• Non ci sono risultati.

La rappresentanza maschile: il caso di Kanda Sanyō III

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 102-111)

L E RAPPRESENTAZIONI DI KŌDAN NEL G IAPPONE DI OGGI  Matilde Mastrangelo

5. La rappresentanza maschile: il caso di Kanda Sanyō III

È l’artista attualmente indicato nell’ambiente come “ichiban ureteiru”, “il più richiesto”, ed è infatti il più famoso dei kōdanshi anche per il pubblico che non si è mai recato in uno yose, in quanto è molto presente sulla scena teatrale e televisiva.

Kanda Sanyō III (Inari Hiroyuki) ha cominciato nel 1990 come discepolo di Kanda Sanyō II; nel 1994 è diventato futatsume prendendo il nome di Hokuyō. Nel

diventato soggetto di film, cartoni animati e musical, ed è stato tradotto in molte lingue. Nakazawa, 1998.

23 Kanda Kaori, 2005, pp. 115-124. Anju e Zushiō sono i protagonisti di Sanshōdayū (L’attendente Sanshō) antica leggenda tramanda fino ad oggi in più regioni e in differenti versioni, secondo numerosi canoni narrativi: cfr. Mastrangelo, 1996.

MATILDE MASTRANGELO

1596

2000, alla morte di Sanyō II, diventa discepolo di Kanda Shōri (Watanabe Takao) e nel 2002 diventa shin’uchi ereditando il nome d’arte del primo maestro, pratica chiamata shūmei, enorme e significativo privilegio che può essere riservato naturalmente solo a un discepolo. In effetti lo spunto per cominciare l’attività di

kōdanshi gli deriva proprio dall’ammirazione provata nei confronti di Sanyō II,

tipico maestro attento alla trasmissione artistica, generoso ed entusiasta nel portare nuove idee ed energie al mondo del kōdan; a lui si deve, tra l’altro, un importante sostegno nei confronti dell’apertura alle declamatrici, come dimostra la considerevole presenza di donne nella scuola Kanda. Per Sanyō III l’esempio del maestro dimostrava innanzitutto l’affascinante possibilità di condurre con entusiasmo il proprio lavoro senza alcun limite di età, e poi era di significativo stimolo per come sapeva dare autorità alla parola. La testimonianza di Sanyō III circa l’educazione artistica ricevuta, mostra un interessante utilizzo di metodi, consolidati dalla tradizione. In primo luogo la formazione è cominciata, come per tutti, con la consegna da parte del maestro di alcuni brani del testo Mikatagahara no

kassen (Le battaglie di Mikatagahara), appartenente al genere shuraba, recitato con il

ritmo consueto 5-7-5, ma con un tono più incalzante; il brano viene letto frase per frase dal maestro e ripetuto immediatamente dopo dal discepolo, seduti uno di fronte all’altro, con le indicazioni dei punti in cui prendere fiato, battere lo shakudai, o dare un tono ascendente o discendente. Dopo vari incontri, che possono continuare anche dei mesi, quando il maestro lo reputa opportuno, l’allievo si presenta per la prima volta davanti al pubblico (shokōza). Nella seconda fase dell’apprendimento non viene più consegnato un testo scritto ma l’allievo deve ascoltare e prendere appunti e quindi ripetere; a ogni correzione l’allievo prende nota e affina la propria performance, fin quando il maestro non la giudica presentabile in uno yose; per uno spettacolo di un quarto d’ora, il tempo minimo necessario per la preparazione è di un mese. Di frequente il genere utilizzato in questo stadio è quello dei bugeimono, i “guerrieri famosi”, e il personaggio scelto per Sanyō III è stato quello del ben noto spadaccino solitario Miyamoto Musashi (1584?-1645).25 Le occasioni di salire sul palco quando si è ancora zenza sono le più importanti e fondamentali per il percorso che segue, in quanto sono quelle in cui il maestro è vigile e attento a trasmettere osservazioni, prima di lasciare sempre maggiore autonomia all’allievo e seguirlo da lontano.

