• Non ci sono risultati.

Lo stato soggettivo del titolare del marchio successivo. L’uso in buona

adottate in giurisprudenza.

L’attuale art. 28 c.p.i. stabilisce, come ulteriore elemento per il perfezionamento della fattispecie convalidativa, che il marchio posteriore non sia stato domandato in mala fede. In assenza di questo requisito il marchio resta indefinitamente esposto ad azioni di nullità e contraffazione, senza possibilità di sanatoria e senza che il suo titolare possa invocare a proprio favore la tolleranza dell’uso, per quanto protratta nel tempo, da parte del primo titolare71.

L’art. 48 l.m. nella sua prima versione, risalente al 1942, invece, prevedeva che il titolare del secondo marchio, affinché quest’ultimo fosse convalidabile, dovesse aver “usato pubblicamente” il suo segno registrato confondibile “in

buona fede per cinque anni”.

Nel commentare la disposizione contenuta nel R.D. 929/1942, la dottrina sostenne in maniera unanime che il secondo titolare, per essere in buona fede, dovesse ignorare l’esistenza del marchio altrui, o almeno non essere a conoscenza della confondibilità dei segni o dell’affinità dei prodotti72. L’opinione prevalente riteneva inoltre che la buona fede si presumesse73. Su

70 G.SENA, Il diritto dei marchi, cit. 185; A.VANZETTI,V.DI CATALDO, Manuale di diritto

industriale, cit., 198.

71 Così specifica G.E.SIRONI, Art. 28 – Convalidazione, cit., 538.

72 Si veda ad esempio G.G.AULETTA,V.MANGINI, Del marchio, in Commentario a cura di A. Scialoja, G. Branca, cit., 63; la nozione di buona fede come ignoranza dell’esistenza del marchio altrui è implicata da M.ROTONDI, La mancata difesa del marchio e l’art. 48 R.D. 21 giugno

1942, n. 929, 79.R.PENNISI, La convalida del marchio, 117, nota 13, rileva come “questo modo

di intendere la buona fede è comune a tutti gli Autori che hanno affrontato il problema”, tanto da ritenerne superflua la puntuale citazione.

73 App. Brescia, 31 luglio 1958, in Riv. Dir. Ind., 1961, 224;App. Firenze, 4 dicembre 1975, in

143

questo punto un Autore74 aveva sollevato le proprie perplessità, in quanto ammettendo che la buona fede si potesse presumere, era il titolare del segno anteriore a dover dimostrare la malafede, servendosi chiaramente, a sua volta, di prove di carattere presuntivo, tra le quali la presunzione circa la confondibilità tra i segni. La prova di questo elemento di fattispecie si sarebbe caratterizzata, almeno nella maggior parte dei casi, come una presunzione di ignoranza, immediatamente vinta da una presunzione di conoscenza.

Lo stesso Autore metteva in discussione anche l’opinione prevalente in dottrina75, secondo la quale la buona fede doveva sussistere non solo alla data di domanda della registrazione del secondo marchio, ma anche per tutta la durata del quinquennio. Benché tale lettura fosse la più coerente con la portata letterale del testo di legge, era in grado di provocare qualche inconveniente: in primo luogo avrebbe reso superflua la previsione della mancanza di contestazioni. La presenza di qualsiasi contestazione avrebbe fatto venir meno l’uso in buona fede, escludendo per questo stesso motivo la convalida, senza un’ulteriore specifica previsione normativa. Un secondo punto a sfavore dell’interpretazione dominante sarebbe poi consistito nel comportamento che questa avrebbe richiesto al titolare del marchio successivo: se questo infatti avesse registrato in buona fede il proprio marchio e solo successivamente si fosse accorto della presenza di un precedente segno confondibile, sarebbe stato eccessivamente lesivo dei suoi interessi obbligarlo ad astenersi dall’uso del marchio, “rimanendo, per un tempo indefinito, alla mercé del preutente”. Da tali considerazioni pare emergere che sicuramente la registrazione del secondo marchio dovesse avvenire in buona fede, per evitare che il secondo titolare volesse approfittare di una usurpazione volontaria, ma sembra altresì evidente che non vi sarebbe stata alcuna giustificazione, vista anche la necessaria tutela degli interessi del secondo soggetto, a prevedere che la buona fede, in quanto ignoranza dell’altrui diritto, dovesse sussistere per tutta la durata del quinquennio.

