• Non ci sono risultati.

Segue: la conciliazione nella produzione normativa nazionale.

PARITÁ TRA UOMINI E DONNE: UN OBIETTIVO PRIORITARIO MEDIANTE LO STRUMENTO DELLA

3. La conciliazione nella Costituzione italiana.

3.1. Segue: la conciliazione nella produzione normativa nazionale.

Iniziando con un excursus storico-normativo che inevitabilmente condurrà ai giorni nostri, va detto che nel 1971 con la legge n. 1204 recante “Tutela delle lavoratrici madri” viene estesa la tutela della maternità alle lavoratrici dipendenti, con un ampliamento dei diritti e delle tutele delle lavoratrici, l’introduzione di permessi per allattamento e col divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del bambino.

Qualche anno dopo, nel 1975 con la legge n. 151, viene varata la riforma del diritto di famiglia che introduce la parità tra uomini e donne nell’ambito familiare: la potestà sui figli, infatti, spetta a entrambi i coniugi che hanno identici diritti e doveri e non più solo al padre.

È poi nel 1977 con la legge n. 903 sulla “Parità di trattamento tra

uomini e donne in materia di lavoro”, che si ottiene, a detta degli esperti in

materia, la più importante svolta culturale nei confronti delle donne. Si passa infatti dal concetto di tutela per la donna lavoratrice al principio del diritto di parità nel campo del lavoro. Vengono quindi introdotte norme più avanzate in materia di maternità ed i primi elementi di condivisione fra i genitori nella cura dei figli94.

La norma sancisce il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni nonché nell’attribuzione

94. CONCILIAZIONE VITA/LAVORO: UN TRAGUARDO, cit.

42

delle qualifiche e delle carriere professionali, precludendo altresì qualsiasi tipo di disparità basato sullo stato matrimoniale, di famiglia e di gravidanza. Nell’ambito della legge è inoltre affrontata per la prima volta la problematica delle “discriminazioni indirette”, cioè di quei trattamenti che, pur formalmente indifferenziati (“omogenei”), producono conseguenze diverse95

.

Dopo un periodo di stasi nell’ambito della normativa italiana, sul finire degli anni ‘80 il legislatore ha affrontato il tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Ha emanato nel giro di poco tempo, una serie di provvedimenti atti a disciplinare una materia fino a quel momento quasi del tutto ignorata ed istituendo diversi organismi volti a rafforzare il ruolo sociale delle donne, promuovendone la partecipazione al mercato del lavoro e il coinvolgimento attivo nei processi decisionali.

In questo periodo viene istituito il Comitato Nazionale di Parità presso il Ministero del Lavoro (1983), la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità (creata nel 1984), la Consigliera di Parità (1991) e nel 1996 un Ministro ed un Dipartimento ad hoc96

.

La prima norma importante che si segnala è la legge n. 125/91 che ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di “Azioni Positive” cercando di dare un contributo per favorire una diversa organizzazione del lavoro, un maggiore equilibrio tra le responsabilità familiari e professionali ed una migliore condivisione di queste responsabilità tra i sessi.

La legge n. 125/91 recante “Azioni positive per la realizzazione della

parità uomo-donna nel lavoro” favorisce l’occupazione femminile e la

realizzazione dell’uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro, attraverso la promozione di azioni positive dirette a97:

• eliminare le disparità di trattamento nella formazione scolastica e professionale, nonché nell’accesso al lavoro;

95. M. BARBERA, Discriminazioni ed eguaglianza nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 245-256.

96. M. MARCUCCI, M. I. VANGELISTI, L’evoluzione della normativa di genere in Italia, cit. 97. www.lavoro.gov.it

43

• promuovere l’inserimento delle donne nei settori professionali in cui sono ancora poco presenti;

• favorire l’accesso al lavoro autonomo ed alla formazione e riqualificazione imprenditoriale;

• favorire una diversa organizzazione del lavoro, al fine di coniugare vita familiare e lavorativa;

• favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne soprattutto attraverso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione.

Successivamente a quella appena citata, le norme che negli anni sono seguite sono state emanate sulla scia di una fase di promozione di pari responsabilità familiari e di conciliazione tra vita lavorativa e sfera personale e familiare.

Questo processo di innovazione ha riguardato una regolamentazione rivolta in modo particolare al tempo perché si inizia a comprendere la consapevolezza che una volta assicurato il benessere materiale, almeno ad una larga fascia della popolazione, la vera ricchezza non risiederà unicamente nel possesso dei beni, quanto piuttosto nella disponibilità di tempo libero98

.