Negli anni di apprendistato Sanyō III ha integrato la sua formazione nel mondo del rakugo diventando minarai anche presso gli yose specializzati in quel genere, e entrando quindi nella Rakugo geijutsu kyōkai (Associazione artistica di rakugo), scelta alquanto rara fatta sono da pochi artisti delle associazioni di kōdan. Il ruolo di

minarai è senza dubbio quello che consente la più costante e diretta osservazione di

artisti e storie, di tecniche e di pubblico, e l’aver lavorato in questo ruolo nei due mondi principali dei wagei giapponesi è stato determinante per il suo stile divenuto

25 Famoso per la disciplina e il rigore di vita, così come per l’abilità nel combattere con due spade, fu anche autore degli insegnamenti del Gorin no sho (Il libro dei cinque anelli). Pur essendo protagonista di molti adattamenti letterari e di altrettanti kōdan, il suo ritratto più famoso è quello dovuto alla penna dello scrittore Yoshikawa Eiji (1892-1962), Miyamoto Musashi (1935-1939).

espressione di un’abile sintesi di metodi e atmosfere. Abe Kazue sottolinea, in un commento del 1994, quanto l’impronta artistica di Sanyō III fosse diversa dagli altri ed esprime il seguente giudizio:

[…] ha un’eloquenza tale da non credere che sia ancora futatsume; nonostante non abbia una spiccata caratterizzazione, ha una velocità di parola come se non prendesse mai fiato. Sia nei momenti di maggiore enfasi, sia in quelli più calmi, non conosce tregua nel parlare. Arrivati a una scena […], ha chiuso la declamazione dicendo: “Il resto della storia sarà di sicuro interessante, ma ancora non lo conosco!”. Quando sarà in grado di riflettere per bene e narrare con maggior pacatezza, probabilmente diventerà molto famoso.26

Dell’ironia, forse sfuggita al critico, e in parte derivata dal rakugo, in effetti Sanyō III ha fatto un elemento costante delle sue performance, insieme alla velocità della declamazione.

Come tutti i kōdanshi, anche Sanyō III ha cominciato quindi con un repertorio classico per incrementarlo poi con quello di sua creazione. La scrittura di testi originali è un elemento di rilievo nella sua carriera. Lo spunto per i suoi testi viene dal mondo orientale così come da quello occidentale. Oltre alla presenza negli yose, l’attività artistica passa anche attraverso gli attuali mezzi di comunicazione – cinema, televisione, radio, giornali, internet – che spesso lo vedono come ospite. Se nei periodi Tokugawa e Meiji la popolarità dei kōdanshi utilizzava gli yose e i primi esperimenti di stampa, oggi deve utilizzare le vie più seguite, più ‘popolari’, e arrivare agli spettatori attraverso i canali moderni, senza trascurare l’attività teatrale.

Al 1997 risale la prima rappresentazione di Nezumi kozō to Santa Kurōsu (Nezumi kozō e Babbo Natale), un kōdan di successo indicativo del saper mettere insieme personaggi leggendari di culture diverse in un’atmosfera surreale che non manca però di comunicare un messaggio.27 Uno dei principi delle declamazioni

kōdan è quello di inserire nella storia elementi conosciuti che devono rappresentare

le coordinate per l’orientamento degli ascoltatori. I punti di riferimento riconoscibili nella narrazione diventano due, con una sovrapposizione dei protagonisti che porta a disegnare un Babbo Natale che si lascia scappare esclamazioni nel dialetto di Ōsaka ed è più furbo e scaltro del ‘ladro gentiluomo’ Nezumi kozō; quest’ultimo, sensibile ai problemi dei bambini poveri quanto “Babbo Natale”, o forse anche di più perché li ha vissuti di persona, decide di diventare il Nihon no Santa Kurōsu, il “Babbo Natale giapponese”. Dopo che il ladro è stato salvato dalla slitta di Babbo Natale, giunto appena in tempo per evitargli la

26 Abe, 1999, pp. 169-170.

27 Il kōdan è stato presentato anche in Italia in diverse occasioni; trattandosi di performance in cui prevale l’improvvisazione, ci riferiamo in particolare a due rappresentazioni: dicembre 2005, Facoltà di Studi Orientali, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; maggio 2006 l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma; una registrazione è presente in: Kanda Sanyō, 2005.