74 R. PENNISI, La convalida del marchio, cit., 117 ss.

144

In seguito alle osservazioni che si sono ora ricordate, Pennisi, nella monografia

La convalida del marchio, al fine di pervenire alla configurazione della buona

fede in senso oggettivo, che sarà esaminata nel paragrafo successivo, evidenziò come vi fosse uno scollamento tra le affermazioni di principio, fino a qui esaminate, e la valutazione del requisito della buona fede, in capo al secondo titolare, di volta in volta effettuata dalla giurisprudenza76.

Riguardo la prova della buona fede le soluzioni adottate erano essenzialmente di due tipi; le prime ritenevano operante il principio di presunzione della buona fede77, le seconde prevedevano che la sussistenza degli elementi di fattispecie della convalida dovesse essere provata dalla parte che intendeva avvalersene e quindi anche la buona fede dovesse essere provata da colui che invocava l’art. 48 l.m.78.

Si aggiunga a questa osservazione il fatto che, in alcuni casi, la buona fede era esclusa perché si riteneva che la parte che invocava la convalida non potesse non essere a conoscenza dell’altrui diritto, o in virtù della massiccia diffusione del marchio precedente o a causa del proprio stesso comportamento, che era considerato incompatibile con la mancata conoscenza dell’altrui marchio79. In maniera speculare, in altri casi, i giudici avevano ritenuto sussistente la buona fede del secondo registrante in una prima serie di pronunce perché l’eventuale non buona fede sarebbe comunque stata superata dal comportamento della controparte, che non aveva per lungo tempo lamentato nessun genere di conflitto tra marchi, non sollevando alcuna contestazione, pur essendo sicuramente a conoscenza del marchio successivo80; in una seconda serie di pronunce si era

76 R. PENNISI, La convalida del marchio, cit., 123 ss.

77 Si vedano come esempio le sentenze già citate alla nota 73.

78 Si vedano come esempio App. Milano, 26 giugno 1956, in Riv. Dir. Ind., 1957, 132 ss. e Trib. Milano, 16 settembre 1982, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1983, n. 1619, 275 ss. secondo cui “invocando l’attrice un fatto impeditivo della nullità del proprio marchio, ad essa spetti la prova in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’art. 48”.

79 App. Milano, 26 giugno 1956, cit., in cui la buona fede è esclusa dal momento che il soggetto, che intendeva avvalersi della convalida, aveva avuto “sicura conoscenza” della presenza sul mercato del marchio precedente.

80 Trib. Roma, 2 giugno 1955, Rass. Prop. Int., 1955, 260 ss., in cui si è ritenuto che la eventuale non buona fede di parte attrice fosse da ritenere superata dal comportamento successivo della convenuta.

145

invece fatto riferimento alla definizione di buona fede come credenza soggettiva di non ledere il diritto altrui e si era ritenuto che nel caso specifico questo status soggettivo fosse compatibile con il comportamento del secondo titolare81. Dall’indagine sulle motivazioni adottate in giurisprudenza emergeva che, talvolta, la buona fede era dedotta dalla mancanza di contestazioni, mentre in altri casi era esclusa dal comportamento complessivo del secondo titolare; era quindi evidente che la buona fede non fosse semplicemente definibile come l’ignoranza dell’esistenza di un marchio anteriore, ma che l’indagine dei giudici era volta ad attribuire rilevanza al comportamento complessivo di entrambe le parti. Pennisi ritenne possibile, in seguito a queste osservazioni, argomentare una definizione “in senso oggettivo” della buona fede richiesta dall’art. 48 R.D. 929/1942; questa proposta di interpretazione sarà oggetto del paragrafo seguente.

3.4 La proposta di Pennisi: buona fede in senso oggettivo. Profili di