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Come nei precedenti romanzi dell‟autore italo-algerino, il cinema resta un‟importante fonte d‟ispirazione oltre ad essere un‟ottima consigliera nella sua narrativa; a partire dall‟impiego del comico e dei rapporti con la commedia all‟italiana per raccontare i paradossi della nuova società italiana multietnica e multiculturale, fino ad arrivare a porre i lettori sotto una pioggia di richiami cinematografici, spesso citati esplicitamente, che costruiscono un elemento interessante da tenere in considerazione durante la lettura.

Prendendo come esempio i riferimenti pervasivi al cinema in Contesa per un maialino, si constata che a differenza di Divorzio all‟islamica e Scontro di civiltà, i richiami dei film e telefilm non sono prevalentemente italiani. Basti pensare all‟idea astuta della “gola profonda” messa in atto dal protagonista, e che, indubbiamente, movimenti la vicenda narrativa della faida fra i mafiosi albanesi e rumeni dandole gli aspetti comici e umoristici al contempo. Il richiamo della Gola Profonda, come il personaggio misterioso che forniva informazioni al giornalista Bob Woodward nel film Tutti gli uomini del presidente (1976), nel romanzo di Lakhous è trattato con una sottile ironia che mette in discussione sia la credibilità dei fonti sia la professionalità del giornalismo stesso. L‟autore tende a fare delle brevi digressioni per spiegare in modo semplice la trama dei film, alcune volte accompagnate da una riflessione sullo stile del regista o sugli attori.

E quindi, in questo caso, a un certo punto il narratore si stacca dal filo della storia e inizia a fare una breve digressione sul caso Watergate, lo scandalo politico per antonomasia degli anni Settanta che ha segnato la storia del giornalismo. L‟inchiesta portata avanti da due giovani cronisti del Washington Post Carl Bernestein e Bob Woodward, simbolicamente rappresentati

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dai loro doppi cinematografici Dustin Hoffman e Robert Redford, nell‟omonimo film di Alan J. Pakula, i quali hanno cercato di scoprire i tentativi di depistaggio della Casa Bianca e del comitato per la rielezione del presidente Nixon, servendosi di una fonte la cui identità doveva rimanere nascosta, Gola Profonda, che aveva accesso a tanti segreti. Al riguardo del caso Watergate, riporto di seguito la digressione dettagliata nel romanzo:

“Il mio caporedattore è un romanticone […] crede ancora all‟inchiesta dei due giornalisti del

Washington Post che portò alle dimissioni di Nixon nel 1974. Vai a convincere Maritani che il

Watergate era una montatura. Una storia di regolamento di conti, come sempre. Una vendetta umana. È stato Mark Felt, con quel suo nome da personaggio di un fumetto, il numero due dell‟FBI in persona, a rivelare a Bob Woodward e Carl Bernstein le manovre di Nixon contro i suoi avversari democratici. Felt alias “Deep Throat”, Gola profonda, è uscito allo scoperto solo l‟anno scorso.”484

In modo analogo, dunque, nella vicenda della faida inventata per gli interessi dello scoop, il protagonista si mette nei panni di Woodward facendosi aiutare dall‟amico Luciano il quale interpreta le tre Gole profonde fittizie come si nota nel passo che segue:

“Siamo in due ad aspettare l‟ora x […] Il più emozionato è il povero Maritani. Sta vivendo un momento magico. Sta rivedendo nella mente la scena di Tutti gli uomini del presidente in cui Redford alias Woodward incontra alle due del mattino, in un parcheggio sotterraneo. Felt alias Gola profonda. Una scena da brivido. Fra poco sentiremo la misteriosa voce […] Ecco la chiamata di Luciano alias il Buscetta albanese […] Tornando al giornale, Maritani mi dà due compiti […] e mi raccomanda di cancellare le parolacce, ripetendomi la famosa frase del direttore del Washington Post Ben Bradlee: “il nostro giornale è letto dalle famiglie”.485

L‟effetto umoristico nel romanzo, si ottiene giocando sull‟attendibilità dell‟attività di vigilanza e il ruolo critico del giornalismo investigativo, che trovava la propria consacrazione nello scandalo Watergate, al contrario del falso scoop di Laganà con il quale l‟autore, infatti, rileva la crisi della credibilità d‟informazione contemporanea.