Il tempo, dunque, diventa un mero “bene” in senso tecnico-giuridico, di cui il legislatore deve tenere conto. Non è tanto fino a questo momento, ma almeno è un buon inizio, l’inizio del pensare che il tempo delle persone non può essere dedicato al lavoro in misura superiore allo stretto indispensabile. È per questo motivo che viene compiutamente disciplinato il part-time, una forma di lavoro volta a consentire un’ampia disponibilità di tempo libero o comunque la possibilità di coltivare diversi interessi di vita o di lavoro. Per lo stesso motivo vengono introdotti o estesi permessi finalizzati alla cura di importanti relazioni parentali e viene avvicinato l’orario di lavoro legale a

98. M. ALLEGRETTI, Orientamento, cit.

44

quello contrattuale per rendere più attuale la disciplina legislativa del lavoro straordinario99

.

A seguire, dopo questa legge si registra un’altra serie di interventi normativi che nel giro di pochi anni, hanno innovato la materia.

In primo luogo si rileva la legge n. 196 del 1997, recante “Norme in

materia di promozione dell’occupazione”, che ha fornito un assetto

complessivo alla materia del tempo di lavoro e del tempo di vita. L' articolo 13, in particolare, ha stabilito il tetto dell’orario massimo di lavoro in 40 ore ed ha attribuito alla contrattazione collettiva nazionale la facoltà di stabilire una durata inferiore, nonché di riferire l’orario normale di lavoro alla durata media delle prestazioni lavorative in un dato periodo, non superiore all’anno.

Ancora, si rileva l’emanazione della legge n. 285/97 che prevede interventi a livello centrale e decentrato al fine di promuovere i diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell’infanzia e dell’adolescenza, privilegiando l’ambiente ad esse più confacente, vale a dire, la famiglia.

Questo processo continua con l’emanazione del DL 29/9/98 n. 335, convertito nella legge 27/11/98 n. 409, che ridisegna in toto l’istituto del lavoro straordinario100

.

Il principio fondamentale introdotto dalla nuova disciplina è che il lavoro straordinario deve essere limitato nel tempo ed ammesso in tre casi: il primo è quello già noto delle eccezionali esigenze tecnico-produttive, con l’impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori; il secondo riguarda la forza maggiore o l’ipotesi in cui la cessazione del lavoro a orario normale costituisca un pericolo o un danno alle persone o alla produzione; il terzo concerne le mostre, le fiere e le manifestazioni collegate

99. AA. VV. “L’evoluzione delle politiche di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa: azioni

e prospettive”, Roma, 10 marzo 2008.

100.

AA. VV. “L’evoluzione delle politiche, cit.

45

all’attività produttiva, all’allestimento di prototipi, modelli o simili predisposto per le stesse101

.

Alla normativa appena citata segue il D.Lgs. n. 61/00, che disciplina il rapporto di lavoro a tempo parziale, contribuendo in maniera determinante al riassetto della materia della conciliazione vita/lavoro.

Con quest’ultima si attribuisce al rapporto di lavoro a tempo parziale pari dignità rispetto al lavoro a tempo pieno. Viene superata la tradizionale nozione di rapporto di lavoro subordinato, che contemplava l’ipotesi del rapporto a tempo indeterminato e a tempo pieno, disponendo che in un rapporto di lavoro subordinato l’assunzione può avvenire a tempo pieno o a tempo parziale. Al contrario, l’ordinario rapporto di lavoro subordinato è oramai quello a tempo indeterminato tout-court, a prescindere dal fatto che sia a tempo pieno o a tempo parziale102

.

Il decreto fornisce alcune definizioni importanti per fissare concetti comunque già noti perché inseriti in altre discipline normative:

il tempo pieno è il normale orario di lavoro di cui all’art. 13 comma 1 L. 196/97, o l’eventuale minor orario normale di lavoro fissato dai contratti collettivi;

il tempo parziale è l’orario di lavoro cui un lavoratore è tenuto, che sia stato fissato nel contratto individuale e che risulti comunque inferiore a quello normale di cui sopra;

il part-time di tipo orizzontale è il rapporto in cui la riduzione dell’orario, rispetto al tempo pieno, è prevista in relazione al normale orario giornaliero;

il part-time di tipo verticale è il rapporto in cui l’attività lavorativa è prestata a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati della settimana, del mese o dell’anno;

101. F. ZAJCZYK, B. BORLINI, Donne e uomini tra lavoro e vita familiare: un cambiamento che va aiutato, in Sociologia del lavoro, n. 49, 2010.

102. Ibidem.

46

il lavoro supplementare è quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre il tempo parziale ma entro il tempo pieno. Di grande importanza concettuale l’art. 4, il quale dispone che il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato al medesimo livello. Questo significa che il lavoratore a tempo parziale, rispetto al lavoratore comparabile a tempo pieno, deve avere lo stesso trattamento con riguardo alla retribuzione oraria, alla durata del periodo di prova e delle ferie, etc., sempre però proporzionato alla ridotta entità della prestazione lavorativa.

Quella che può dirsi la vera svolta normativa e culturale, atta a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, si attua con la legge 8 marzo 2000, n. 53 recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della

paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”103.

