LA SURROGAZIONE BERSAN
4. Requisiti soggettivi di applicazione della norma prima del d.l 70/
4.1 Requisiti soggettivi di applicazione della disciplina, con riferimento alla persona del debitore dopo il d.l 70/
Il panorama delle interpretazioni circa i requisiti soggettivi di applicazione della disciplina Bersani bis era dunque un punto interrogativo non completamente risolto, specie per la questione relativa alla persona del debitore. Se, infatti, è stata soprattutto la prassi negoziale a porre soluzioni alla questione relativa al soggetto surrogante che, nonostante l’aperta lettera della legge, si è orientata nel senso di ritenere possibile una surrogazione solo da parte di un istituto di credito, per quanto concerne il debitore, non mancavano, come si è osservato nel precedente paragrafo, dubbi circa la possibile estensione dello spettro applicativo della disciplina anche a coloro che non potevano ritenersi consumatori. Anzi la lettera della legge, come sempre primo ostacolo che deve affrontare l’interprete, nel riferirsi unicamente al concetto di “debitore” non poteva che essere intesa come sorta di “porta
455 In questo senso cfr. GENTILI, Teoria e prassi nella portabilità dei contratti di finanziamento bancario, in I Contratti, 2007, 453 e ss.; contra CEOLIN,La c.d. portabilità dei mutui e la cancellazione semplificata delle ipoteche nel decreto Bersani bis, ibidem e TASSINARI,Portabilità del mutuo e surrogazione dopo l'articolo 8 del d.l. sulla concorrenza, in CNN Notizie 30 gennaio 2007, ove si sottolinea come la normativa, finalizzata alla tutela del debitore
bancario attraverso la promozione della concorrenza oltre che il riferimento ai benefici fiscali, di cui al quarto comma (ci si riferisce all'originario testo del decreto anteriore sia alla sua conversione in legge sia alla modificazione ulteriore del 2010, ora si tratta dell'ottavo comma), lascia supporre che la novella sia incasellata solo all'interno dei rapporti bancari.
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aperta” all’applicazione della disciplina anche a coloro che non potevano ritenersi consumatori, secondo l’insegnamento proveniente dalla copiosa legislazione in materia. In questo scenario, l’art. 8 d.l. 70/2011 convertito in l. 106/2011 ha provveduto, tra l’altro, a inserire nel corpo dell’art. 120 quater T.U.B. un nuovo comma 9 lett. a bis. Tale norma, sancendo la volontà di porre un limite all’ambito applicativo della novella, individuando solo particolari categorie di mutuatari, pur sempre nell’ambito di rapporti di finanziamento con istituti di credito o finanziari, quali soggetti legittimati a fruire delle norme previste dalla legge.
Alla luce del dettato normativo, dunque, la disciplina si applica a tutte le persone fisiche “debitrici”, oltre che alle micro-imprese di cui all’art. 1 c. 1 lett. t) d.lgs. 11/2010456. Tale ambito di applicazione della norma non può che incanalarsi entro il perimetro delle nuove disposizioni che, non essendo di derivazione comunitaria, hanno tuttavia definito una nuova categoria di soggetti “deboli”, non già sussumibili sotto la definizione di “consumatore”. Nel concetto di persona fisica, quindi, rientrano non solo coloro che concludono contratti per finalità personali, avulse rispetto alla loro eventuale qualificazione professionale, ma anche coloro che agiscono proprio al fine di esercitare la propria attività lavorativa (si pensi ai c.d. professionisti liberali che, per il nostro ordinamento, da sempre non sono considerati imprenditori), ovvero senz’altro la propria attività di impresa (si pensi al caso dell’imprenditore individuale). Nel concetto, quindi, di persona fisica rientrano peraltro gli imprenditori esercenti senza il ricorso allo strumento societario, pur se con l’espressa specificazione che si debba trattare di una micro-impresa. Il finanziamento originario, dunque, potrebbe essere stato contratto per finalità non di mero consumo o per scopi dichiaratamente professionali (es. contrazione di un mutuo per il proprio studio professionale o per la propria micro-azienda), ma ciò non sarebbe di ostacolo all’applicazione della normativa di cui all’art. 120 quater T.U.B..
Un ulteriore interrogativo si pone davanti al riferimento alla c.d. microimpresa. Il
456 Tale disposizione così recita: “"micro-impresa": l'impresa che, al momento della conclusione del contratto per la prestazione di servizi di pagamento, è un'impresa che possiede i requisiti previsti dalla raccomandazione n.2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero i requisiti individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze attuativo delle misure adottate dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 84, lettera b), della direttiva 2007/64/CE”. Il documento dell’Unione europea menzionato, dopo avere dato la definizione generale di impresa, come “ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un'attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un'attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un'attività economica” (art. 1). Più in particolare, l’art. 2 del medesimo testo stabilisce che “1. La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.
