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Capitolo 3: L’assetto istituzionale degli ammortizzatori sociali in Italia

3.1 Ricostruzione del sistema degli ammortizzatori sociali

All’insorgere della crisi, il sistema italiano di ammortizzatori sociali si caratterizzava per una elevata eterogeneità interna e uno scarso ricorso alle politiche attive e di attivazione come contrasto ai possibili abusi. Le riforme del 2012 e del 2015 hanno profondamente innovato il sistema, rendendolo universalistico: hanno previsto una copertura più ampia in caso di perdita del posto di lavoro e trattamenti di base più generosi ancorati al pregresso meccanismo contributivo e non ad altre caratteristiche del lavoratore o dell’impresa. D’altronde, è l’idea stessa di welfare universale, che mira a salvaguardare, in una prospettiva di tutela generalizzata e socialmente equa, la dignità e i diritti fondamentali di tutte le classi sociali, che ha giustificato l’intervento dello Stato ampio e decisivo al fine di garantire indistintamente a tutta la collettività un benessere minimo e indispensabile. In proposito, un giusto sistema di garanzie sociali può addirittura risultare funzionale alla flessibilizzazione del mercato del lavoro e alla capacità del sistema produttivo nazionale di adeguarsi ai suoi mutamenti; ciò è avvalorato dal fatto che la Danimarca, Paese con il mercato del lavoro più flessibile in Europa, risulti anche quello con un sistema di welfare universalistico più protettivo e generoso. Pertanto, il nesso

welfare-mercato si pone alla base dell’evoluzione del lavoro e dell’occupazione, e di

conseguenza, della disoccupazione.

Guardando ai precetti costituzionali, gli ammortizzatori sociali non sono tutelati in via diretta dalle disposizioni del patto costituente, se non attraverso l’art. 38, secondo comma, che fa riferimento alla “disoccupazione involontaria”. Occorre specificare che lo stato di disoccupazione “involontaria”, non si riferisca esclusivamente a quello derivante dalla cessazione di un rapporto di lavoro per cause non imputabili al lavoratore, ma anche a quelle che siano conseguenza delle condizioni stesse del mercato, contraddistinto da un

deficit di “occupabilità”, ad esempio causato da anomalie intrinseche ai meccanismi di

incontro tra domanda e offerta di lavoro o dall’inadeguatezza delle strutture di collocamento o ancora, dall’incapacità del legislatore di provvedere a riforme strutturali per la creazione di nuovi posti di lavoro.

Nell’ottica di una universalizzazione delle tutele fin qui accolta, non si può quindi non tener conto delle esigenze di protezione dei lavoratori flessibili e/o precari, impossibilitati

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a contribuire “al progresso materiale o spirituale della società”34 proprio a causa delle

oggettive caratteristiche strutturali del mercato stesso.

È sempre in questa prospettiva di “universalizzazione” delle tutele di welfare contro la disoccupazione che è prevista una loro estensione ai lavoratori impiegati secondo schemi negoziali “alternativi” al rapporto di lavoro stabile a tempo pieno ed indeterminato (flessibili, precari, ecc.), ma anche ai disoccupati di lungo periodo e ai soggetti in cerca di prima occupazione35.

Si configura, in primo luogo, la necessità di fornire una protezione per quei lavoratori che, scontando un deficit di tutela già sul piano delle tutele giuslavoristiche, necessitano per ciò stesso, di un supporto economico e normativo per i periodi di non-lavoro fisiologicamente connessi all’espletamento della propria attività lavorativa. Dovrebbero essere previsti, quindi, meccanismi di operatività degli strumenti di tutela che si possano attivare anche a fronte di attività lavorative “saltuarie” o “intermittenti”.

In secondo luogo, appare evidente l’esigenza di una tutela per i cosiddetti “inoccupati”, cioè di coloro che sono alla ricerca di una prima occupazione. Qui la questione appare più delicata, poiché l’erogazione della prestazione prescinderebbe da qualsiasi criterio di “meritevolezza”, e anche perché storicamente gli ammortizzatori sociali nascono come strumenti di sostegno al reddito dei soli “lavoratori”, quali forme di protezione per la perdita del posto di lavoro.