MATILDE MASTRANGELO

1598

condanna a morte, i due si alleano per portare doni ai bambini buoni che sono ovunque nel mondo e, soprattutto, che sono tutti uguali.

La recitazione di questo kōdan ha in comune con gli altri del suo repertorio una sequenza delle parole estremamente veloce, ma è caratterizzato più degli altri di una gestualità molto accentuata, di movimenti del corpo considerevoli, soprattutto quando vengono raccontate le acrobazie della slitta. In generale possiamo dire che la mobilità corporea vigorosa, che conferisce dinamicità e forza alla declamazione, è uno dei punti che evidenzia le performance di Sanyō III, pur se in parte essa è diventata, come abbiamo visto, un elemento dei kōdan di oggi.

I progetti che lo hanno messo in evidenza sono sempre caratterizzati dalla volontà di sperimentare la fusione del kōdan con generi artistici diversi.

Tra questi, una collaborazione importante è stata quella con la Compagnia Teatrale Absurda Comica, nel 2003, con la quale ha recitato in Pinocchio, un esempio di collegamento con una favola italiana perfettamente conosciuta in Giappone.

Un altro progetto del quale è protagonista Sanyō III è quello del gruppo SWA, acronimo di Sōsaku wagei association, “Associazione per la creazione di testi per le arti declamatorie” fondata nel 2003. Il lavoro della compagnia viene condiviso con quattro rakugoka: Hayashiya Hikoichi (Yasuda Osamu), Sanyūtei Hakuchō (Fujita Hideaki), Shunpūtei Shōta (Tanoshita Yūji) e Yanagiya Kyōtarō (Kohara Masaya). L’intento molto singolare, ma allo stesso tempo rappresentativo delle tendenze attuali del mondo dei wagei, è produrre in collaborazione dei testi per le singole performance, presentate poi essenzialmente in un’unica serata, più che nei

dokuenkai (rappresentazione individuale). Tutto nasce quindi proprio intorno alla

scrittura che deve diventare narrazione orale.

Dal 2004 è ospite fisso del programma Nihongo de asobo (Divertiamoci con la lingua giapponese). Nell’interpretazione televisiva che gli ha portato grande notorietà anche tra i bambini, Sanyō III non è ovviamente in uno yose ma in varie location, giapponesi e non, e nell’originale ‘costume di scena’ non è previsto il

kimono come per i declamatori, ma rimangono i simboli dello shakudai e dello hariōgi trasformati con molta ironia: nel primo caso una sorta di banchetto da

scuola, con il disegno di un foglio sopra e altri oggetti di cancelleria, completo di sedia; nel secondo caso l’autorità rappresentata dallo hariōgi viene ritoccata in maniera scherzosamente dissacrante, e all’estremità del fondamentale attrezzo della declamazione viene incollato una specie di ponpon giallo che lo fa apparire qualcosa come un piumino.28 Il travestimento coinvolge quindi non solo l’artista ma anche la sua simbologia. Il ruolo di sensei rimane invariato, con un’applicazione della regola dell’adattamento di colui che parla alla platea portata quasi all’estremo. In alcuni casi sullo shakudai ‘televisivo’ viene poggiato il testo della declamazione, riproducendo quindi l’antica modalità di rappresentazione.

Come orientamento di scelta del proprio repertorio, sia nel caso di testi classici sia di quelli originali, Sanyō III è un sostenitore della funzione giornalistica del

kōdan, un tempo come oggi, e della possibilità del genere di essere portatore di un

messaggio di denuncia politica e sociale, sia se si tratti di Akōgishiden (La storia dei leali guerrieri di Akō)29 sia di testi nuovi. Sanyō III sostiene infatti che “se il rakugo è l’arte della risata, il rōkyoku30 delle lacrime, il kōdan lo è della rabbia (ikari no

gei)”,31 e infatti nei suoi testi originali raggiunge punte di satira piuttosto rare in Giappone; si potrebbe quindi dire che se nel caso delle kōdanshi la tematica di sfondo sociale sembra essere più tesa alla divulgazione e alla sensibilizzazione nei confronti di un argomento, nel caso di Sanyō III sembra essere più vicina alla denuncia e alla satira. È probabilmente questa lettura della funzione del kōdan ad averlo avvicinato, come vedremo, ad alcuni narratori italiani.

