi all‟interno della struttura complessiva della parola34. Inoltre, in un successivo test di verifica percettiva, egli ha confermato che anche da questo punto di vista il parametro più importante ai fini della discriminazione di tali nessi è quello costituito dalla lunghezza consonantica, il che, a suo parere,

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Ciò non implica necessariamente un aumento della durata in termini assoluti, ma piuttosto una diversa distribuzione delle durate dei foni all‟interno dell‟unità di tempo.

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“Ciò che viene percepito non è la durata di questo o quel segmento isolato, ma piuttosto una struttura prosodica complessa, che viene interpretata dal parlante in base a strategie compensatorie perfettamente interiorizzate. Il parlante darà quindi per scontato che la vocale tonica presente nello schema /‟CVCCV/ debba normalmente esibire una durata più breve risspetto a quella che le spetterebbe nella struttura /‟CVCV/” (Bertinetto 1981: 139).

confermerebbe l‟esistenza di condizionamenti fonologici che determinano la quantità vocalica.

Il postulato teorico alla base dell‟isocronismo sillabico si basa sull‟analisi di dati provenienti da studi condotti su campioni di parlato controllato costituiti prevalentemente da parole pronunciate in isolamento35. A partire dalla ricerca di Albano Leoni et alii (1994), che prendeva in esame un corpus di parlato semi-spontaneo proveniente da telegiornali regionali italiani, si è però cominciato a mettere in dubbio l‟effettiva validità di questo assunto fonologico, dal momento che i risultati non corrispondevano a quelli fino ad allora raggiunti. Se, infatti, “non c‟è dubbio che nel parlato di laboratorio (...) i nuclei di sillabe toniche aperte sono più lunghi di quelli in sillabe toniche chiuse (...) va considerato ormai altrettanto certo che nelle forme di parlato naturale, sia pure controllato, questa differenza non sussiste” (Id.: 3). Secondo i dati esaminati, le vocali toniche in sillaba chiusa risultano addirittura sistematicamente più lunghe di quelle in sillaba aperta e un‟ANOVA a due fattori mostra che le variazioni di durata non hanno alcuna relazione di significatività con il fattore aperto vs chiuso, ma piuttosto con la discriminazione vocale tonica vs vocale atona. Inoltre le sillabe atone, anche se sistematicamente più brevi delle toniche, esibiscono un comportamento perfettamente simmetrico a queste per quanto riguarda sia la durata dei nuclei nei vari tipi (sillaba aperta / sillaba chiusa), sia il rapporto tra i nuclei e la durata complessiva delle sillabe: se una sillaba è lunga, lo è soltanto in funzione della propria tonicità. Gli autori ipotizzano di conseguenza che l‟effettiva maggiore durata della tonica in sillaba aperta riscontrata nei dati provenienti da parlato di laboratorio sia da attribuirsi ad una volontaria – pur se inconscia – iperarticolazione dovuta alla particolare innaturalezza che caratterizza tale situazione comunicativa, sovvertendo così la concezione tradizionale secondo la quale le differenze in durata tra parlato controllato e parlato spontaneo sarebbero piuttosto da attribuire ad una riduzione dei gesti articolatori dovuta al maggiore grado di informalità di quest‟ultimo.36

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Landi e Savy (1996), hanno tentato di gettare maggiore luce sull‟argomento prendendo in considerazione la velocità di eloquio come variabile in grado di influire sulla lunghezza vocalica senza riscontrare però alcuna differenza significativa tra la durata della vocale

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Una breve ma efficace rassegna è fornita in Bertinetto (1981: 128-131). 36

Già Bertinetto (1981: 134) aveva fatto notare che “sarebbe un grave errore fare illazioni sulla durata vocalica in italiano basandosi esclusivamente sullo studio di parole pronunciate in isolamento, nelle quali, evidentemente, intervengono specifici fenomeni intonativi (nell‟accezione lata di questo termine). Infatti, mentre in contesto i singoli membri delle coppie subminime sono chiaramente identificabili sulla base della generale informazione semantico-sintattica convogliata dall‟enunciato, nella pronuncia isolata il locutore è costretto, per assicurare la comprensione, ad enfatizzare tutte le possibili differenze di natura soprasegmentale, tra le quali si può indubbiamente sfruttare la differente durata delle toniche, che in condizioni normali appare tuttavia limitata”.

tonica in sillaba aperta e quella in sillaba chiusa. Le autrici hanno lamentano inoltre l‟impossibilità di giungere a conclusioni e/o generalizzazioni sui rapporti che intercorrono tra le durate dei vari foni e l‟organizzazione ritmico-temporale del parlato basandosi unicamente su analisi di tipo segmentale, riconoscendo la necessità di adottare una prospettiva più ampia, di tipo prosodico.

Altri interessanti aspetti che riguardano variazioni della durata vocalica sono emersi nel corso di diversi studi. In Marotta (1985), per esempio, si affrontano alcune questioni riguardanti l‟interazione tra durata vocalica e fenomeni di natura ritmica e sintattica nella lingua italiana; l‟autrice individua variazioni nella durata della vocale tonica in relazione alla posizione dell‟accento, per cui in posizione mediana essa risulta più lunga che altrove, “quasi che l‟accento lessicale, per quanto libero e impredicibile nella lingua italiana, prediligesse una sede centrale, preceduto e seguito da sillabe atone” (Id.: 88). Questa caratteristica viene spiegata facendo riferimento alla distanza interaccentuale da un lato e alla velocità di elocuzione dall‟altro: più veloce è il ritmo elocutivo adottato dal parlante, più gli elementi fonici sono portati a comprimersi reciprocamente, diminuendo così l‟intervallo temporale tra gli accenti lessicali, che in alcuni casi subiscono riduzioni o cancellazioni. Le vocali toniche in posizione mediana opporrebbero quindi maggiore resistenza a queste dinamiche di compressione che coinvolgono i segmenti.

In un più recente studio di carattere fonologico, D‟Imperio e Rosenthall (1999) osservano allo stesso modo che “the increased duration of a stressed open syllable is much greater than the duration of a stressed open antepenultimate syllable or a stressed final syllable, wich has no noticeable duration increase” (Id.: 1). I due autori sostengono che il fenomeno sia da interpretarsi come un allungamento fonologicamente motivato sulla base del presupposto secondo il quale le sillabe toniche in posizione mediana devono essere „pesanti‟. In pratica, in italiano si avrebbe in penultima posizione una preferenza per un piede di tipo bimoraico, seguito da una sillaba extrametrica. Al contrario, in posizione iniziale la sillaba tonica si unirebbe con la sillaba seguente a formare un piede bisillabico (e bimoraico), quindi la lunghezza vocalica in questo caso sarebbe da imputarsi soltanto alla realizzazione fonetica dell‟accento. La presenza di un piede bimoraico monosillabico in penultima posizione sarebbe perciò la causa della maggiore durata della vocale tonica, la quale risulta così fonologicamente lunga.