2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. 3. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR”.
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pragmatismo del diritto comunitario conduce a una definizione di tipo esclusivamente economico-sociale del concetto, così come emerge da parametri meramente economici e finanziari, in modo tale che qualunque ente che abbia come scopo l’attività di impresa, ivi comprese le società, vi possa rientrare se sono soddisfatti i parametri dimensionali di legge. Da una lettura comparata dei parametri indicati dalla raccomandazione comunitaria citata, emergono talune considerazioni veramente interessanti, a tratti anche stupefacenti. Si confrontino, infatti, i dati della partizione tra medie imprese, piccole imprese e microimprese. Per quanto concerne queste ultime, su cui si deve soffermare l’attenzione, ossia occupazione di meno di 10 persone all’interno dell’impresa e realizzazione di un fatturato annuo oppure di un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro: si tratta di parametri rientranti perfettamente nell’art. 2435 bis c.c., norma prevista per la redazione del bilancio in forma abbreviata. Si tratta, tuttavia, di parametri che determinano, si pensi soprattutto al parametro dell’occupazione, l’inclusione di una massa imponente di imprese correnti in Italia. È noto come anche società a responsabilità limitata (si pensi che, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, si sono potenziati gli aspetti per così dire personalistici della società, distaccandola dal modello anteriore della società per azioni, di cui, prima della riforma, era sostanzialmente la “sorella minore”), in quanto trattasi di società fondamentalmente familiari, possono rientrare nei parametri indicati, talvolta le stesse società per azioni, magari costituite con il minimo del capitale sociale, pari ad euro 120.000, e con un “giro di affari” piuttosto limitato.
Questa soluzione normativa, a parere di chi scrive, pare essere condivisibile sotto alcuni aspetti, meno sotto altri.
Per cominciare con i primi, la disposizione consente di porre rimedio, almeno in subiecta
materia, a un fossato che divideva le persone fisiche “consumatori” dalle persone fisiche
“imprenditori”. È noto, infatti, come questi ultimi non possano essere fruitori di quelle tutele che, originatesi con la normazione di origine comunitaria, sono quindi confluite nel codice di consumo. Tutto ciò aveva determinato un contenzioso rilevante, specie in sede di giudizi presso il Giudice di Pace, circa l’estensione a queste categorie produttive delle disposizioni indicate. La Corte costituzionale nel 2002 aveva stabilito che “la preferenza nell'accordare particolare protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale si dimostra non irragionevole allorché si consideri che la finalità dell'art. 1469
bis comma 2 c.c., è proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l'"id quod plerumque accidit" sono presumibilmente privi della necessaria competenza a negoziare; onde la logica
conseguenza dell'esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti - quale quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani - che proprio per l'attività
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abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su di un piano di parità”457. Non rare erano le voci in dottrina che censuravano un’interpretazione così ristretta della normativa, ravvisando nella tutela dei piccoli imprenditori o anche degli enti di cui al primo libro del codice civile le medesime basi che giustificavano la tutela del consumatore, in quanto anch’essi titolari di posizioni giuridiche meritevoli di tutela e poste in posizione di sudditanza rispetto alla controparte458.
Tuttavia, la nuova formulazione non fa che rinfocolare la questione, sempre latente allorché si indirizza una particolare disciplina di protezione alle persone fisiche, ossia il mancato riferimento, ormai cronicizzato, alle associazioni e alle fondazioni, tese a promuovere interessi superindividuali, degni di ogni protezione da parte dell’ordinamento, già oggetto di ampia considerazione da parte della stessa Costituzione (cfr. artt. 2 e 18 Cost.). In questo caso, il legislatore ha ancora una volta voluto sottrarsi dall’affrontare questo argomento o, magari, ha ritenuto che la soluzione di non estendere le tutele a siffatti enti fosse corretta, lasciando questa eventualità molto perplessi, in quanto non si rinvengono delle giustificazioni giuridicamente convincenti per impedire che enti posti a promozione di interessi altruistici o, comunque, non egoistici (senza che ciò possa implicare un giudizio di valore che pare essere francamente fuori luogo, ma la persona fisica che acquista una casa per adibirla a propria abitazione certamente compie un atto oggettivamente egoistico, sicuramente tutelato costituzionalmente, certamente un’associazione o una fondazione che si occupa dei poveri della città non compie un atto egoistico) possono accedere a norme che offrirebbero alle stesse maggiori tutele.