Dal settembre 2005 all’agosto 2006, ricevuto il sostegno dell’Agenzia per gli Affari Culturali Giapponese, decide di trascorrere un anno in Italia dedicandosi sia all’osservazione di repertori di artisti italiani impegnati nell’arte della parola, in prospettiva forse di future collaborazioni, sia alla diffusione e alla presentazione del kōdan.

Nel nostro paese, in effetti, pur essendo ricco il patrimonio di storie orali, a cominciare dai cantastorie di antica memoria, è solo dagli anni Novanta che è stata coniata la definizione di “teatro narrazione” per il genere artistico basato sulla figura di un narratore. Nell’impostazione italiana prevale la funzione “mnemocentrica” del salvare e passare storie, nonché l’importanza di avere delle immagini a sostegno delle parole,32 mentre nella tradizione giapponese con l’immaginazione si sfida maggiormente il pubblico a lavorare. Il punto di contatto tra Sanyō III e gli artisti italiani, in particolare quelli incontrati – Andrea Brugnera, Mimmo Cuticchio, Laura Curino, ecc. – è stata proprio la scrittura e formulazione dei testi. La condivisione consiste nel vedere le due fasi di scrittura e di oralità non in contrasto ma complementari, con tecniche delle due modalità che vengono scambiate, per cui si parla di “scrittura moralizzante” e “oralità-che-si-fa-testo”.33

Nella realtà italiana però più spesso spettacolo e pubblicazione scritta sono consecutivi, mentre per il kōdan non c’è oggi, come nel secolo scorso, la parallela stampa dei testi, e solo in alcuni casi la performance rimane su supporto audio-video.

Per portare a termine il secondo obiettivo, Sanyō III ha rappresentato dei kōdan in molte città italiane, in sedi universitarie e in teatri, e si è impegnato nella trasmissione artistica insegnando a 10 studenti, che sono stati i suoi primi deshi (allievi), i rudimenti delle declamazioni portandoli fino al loro shokōza. I testi scritti da lui, in parte rielaborando storie del repertorio classico, in parte proponendo

29 Akōgishiden è il titolo con il quale nel repertorio del kōdan si indica la storia più conosciuta come

Kanadehon chūshingura; Akō era il territorio del signore Asano Naganori, alla cui memoria giurarono

vendetta 47 dei più leali dei suoi samurai.

30 Detto anche naniwabushi, genere declamatorio in cui la narrazione, basata su soggetti drammatici, è accompagnata dallo shamisen.

31 Dal kōdan Yasube kaketsuke, registrato in Yume no kyōen. Kōdan Akōgishiden, 2005, traccia numero 1.

32 Guccini, 2005, pp. 11-12, 19.

MATILDE MASTRANGELO

1600

testi originali di sua creazione,34 sono stati per la prima volta interpretati da altri, e soprattutto per la prima volta i kōdan sono stati declamati da italiani. Lo sforzo di diffusione ha compreso le esilaranti spiegazioni al pubblico di aspetti tecnici come gli attrezzi di scena, o l’abbigliamento, ma anche dell’importanza dell’immaginazione per gustare un’arte come il kōdan, dove gli oggetti vengono solo raffigurati con l’ausilio del ventaglio ma non mostrati, con il patto implicito che nella “messa in contatto”35 il pubblico sia disposto a fare la sua parte con la fantasia.

