CAPITOLO 2: L’ENTE ECCLESIASTICO: ASPETTI GIURIDIC
2.7. Il riconoscimento dell’ente ecclesiastico nell’ordinamento italiano: i requisiti.
2.7.2. I requisiti civili.
Anche i requisiti civili si distinguono in due fondamentali categorie corrispondenti relativamente a:
- La nazionalità dell’ente. - Il fine di religione o di culto.
2.7.2.1. La nazionalità dell’ente.
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sede in Italia, ribadendosi così il carattere di nazionalità degli enti ecclesiastici64. La determinazione della sede è peraltro rilevante ai fini dell’individuazione dell’autorità prefettizia, competente a ricevere la domanda di riconoscimento dell’ente65.
Si precisa inoltre che per quanto riguarda gli enti ecclesiastici con sede all’estero, se riconosciuti nel loro Stato, a condizione di reciprocità, hanno in Italia lo Status di persona giuridica ai sensi dell’art. 16 delle disposizioni preliminari del codice civile. In tale ipotesi, gli enti con elementi di estraneità agiscono nel nostro territorio come persone giuridiche private, senza pertanto godere dei privilegi e degli oneri degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (quali, ad esempio, la possibilità di ottenere contributi statali e dalla pubblica amministrazione in genere).
L’art. 25 della l. 31 Maggio 1995, n.218, specifica che tali enti, disciplinati ordinariamente dalla legge dello Stato nel quale sono stati costituiti, sono tuttavia sottoposti alla legge italiana se la sede dell’amministrazione è in Italia, oppure se in Italia si trovi il loro oggetto principale66.
2.7.2.2. Il fine di religione o culto.
La legislazione concordataria pone come condizione, affinché un ente possa ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, il fatto che lo stesso persegua, in modo costitutivo ed essenziale, un fine di religione o di culto, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico67.
L’art. 16 lett. a) l. 222 del 1985 considera come attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, alla catechesi, all’educazione cristiana o esercitate a scopo
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C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico... op. cit. p. 274.
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Trattasi della domanda di cui all’art. 3 della L. 222/1985 (a tal proposito dispone l’art. 2, comma 1 del D.P.R. 13 febbraio 1987, n.33: “la domanda di riconoscimento prevista dall’art. 3 della legge è diretta al Ministro dell’interno ed è presentata alla prefettura della provincia in cui l’ente ha sede. In essa devono essere indicati la denominazione, la natura e i fini dell’ente, la sede e la persona che lo rappresenta).
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T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, II ed. aggiornata sulla legge n.218 del 1995 con la collaborazione di BONOMI, CEDAM, Padova, 1996.
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missionario. Sempre l’art. 16 della l. 222 del 1985 elenca una serie di attività che, pur non essendo di religione o di culto, possono essere svolte sussidiariamente dall’ente ecclesiastico, al fine di favorire il raggiungimento dell’obiettivo principale.
2.7.2.3. Attività secondarie necessarie a raggiungere l’obiettivo primario dell’ente: il fine di religione o di culto.
Dalla lettura combinata degli art. 7, n.3 comma 2 l. 121 del 1985, e 15, l. 222 del 1985, si evince come gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diverse da quelle di culto o di religione, che sono assoggettate, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi statali, e al regime tributario previsto per le medesime attività di culto o di religione. Da sottolineare, comunque, che non potrebbe essere altrimenti, data la disposizione di cui all’art. 20 della costituzione, la quale impedisce di attribuire all’ente ecclesiastico un trattamento tributario differente in peius , ciò implica quindi che anche all’ente ecclesiastico, così come previsto per qualsiasi ente non commerciale, debba essere riconosciuta la possibilità di svolgere un’attività commerciale sussidiaria a quella istituzionale.