In entrambi i casi, l’art. 4 Cost. giustifica la necessità di assicurare livelli di protezione anche alle categorie più deboli del mercato con il più generale dovere di solidarietà sociale che grava appunto sull’intera collettività nazionale. Ciò rileva, prima ancora che sul piano dei meccanismi di redistribuzione del reddito, su quello del riconoscimento dei diritti sociali, come l’inaccettabilità della prospettiva di emarginazione sociale che può derivare, oltre che dal mercato del lavoro, dai trattamenti di welfare contro la disoccupazione36. La scelta di ricorrere ad un sistema di ammortizzatori sociali su scala universale porta inevitabilmente con sé il rischio di un considerevole aumento degli oneri economici a carico della finanza pubblica per fronteggiare un sensibile incremento del numero delle prestazioni previdenziali da erogare. Pertanto, l’adeguata copertura di queste ultime potrà essere garantita da un corrispondente aumento del gettito contributivo: perciò, ad un

34 Art. 4, Cost. 35 Vd. Cap. 2, § 2. 36 Vd. Cap. 1, § 2.

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ampliamento dei soggetti beneficiari delle prestazioni, corrisponde proporzionalmente un aumento simmetrico della base contribuente.

Più problematica risulta, invece, la questione relativa agli ammortizzatori sociali di tipo “solidaristico”37, finalizzati a proteggere le categorie più deboli del mercato del lavoro,

per i quali è previsto un meccanismo di finanziamento necessariamente ed esclusivamente fiscale. È lecito supporre, quindi, che la possibilità di ricorrere a strumenti di sostegno al reddito che prescindono da meriti contributivi pregressi, non solo tenderà ad aumentarne la richiesta (e conseguentemente gli oneri economici a carico della collettività), ma può anche rappresentare un incentivo all’adozione di comportamenti meramente opportunistici da parte dei beneficiari.

Sotto questo profilo, si ritiene opportuno dotarsi di meccanismi “correttivi” per salvaguardare le risorse di welfare e contenere il ricorso alle prestazioni previdenziali: devono, infatti, sussistere specifici criteri di “meritevolezza” che siano in grado di giustificare l’accollo in capo a tutti i consociati di questi oneri economici, e allo stesso tempo, valide motivazioni che accertino l’effettivo stato di bisogno (carichi di famiglia, inferiorità del reddito rispetto alla soglia di povertà, ecc.).

È dunque, il limite prioritario per l’erogazione delle prestazioni di tutela contro la disoccupazione, sia per quelle di natura assicurativa che, ancora di più, per quelle di natura solidaristica, coincide con il concreto stato di bisogno.

In ogni caso, un ulteriore meccanismo volto a circoscrivere il rischio di innalzamento del livello della spesa pubblica, è quello di prevedere un adeguato sistema sanzionatorio in danno di quei soggetti che realizzino condotte strumentali e opportunistiche, disincentivando comportamenti fraudolenti. È attraverso un rafforzamento dell’apparato di controllo che garantisca un costante ed effettivo monitoraggio che è possibile prevenire anomalie di questo tipo.

Un ulteriore aspetto da considerare nel quadro degli ammortizzatori sociali è l’importanza delle conoscenze professionali che permettono una crescita personale di tutti i lavoratori. A fronte di un mercato sempre più competitivo infatti, il costante aggiornamento del patrimonio di conoscenze professionali (non limitato al momento iniziale della vita professionale o aziendale, ma esteso a tutto l’arco del rapporto di lavoro), gioca un ruolo fondamentale nella misura in cui si tratti dell’unico strumento che l’ordinamento è in

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grado di offrire per mantenere sempre elevate le capacità professionali dei singoli e, conseguentemente favorire la (ri)occupabilità. In realtà, investire sulle attività formative serve, non solo per avere maggiori possibilità di rioccupazione ai lavoratori che hanno perso il lavoro, ma anche per prevenire eventuali fenomeni di eccedenze di personale, operando quindi come deterrente. In sostanza, si ritiene che il disoccupato “qualificato” sia facilitato nel reperire un nuovo impiego permanendo meno nella condizione di disoccupazione, ma soprattutto più difficilmente possa essere espulso dall’azienda in ragione dell’elevata competenza professionale. Ciò si spiega, dunque, in un’ottica di prevenzione della disoccupazione e, quindi, di non attivazione degli stessi ammortizzatori sociali. Appare, quindi, fondamentale introdurre la formazione professionale nella struttura causale del rapporto di lavoro, così da divenire parte integrante delle tutele giuridiche del lavoro.

Proseguendo, da un punto di vista logico, nella ricostruzione del sistema degli ammortizzatori sociali, appare formalmente corretto partire con l’analisi dall’indennità di disoccupazione e della cassa integrazione guadagni, trattandosi, l’una per la fase successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, l’altra per la fase di vigenza dello stesso, dei modelli paradigmatici per eccellenza degli ammortizzatori sociali. A conferma della rilevanza di questi istituti, si noti come i più significativi documenti e/o provvedimenti che contengono proposte di riassetto del sistema degli ammortizzatori sociali prevedono interventi di riforma mirati, appunto, sull’indennità di disoccupazione e sulla cassa integrazione guadagni.