Parimenti, nelle dokuenkai italiane ha proposto kōdan d’ispirazione tradizionale così come di sua firma. Tra questi ultimi rientra il satirico Ishikawa Goemon, presentato anche in italiano, i cui personaggi, mai nominati direttamente, appartengono alla recente attualità politica italiana e sono affrontati, quasi come in un duello, dal famoso ‘ladro gentiluomo’ Ishikawa Goemon (1558?-1594). Il

makura, l’introduzione, della declamazione racconta dell’esperienza italiana di

Sanyō III, delle sue aspettative e delle sue realizzazioni, soffermandosi con ironia sui suoi tre proponimenti fatti alla partenza, “mangiare, cantare, amare”, e sulla realizzazione dei soli primi due. L’aver conosciuto la cultura italiana, lo porta a immaginare una visita del ‘ladro gentiluomo’ che risorge dopo l’essere stato giustiziato a morte, bollito in un pentolone a Kyōto, e decide di continuare a svolgere la sua attività in Italia, dove famosi sono i manga di Lupin III e di altri ladri ‘buoni’; del resto, esprime con una poesia dell’epoca: “Se i sassi dei fiumi o la sabbia delle rive si disperdono, i semi dei ladri nel mondo sembrano non perdersi mai”. La prima casa nella quale entra Goemon è quella di un povero vecchio che possiede solo un pezzo di pane, e ovviamente il ladro non gli ruba niente ma anzi gli lascia una moneta, del XVI secolo, ma vale la buona intenzione! Gli chiede poi chi sia l’uomo più ricco di Roma e questi gli risponde che deve cercarlo al Va... Goemon senza problemi raggiunge la sua seconda vittima, lo minaccia affinché gli consegni la cosa più preziosa, ma in risposta gli viene indicato un cappello bianco per ottenere il quale il padrone di casa ha lottato anni. Deluso, il ladro si fa indicare un altro personaggio ricco e gli viene fatto il nome di Be..., un uomo di settant’anni che però sembra più giovane. Prima di andar via dalla residenza del vecchio del cappello bianco, il ladro gli sferra un colpo con la spada; l’uomo sta per chiamare le guardie ma Goemon gli dice: “Tranquillo, ho usato il profilo non tagliente della lama”. Giunto nella terza abitazione, Goemon minaccia colui che si trova davanti per avere la cosa più preziosa; gli viene risposto però che l’ha persa. “Cos’era?” chiede il ladro, “Il posto”. Arrabbiato Goemon sferra il suo colpo e aggiunge: “Tranquillo, ho usato la parte non tagliente della lama. Ops, ho sbagliato

34 In ordine di apparizione, gli studenti e i titoli presentati all’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, nel maggio 2006, sono i seguenti: E. Mattei (Ōgi no mato), C. Donati (Meiji shiranamionnaten’ichibo.

Bakuretsu Otama), S. Centola (Sorori Shinzaemon), S. Pappalardo (Remon kyōbōna jun’ai – testo originale),

F. de Dominicis, (Tagasode no Otokichi), L. Galli (Wanpaku Takechiyo), A. Ferraro (Akō gishi den Ōtaka

Gengo), P. Scapigliati (Shūshikizakura), L. Moretti (Seiryūto Gonji), M. De Nisi (Botandōrō: Ofuda hagashi).

lato!”.36

La sua esperienza in Italia è diventata subito, al suo ritorno in Giappone, un

kōdan originale intitolato Naku yoru (Le notti del pianto), un resoconto romantico e

commovente, accompagnato dal suonatore di shamisen Ueno Shigeto, per un esempio di riuscita commistione tra musica e narrazione.

BIBLIOGRAFIA

ABE Kazue, Dentō wagei. Kōdan no subete, Tōkyō, Yūzankaku, 1999 ARITAKE Shūji, Kōdan. Dentō no wagei, Tōkyō, Asahi shinbunsha, 1973

GUCCINI Gerardo (a cura di), La bottega dei narratori. Storie, laboratori e metodi di:

Marco Baliani, Ascanio Celestini, Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Roma,

Dino Audino Editore, 2005

HIRAGA Gennai, La bella storia di Shidōken, a cura di Adriana Boscaro, Venezia, Marsilio, 1990

