Il documento poc’anzi richiamato, assieme alla Linee guida per l’orienta- mento permanente del 2014, come del resto le precedenti Linee di Indirizzo del marzo 2007 del Miur e anche le Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita sempre redatte dal Miur nel 2009, sono passag- gi importanti per comprendere come l’apprendimento permanente e l’orien- tamento siano destinati a divenire sempre più rapidamente e in modo so- stanziale un compito istituzionale peculiare anche delle università.
Documenti per certi versi profetici a fronte di un profondo rinnovamento della mission delle università e della loro stessa governance che, come sap- piamo, accanto ai peculiari compiti della ricerca e della formazione supe- riore, hanno aggiunto negli ultimi anni una terza mission, legata appunto all’apprendimento permanente e al public engagement della ricerca.
Ci riferiamo in particolar modo, così come recita il Manuale per la va- lutazione della terza missione nelle università italiane del 13 febbraio 2015, alla “produzione di beni pubblici di natura sociale, educativa e cultu- rale” e dunque alla capacità degli atenei e dei singoli dipartimenti di mette- re a disposizione della società, nelle sue varie articolazioni, i risultati della
propria ricerca, la quale prevede per sua natura anche forme di appropria- zione necessarie all’innesco di processi di innovazione da parte delle im- prese. Le aree interessate in sede di prima applicazione sono le seguenti: • produzione e gestione dei beni culturali;
• sperimentazione clinica, infrastrutture di ricerca e formazione medica; • formazione continua;
• public engagement.
Le ultime due aree sono un importante riferimento rispetto al tema da noi trattato, perché contribuiscono a collocare l’impegno dell’Università per le azioni e i servizi di orientamento, soprattutto in uscita, come strumenti di sviluppo e di crescita di una intera comunità, non solo del singolo studente.
Come dire. L’impegno verso le dimensioni della ricerca e della forma- zione in materia di orientamento è un passaggio fondamentale per la for- mazione di cittadini attivi, responsabili, capabilited in grado, cioè, di svi- luppare un pensiero progettuale e previsionale, competenze decisionali e di fronteggiamento della complessità che non sono solo funzionali allo sviluppo professionale ma si riferiscono più in generale al proprio “esse- re al mondo”.
Studenti efficaci e strategici sono cittadini responsabili e attivi, sono professionisti neotenici capaci di tollerare il cambiamento e di governarlo, attuando quella adattività che Savickas definisce non come mera passività ad un evento ma, al contrario, come capacità di sviluppare un pensiero pro- teiforme carico di fiducia nel futuro, di curiosità intellettuale, di intrapren- denza e resilienza.
Tale obiettivo non può che collimare con la nuova mission universitaria legata al community engagement della ricerca e della formazione. Lì dove le lezioni in aula o le attività extracurricolari non sono mere occasioni per riempiere teste, come più volte ha ribadito Morin (2000), e collocare com- petenze al lavoro, ma rappresentano strumenti di coltivazione dell’umanità e fioritura di talenti e intelligenze.
Il già citato documento dedicato agli Standard minimi del 2014 sottoli- nea, del resto, che l’istituzione universitaria in materia di orientamento de- ve aiutare gli studenti a: “acquisire strategie di apprendimento efficaci per ottimizzare lo studio; gestire l’offerta formativa e pianificare il proprio pro- getto accademico; evitare la dispersione e l’abbandono”.
Ancora. Come ricordano anche Fabbri e Rossi, gli atenei devono oggi ri- pensare la propria mission a partire dalla consapevolezza del loro ruolo di “attori di politica attiva del lavoro” e devono “promuovere e sviluppare ser- vizi di placement universitario destinati ad incrementare l’occupazione e l’occupabilità dei giovani laureati, sperimentare percorsi assistiti di accom-
pagnamento al lavoro di giovani laureati, avviare e sostenere itinerari for- mativi di giovani laureati non occupati […]” (Fabbri, Rossi, 2008, p. XX).
Si tratta, in tal caso, di non dimenticare come, anche in una prospettiva narrativa e progettuale, l’orientamento debba essere coltivato, con partico- lare riferimento al percorso universitario, in tutte le sue fasi che vanno dal momento dell’ingresso fino al momento dell’uscita.
Il rischio è quello di appiattirsi su una logica funzionalistico-operativa, schiacciata sull’emergenza e priva di un respiro longitudinale, ecosistemico e significativo utile a formare menti “ben fatte” oltre che “ben piene”.
Emerge, in tale prospettiva, la crucialità di ogni singolo intervento for- mativo che, se non inteso come episodico bensì inserito in un progetto com- plesso e integrato, può configurarsi come elemento cruciale di un più artico- lato sistema orientato allo sviluppo integrale e integrato dello studente.
Così, se l’orientamento in ingresso è utile a contribuire a una scelta con- sapevole e partecipata diminuendo i rischi di drop out e di dispersione, che essa sia implicita o esplicita, l’orientamento in itinere promuove successo formativo migliorando per esempio le abilità di studio, garantendo la qua- lità dell’esperienza del tirocinio, seminando tracce per la costruzione di un progetto di sviluppo formativo e professionale; infine, l’orientamento in uscita è utile a creare strumenti di ricerca attiva del lavoro, di autoplace- ment e occupabilità ecc.
Tali obiettivi possono essere realizzati attraverso il potenziamento del- la valenza orientativa delle discipline, autentici “laboratori di esperienze co- gnitive” in quanto funzionali non solo a trasmettere conoscenze ma anche ad ampliare l’esercizio del pensiero attraverso la discussione, la problematiz- zazione, l’investigazione e la negoziazione di idee, punti di vista, esperienze. Obiettivi, questi, da perseguire anche attraverso la promozione di progetti trasversali con valenza orientativa di educazione alla scelta, al problem sol- ving, alla progettualità partecipata e consapevole. Non si tratta di un aut/aut quanto di un et/et che permette alle due dimensioni (curricolare ed extracur- ricolare) di integrarsi per rendere più efficace il percorso di formazione.
In tal senso, la didattica orientativa è da intendersi come insieme di azioni intenzionali finalizzate a sviluppare un mentalità o metodo orientativo, a costruire e potenziare le competenze orientative generali ovvero i prerequisiti per la costruzione/potenziamento delle competenze orientative vere e proprie, usando le discipline in senso orientativo, individuando in esse le risorse più adatte per do- tare i giovani di capacità spendibili nel loro processo di auto-orientamento e gui- dandoli ad imparare con le discipline e non le discipline (Miur, 2009).
E che essa debba
• essere componente strutturale dell’offerta formativa; • fondarsi sul coinvolgi- mento attivo e partecipe del soggetto; • utilizzare la modalità operativa del la-
boratorio, con risvolti concreti e anche manuali, che fanno capo alla realtà di ogni giorno; • tendere a produrre un risultato, in termini di modifica di una porzione di realtà; • essere spendibile e utilizzabile nella realtà di ogni giorno; • essere collegata ad altre discipline e, perciò, trasversale e applicabile ad altri campi e settori disciplinari; • produrre informazioni e competenze anche riferi- te al mondo del lavoro e non solo a quello dell’elaborazione concettuale e intel- lettuale (Miur, 2009).