D‟altronde, si individuano tanti altri riferimenti al mondo del cinema nei due romanzi: in

Contesa per un maialino i riferimenti cinematografici sono tutti relativi all‟influenza dei

grandi capolavori del cinema nell‟ispirazione artistica di Luciano, amico del protagonista e interprete delle tre fasulle Gole profonde, sia per l‟interpretazione della figura del boss mafioso, per cui si ispira a tre famosi mafia-movie, i quali C'era una volta in America (1984) di Sergio Leone, l‟indimenticabile trilogia de Il Padrino486

di Francis Ford Coppola e

Scarface (1983) di Brian de Palma487, sia quando si fa aiutare dai film come Tootsie (1982) e

484 Ivi, p.17. 485 Ivi, pp.47-49.

486 Nell‟intervista al Mafioso rumeno interpretato da Luciano, il boss Tigru confessa che Don Corleone è diventato

il suo mito, tant‟è vero che deve guardare Il Padrino ogni anno: “Io guardo Il Padrino una volta all‟anno per ispirarmi e imparare. Mi identifico molto nel personaggio di don Vito Corleone. Il mio grande sogno è andare a vivere per un po‟ a Corleone.” (Ivi, p.111).

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Il vizietto (1985)488 in cui degli attori prendono i panni delle donne, appunto per poter tratteggiare e interpretare alla meglio il personaggio della maman nigeriana.

Si notano altri due riferimenti a due film ne La zingarata della verginella: il primo fa riferimento al film francese Le gitan (1979) di Josè Giovanni interpretato da Alain Delon (tratto dal romanzo Histoire de fou dello stesso regista e ispirato alla vita del criminale italo- ungherese Luciano Lutring) che veste i panni di un bandito rom che prende le difese delle minoranze oppresse, e che non si sente in colpa dei furti e delle rapine compiute, viste come ciò che egli pensa come un giusto risarcimento autoprocuratosi, da un sistema irrimediabilmente corrotto, e che per altro non ha alcun rispetto per gli zingari e li spinge all‟emarginazione. Il film è, infatti, citato nel romanzo, in rigiramento alla stigmatizzazione sociale e i contegni xenofobi nei confronti dei rom:

“Il rapporto fra i rom e i cani mi fa tornare in mente un film francese, Il gitano, che risale agli anni Settanta, Alain Delon interpreta il ruolo di uno zingaro fuorilegge, una sorta di Zorro. In un momento di rabbia il gitano alias Delon dice che i cani sono trattati meglio dei gitani e che una donna rom viene lasciata partorire tra l‟immondizia, nell‟indifferenze generale.”489

Nel secondo, invece, si richiama il famoso scherzo del vedovo al cimitero del film Amici miei (1975) di Mario Monicelli dove uno dei quattro burloni decide di far credere al povero vedovo di essere stato l‟amante della moglie. In effetti, il richiamo non è del tutto casuale, bensì aiuta a illustrare il significato della zingarata490 compiuta dalla protagonista nei confronti del suo ex-direttore della Banca dei Risparmiatori a favore del risarcimento dei piccoli risparmiatori ingannati dalla suddetta banca:

“Pronunciando l‟ultima frase stava per scapparmi una risata. Ho fatto un grosso sforzo per resistere. Mi è tornata in mente quella scena di Amici miei quando viene preso in giro quel povero vedovo al cimitero. Mentre si raccoglie davanti alla tomba della moglie, uno della banda degli amici mette in atto uno scherzo malefico, una splendida zingarata. Gli fa capire che era l‟amante. Un‟interpretazione magistrale. Il vedovo ci casca come una mosca nel barattolo del miele e inizia a distruggere la tomba della moglie, insultandola con le peggiori parole”. 491

Inoltre, c‟è anche il richiamo di famosi film e personaggi interpretati da Charlie Chaplin. In particolar modo si pone l‟accento sul più noto personaggio comico ideato da Chaplin cioè

488 Ivi, p.131.

489 Amara Lakhous, La zingarata della verginella di via Ormea, op.cit, p.114.

490 Si noti che la diffusione del termine fiorentino zingarata (scherzo, beffa) è avvenuta grazie al successo del film,

nel quale, appunto, i protagonisti, un gruppo di amici fiorentini ultra-quarantenni, amanti dello scherzo, trascorrono il loro tempo ideando e realizzando zingarate ai danni di vittime inconsapevoli. Sempre dallo stesso Amici miei si apprende che il termine può assumere anche il significato di gita spensierata, casuale e poco costosa della vita quotidiana, come spiega uno degli amici, Il Perozzi, in una delle scene del film: “Ecco, questo è essere zingari. Questa è la zingarata: una partenza senza meta e senza scopi, un'evasione senza programmi che può durare un giorno, due o una settimana. Una volta, mi ricordo, durò venti giorni, salvo complicazioni”. (Cfr. Andrea Pergolati, La fabbrica del riso. 32 sceneggiatori raccontano la storia del cinema italiano, prefazione di Franco Verucci, Roma, Un Mondo a Parte, 2004, pp.97-98).