IMAOKA Kentarō, “Kinsei ikō no ‘yomu geinō’ – Kōdan o chūshin ni”,

Rakugekigaku, 3, 2005

I Chiyū, “Shin kōdan no tsukurikata. Tekisuto sono ichi”, Kōdan gakkō, s.l., 1964 KANDA Kaori, Hana mo kaze mo, kōdanshi ga katarimasu, Tōkyō, Nanatsumori

shokan, 2005

KANDA Yōko, Ikki yomi! Kanda Yōko no kōdan nihonshi, libro con cd, Tōkyō, Kosaido, 2005 KYOKUDŌ Konanryō III, Yomigaeru kōdan no sekai – Mito Kōmon manyūki, Tōkyō,

Kokusho kankōsha, 2006, a

KYOKUDŌ Konanryō III, Yomigaeru kōdan no sekai – Abeno Seimei, Tōkyō, Kokusho kankōsha, 2006, b

KYOKUDŌ Konanryō IV, Yomigaeru kōdan no sekai – Banchō sara yashiki, Tōkyō, Kokusho kankōsha, 2006, c

MASTRANGELO Matilde, “Un kōdan su Mito Kōmon”, Asia Orientale, 5/6, 1987 MASTRANGELO Matilde, “La genesi dello Ōoka seidan”, Il Giappone, XXIX, 1989 MASTRANGELO Matilde, “Japanese Storytelling: a View on the Art of Kōdan. The

Performance and the Experience of a Woman Storyteller”, Rivista di Studi

Orientali, LXIX, 1-2, 1995

MASTRANGELO Matilde, Il percorso narrativo e teatrale della leggenda di Sanshōdayū, tesi di Dottorato di Ricerca in Orientalistica (Civiltà dell’Asia Estremo Orientale), Istituto Universitario Orientale, Napoli, 1996

MASTRANGELO Matilde, “Letteratura orale”, voce in Adriana Boscaro (a cura di),

Letteratura giapponese, vol. I, Dalle origini alle soglie dell’età moderna, Torino,

Einaudi, 2005, a

MASTRANGELO Matilde, “Letteratura di massa”, voce in Luisa Bienati (a cura di)

Letteratura giapponese, vol. II, Dalla fine dell’Ottocento all’inizio del terzo millennio,

36 Mi riferisco alle rappresentazioni in giapponese, presso l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma nel maggio 2006, e in italiano, con un makura diverso, presso il Teatro Boni di Acquapendente nell’agosto dello stesso anno; in questa seconda versione, l’uomo settantenne, svegliato di sorpresa dal ladro, esclama: “Mi consenta”.

MATILDE MASTRANGELO

1602

Torino, Einaudi, 2005, b

MORI Ōgai, Suzuki Tōkichirō, in Mori Ōgai zenshū, IV, Tōkyō, Chikuma shobō, 1971 NAKAZAWA Keiji, Hadashi no Gen, Tōkyō, Chūōkōronsha, 1998, 7 voll.

NATSUME Sōseki, Garasu do no uchi, Tōkyō, Iwanami, 1933

ORSI Maria Teresa, “Recitativi e narrativa nel Giappone degli anni Tokugawa– Meiji: kōdan e rakugo”, Il Giappone, XVII, 1977

SANO Takashi, Kōdan gohyaku nen, 1943

TANABE Nankaku, “Iki? Shi? Tentori”, Kōdan gakkō, s.l., 1964 TANABE Kōji, “Nentō goaisatsu”, Kōdan kenkyū, 623, 2006

TAKARAI Bakin et alii, Kōdan jiten, volume supplementare della Teihon kōdan meisaku

zenshū, Tōkyō, Kōdansha, 1971

TAKARAI Kin’ō, Hariogi hitosuji jendā kōdan.’‘Nihon sho josei shin’uchi’ kōdanshi kaku

katariki, Tōkyō, Yūhisha, 2002

Yose engei nenkan, Tōkyō, Tōkyō kawaraban, 387, 2006 Cd

KANDA Sanyō, Kōdan zenshū. Nezumi kozō gaiden. Nezumi kozō to Santa Kurosu, Columbia CD, 2005

Dvd

Nihon no wagei. Kōdan hen, Tōkyō, NHK, 2006

Nihongo de asobo. Sanyō Karoku Kita kara minami kara, Tōkyō, NHK, 2005

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 102-111)