La legge finalizzata alla promozione dell’equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, disciplina l’accesso ai congedi per i genitori in relazione alla maternità, alla paternità e alla cura dei figli. Regola inoltre, i congedi per la formazione di lavoratrici e lavoratori e prevede il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città ed all’uso del tempo ai fini di solidarietà sociale. A questa legge è seguita l’approvazione di un testo unico delle disposizioni di legge sulla maternità e la paternità: il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

La legge n. 53/00 ha completamente ridisegnato i permessi fruibili dai genitori lavoratori per la cura della prole ed introdotto permessi per le cure parentali o per motivi di studio, che in precedenza non esistevano o erano

103. www.parlamento.it

47

disciplinati esclusivamente dalla contrattazione collettiva. Essa, ha inoltre introdotto disposizioni relative ai tempi di vita104

.

Per quanto riguarda i tempi di vita, la legge ha assegnato alle regioni il compito di emanare norme per il coordinamento, da parte dei comuni, degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche (art. 22); ha assegnato ai comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti il compito di elaborare un piano territoriale degli orari, per coordinare gli orari dei servizi urbani tenendo conto degli effetti sul traffico, sull’inquinamento e sulla qualità della vita cittadina (artt. 24 e 25); ha disposto che gli orari di apertura al pubblico dei servizi della pubblica amministrazione devono tener conto delle esigenze dei cittadini nel territorio di riferimento (art. 26).

Dalla lettera della norma si evince che essa tutela ampiamente le esigenze di vita del lavoratore quando sono rivolte alla cura di figli o parenti stretti, riguardino la propria formazione o siano in posizione prioritaria rispetto alle esigenze produttive del datore di lavoro. Viene data maggiore importanza alla disponibilità di tempo libero anche rispetto alla percezione del reddito, tanto che il lavoratore ha facoltà di astenersi anche per lunghi periodi dalla prestazione lavorativa senza percepire alcuna retribuzione o percependone una minima, ovviamente la certezza della conservazione del posto di lavoro.

Di particolare importanza l’art. 9 della legge che prevede incentivi in favore di datori di lavoro che applichino accordi i quali a loro volta prevedano azioni positive per la flessibilità di orario, ma di questo si parlerà nel prosieguo della trattazione.

Ad integrazione e quasi a supporto delle leggi più specifiche sui tempi di vita e lavoro è arrivata la Legge quadro sui servizi sociali, la n. 328/00 il cui obiettivo principale è quello di disciplinare la realizzazione di un sistema

104. A.R. TINTI, Conciliazione e misure di sostegno. Sulle azioni positive di cui all’art. 9 della legge

n. 53/2000, in Lavoro e Diritto n. 2/2009, 2009, p. 173

48

integrato di interventi e servizi sociali alle persone ed alle famiglie, per garantire la qualità della vita, assicurare le pari opportunità, rimuovere le discriminazioni, prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio.

La legge tenta di ridefinire il profilo generale delle politiche sociali attraverso il superamento del tradizionale concetto meramente passivo e risarcitorio dell’assistenza, per muovere verso un sistema di protezione sociale attiva in grado di offrire ai cittadini in condizione di bisogno effettive possibilità di autonomia e sviluppo.

Un ulteriore passo avanti è stato compiuto con la promulgazione del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, D.lgs n. 198/2006, che provvede a riordinare le leggi in vigore contenenti le disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne e quelle per la prevenzione e la rimozione di ogni forma di discriminazione basata sul sesso105. Il Codice è suddiviso in libri che si occupano106

:

• della promozione delle Pari Opportunità tra uomo e donna; si trovano in questa parte le norme che disciplinano il funzionamento di diversi organismi di Parità tra cui la Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna;

• delle pari opportunità nei rapporti etico sociali. In questo libro è presente un richiamo ai rapporti tra coniugi disciplinati dal Codice Civile ed alla normativa sul contrasto della violenza nelle relazioni familiari;

• delle pari opportunità nei rapporti economici; questo è l’ambito in cui rientra la normativa inerente le discriminazioni nel lavoro basate sul sesso, le molestie sessuali in ambito lavorativo, ma anche l’esercizio d’impresa al femminile;

105. M. MARCUCCI, M. I. VANGELISTI, L’evoluzione, cit. 106. Ibidem

49

• delle pari opportunità nei rapporti politici; dove sono state riportate le norme sull’accesso alla carica di componente del Parlamento Europeo, più note con la definizione di quote rosa. Infine, con la legge n. 120 del 12 luglio 2011 che ha modificato il d.lgs. 24 febbraio 1998 n.58, sono state introdotte, come già citato, nell’ordinamento italiano le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società per azioni quotate. La legge prevede, a partire dal luglio 2012, che i consigli di amministrazione delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica fossero composti per un quinto da donne.

Si presume che a partire dal 2015 la quota rosa dovrà salire a un terzo. Inoltre, per le aziende che non si adeguano è prevista prima una diffida da parte della Consob e poi una successiva applicazione di multe in caso di mancato adeguamento; ove questo persista, vi è poi anche il rischio di un azzeramento degli organi sociali.