Tuttavia, condizione per la riconoscibilità dell’ente è che queste ulteriori attività non abbiano natura prevalente rispetto a quelle di cui all’art. 16, lett. a) l. 222 del 1985, ma siano a queste connesse o strumentali, e comunque compatibili con la struttura e le finalità della stessa organizzazione. Non si esclude, quindi, che un ente ecclesiastico possa anche svolgere un’attività di natura imprenditoriale purché non si persegua uno scopo di lucro inteso in senso soggettivo, (mirante alla distribuzione degli utili eventualmente realizzati), bensì oggettivo, tendente a realizzare un incremento patrimoniale ai soli fini di acquisire nuovi mezzi monetari necessari per perseguire le finalità istituzionali, di religione o di culto.
Più precisamente, perché di un’attività imprenditoriale si tratti, non è altresì necessario il perseguimento del fine di lucro oggettivo. Si deve invero ritenere sufficiente, per l’acquisto della qualifica di imprenditore, oltre alla presenza degli
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altri requisiti previsti dall’art. 2082 c.c. (e, cioè professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività consistente nella produzione di beni o servizi ovvero allo scambio dei medesimi), l’agire da parte del soggetto interessato con metodo economico, ossia con il tendere alla potenziale equiparazione dei costi, ai ricavi ottenuti.
Non trattandosi di ente commerciale, l’ente ecclesiastico ha l’obbligo di tenere una contabilità separata per l’eventuale attività commerciale svolta68, e ciò, come ha chiarito la relazione illustrativa al D. Lgs. 460/1997, per agevolare la determinazione del reddito di impresa e conferire trasparenza alla gestione.
Inoltre, ai sensi dell’art. 10, comma 9, d.lgs. n. 460 del 1997, con norma eccezionale riguardo al divieto per le ONLUS di svolgere attività diverse da quelle solidaristiche elencate in modo tassativo dal legislatore, a meno che non siano ad esse direttamente connesse69, il legislatore riconosce agli enti
ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, la facoltà di assumere la qualifica di ONLUS, limitatamente all’esercizio delle attività di solidarietà sociale di cui alla lettera a) del comma 1 (assistenza sociale e socio sanitaria, beneficienza, istruzione, formazione, sport dilettantistico…). Tutto ciò è consentito a condizione che per tali attività tengano scritture contabili separate, con osservanza delle disposizioni prescritte al riguardo per le ONLUS, e previste dall’art. 20-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 25 comma 1 d.lgs. n. 460 del 1997.
Il regime delle ONLUS può essere applicato all’ente ecclesiastico nel suo complesso, qualora esso svolga solamente attività che rientrano in quelle elencate dall’art. 10 d.lgs. n.460 del 1997, altrimenti l’ente può essere sottoposto pro-
parte a tale disciplina, per quanto cioè ne concerne l’attività o moduli della
stessa. Sempre per tutelare la specialità dell’ente religioso, l’art. 10, comma 7 del sopra citato decreto consente che enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, assumano la qualifica di ONLUS, adeguando gli statuti o gli atti costitutivi al dettato dell’art. 10, comma
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Cfr. art. 144 TUIR.
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1 , senza tuttavia che essi siano tenuti a far uso della dizione ONLUS nella denominazione, e senza obbligo di dover adottare una disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, o di prevedere per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti, e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione, come precisato nelle lettere h) ed i) del citato art. 10.
2.7.2.4.La presunzione del fine di religione o di culto di cui all’art. 2 l. 222/1985.
Come già evidenziato, la discrezionalità della pubblica amministrazione in tema di riconoscimento della personalità giuridica civile a un ente canonico è limitata alla valutazione dell’attività svolta dall’ente tramite i suoi organi, ovvero il Consiglio di Stato valuta se tale attività possa essere annoverata fra quelle di religione o di culto di cui all’art. 16 l. 222 del 1985. Vi sono tuttavia alcuni enti per cui anche tale residuale margine di apprezzamento è venuto meno, in quanto la legge presume per essi in modo assoluto l’esistenza della suddetta finalità religiosa e cultuale, in modo che l’accertamento sul fine di religione o di culto non è più di merito, ma diviene legittimità.
Con maggior precisione, sono considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari70. E pertanto, verificata l’appartenenza di un ente a una delle suddette categorie, il riconoscimento come ente ecclesiastico è non solo un atto legittimo, ma dovuto71.
2.8. Il riconoscimento dell’ente ecclesiastico nell’ordinamento italiano: il