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“Charlot”, spesso presentato come un maldestro vagabondo di buon cuore con l‟inseparabile bastone e i celebri baffetti. Nel romanzo vengono citati due film di Chaplin: il primo è

Carmen (1916), in cui però interpreta il personaggio di un incorruttibile capitano delle guardie

e non Charlot, e il secondo è Il monello (1921) dove l‟autore-registra contamina due generi facendo di uno il rovescio dell‟altro, del comico in particolare una sorta di doppia del melodramma che ne smaschera le false pretese:

“Ero innamorata di Charlot. Charlie Chaplin è l‟unico che può ancora farmi ridere e piangere nello stesso tempo. Un vero genio. La sua autobiografia è uno dei miei libri preferiti. Ha vissuto una vita piena di sfide. È diventato ricchissimo dopo aver patito la fame a Londra […] Con Charlot ha raggiunto il successo negli Stati Uniti da immigrato, dopo tanti fallimenti […] Non ricordo il titolo del film in cui Charlot interpreta il ruolo di un ufficiale e s‟innamora di una bella contrabbandiera zingara di nome Carmen. Forse sono stata influenzata da questo film nella mia scelta di diventare zingara? […] In fondo il clown è un bambino nel corpo di un adulto. Nel

Monello, infatti, che per me è il più bel film di Charlie Chaplin, non si riesce più a capire chi è il

bambino e chi l‟adulto, se Charlot o il trovatello.”492

Uno dei riferimenti più importanti, nonostante non sia del tutto cinematografico bensì televisivo, riguarda la famosa serie La Piovra andata in onda sulla Rai (in dieci stagioni non consecutive) dal 1984 al 2001 e destinata ad avere un successo clamoroso e a essere esportata in tutto il mondo, in cui si presentava la lotta senza quartiere contro la mafia (cui si allude con la metafora la piovra, una potente simbologia del male, che ha lunghe spire e tentacoli che si espandono nella politica, finanza, traffici di droga e armi sia a livello italiano nelle varie città del sud e del nord sia a livello internazionale) del commissario Cattani interpretato da Michele Placido e del poliziotto Licata (Vittorio Mezzogiorno). Il richiamo della famosa serie televisiva italiana nel romanzo di Lakhous viene fatto nel tentativo della figlia di un grande imprenditore Sara Bertini di calcare le orme del successo de La piovra con la produzione di una serie televisiva antimafia la quale invece di indagare sulla mafia siciliana, indaga sulle mafie straniere operanti in Italia, lascandosi ispirare dalla faida fra i mafiosi albanesi e rumeni, così come La piovra aveva la geniale tempestività nel creare una narrativa epica del duro conflitto in corso in quegli stessi anni tra mafia e Stato:

“La figlia di papà ha le idee, scende nei dettagli con molta facilità. Mi spiega che questa storia della faida tra albanesi e rumeni potrebbe essere un bel soggetto. Sta pensando a una sorta di

Piovra. Ha in mente la prima serie, quella diretta da Damiano Damiani con Michele Placido. La

“nostra” sarebbe una Piovra extracomunitaria. E visto che il sottoscritto conosce così bene il mondo della criminalità straniera come cronista, vorrebbe la mia collaborazione per scrivere il soggetto e la sceneggiatura.”493

Lakhous ribatte ancora sul successo internazionale de La piovra nel passo che segue:

“Sara tira fuori un paio di dvd dalla sua borsetta e me li porge. Do un‟occhiata alle copertine, su cui Michele Placido non ha ancora i capelli bianchi. Le scritte invece sono illeggibili.

492 Amara Lakhous, La zingarata della verginella di via Ormea, op.cit, pp.26-27. 493 Amara Lakhous, Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario, op.cit, p.68.

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“Queste sono le versioni della Piovra in russo e in giapponese”.

“Ho letto da qualche parte che La piovra è il più famoso sceneggiato italiano all‟estero” […] Sara è una esperta in materia, una sorta di piovrologa. Mi spiega che in Russia il nostro commissario Cattani alias Placido è uno star molto amato. In Giappone compete nientemeno che con Alain Delon. In Algeria lo sceneggiato è stato trasmesso alla fine degli anni Ottanta con il titolo Mafia durante le sere del Ramadan. Milioni di algerini sono rimasti inchiodati alla tv, disertando le moschee per le preghiere serali.”494

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