3.2 La conoscenza dell’uso. La tolleranza richiesta a partire dalla riforma del
3.2.1 Tolleranza e decettività
Dall’esame dei presupposti della convalida, fino a qui svolto, si è reso evidente che la mutata formulazione della norma, in seguito alla riforma del 1992, ha spostato il punto focale della previsione sul titolare dell’anteriorità: la sua conoscenza e conseguente tolleranza sono divenute un presupposto essenziale. Questa centralità del comportamento del titolare del segno anteriore ha fatto in modo che parte della dottrina ravvisasse dei punti di contatto tra la tolleranza cosciente, prevista per la convalida, e le altre ipotesi di consenso del titolare; la convalida potrebbe essere considerata come un caso di consenso all’utilizzo del secondo segno registrato, manifestato, seppur implicitamente, da parte del soggetto che sarebbe legittimato a far valere la nullità62.
In particolare si è detto che il consenso può avere diversi gradi, quello della convalida sarebbe il grado “zero”, un consenso inespresso; al grado “uno” vi sarebbe l’espressa autorizzazione, contenuta in un atto unilaterale o in un contratto, all’uso che potenzialmente potrebbe essere oggetto di un’inibitoria. Al grado “due” si troverebbero quelle ipotesi in l’espressa autorizzazione è assorbita in un atto di disposizione del marchio. In tutti i casi menzionati si tratterebbe sempre di consenso del titolare, in quanto espressione del carattere privatistico del diritto di marchio; tale caratteristica sarebbe ravvisabile anche
61 M.S.SPOLIDORO, Il consenso del titolare e gli accordi di coesistenza, in Segni e forme
distintive. La nuova disciplina, Giuffrè, Milano, 2001, 194, in cui si richiama A.VANZETTI, La
nuova legge marchi, cit., si veda supra la nota 54.
62 L.PECORARO, Nullità, convalidazione, decadenza, in N. Bottero, M. Travostino (a cura di), Il
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nella versione “minore” di consenso, consistente in una mera rinuncia a far valere le facoltà negative che il diritto di marchio conferisce al suo titolare63. La dialettica tra interesse privato ed interesse pubblico ha attraversato tutta l’evoluzione del diritto dei marchi ed in seguito alle riforme, che si sono succedute dal 1992 in poi, è divenuto sempre più evidente che il titolare del segno può impedire gli usi di terzi, che collidano con l’esclusiva, “salvo il
proprio consenso”64; il titolare del segno può scegliere se difendere, o non difendere, il proprio marchio e, se decide di farlo, agisce nel proprio esclusivo interesse; l’eventuale beneficio per la collettività è un mero effetto collaterale dell’azione dell’avente diritto. È piuttosto quella parte della disciplina del marchio che riguarda gli impedimenti assoluti della registrazione, decadenze per non uso ed uso ingannevole a tutelare gli interessi estranei a quelli del titolare65. Un coordinamento tra la disciplina del consenso del titolare e l’inganno di terzi si rende quindi necessario, considerato che il rischio di confusione, che giustifica l’azione di contraffazione e quella di nullità relativa, per l’eliminazione di marchi successivi confliggenti con altri segni anteriori, è costituito dal pericolo che i consumatori siano indotti in errore sulla provenienza imprenditoriale dei prodotti e dei servizi e che in questa prospettiva la tolleranza potrebbe essere definita come “decettiva” o “ingannevole”, se consente che rimanga un rischio di confusione.
In realtà proprio la norma sulla convalida permette di trovare un’ipotesi di coordinamento.
Secondo un’interpretazione letterale l’ingannevolezza circa la provenienza imprenditoriale non costituirebbe una causa di nullità assoluta. L’attuale art. 14.1 lett. b c.p.i. (come il precedente art. 18.1 lett. e l.m.) stabilisce il divieto di registrazione come marchio per il segno idoneo ad ingannare il pubblico circa la provenienza geografica; mentre gli attuali art. 21.2 e 14.2 c.p.i., che prevedono
63 M.S.SPOLIDORO, Il consenso del titolare e gli accordi di coesistenza, cit., 194 ss.
64 Per la questione dell’ampliamento delle funzioni del marchio, viste le sempre maggiori possibilità di compresenza sul mercato di segni confondibili introdotte a partire dal d.lgs. 480/1992, si rimanda al § 1.1.
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rispettivamente il divieto di uso ingannevole del marchio e la decadenza per uso decettivo, non attribuiscono alcun aggettivo alla provenienza. Vi sarebbe quindi, visto il mancato espresso riferimento, negli articoli citati, all’inganno circa la provenienza imprenditoriale, lo spazio per chiedersi se un marchio idoneo a creare un pericolo di confusione, circa l’origine dei prodotti, con altro anteriore, possa essere attaccato solo dal titolare del marchio precedente con cui è confondibile (come ipotesi di nullità relativa, la cui legittimazione attiva è disciplinata dall’attuale art. 122.2 c.p.i.). Le conseguenze di questa interpretazione comporterebbero che, se il titolare del primo marchio resta inerte o concede il suo consenso, divengano applicabili nei suoi confronti le decadenze previste dalle norme citate66 e la definitiva contemporanea permanenza dei due segni sul mercato.
Una parte della dottrina sosteneva invece che il consenso all’uso di un marchio diverso, ma in grado di creare confusione nel pubblico, avrebbe potuto esporre il titolare a conseguenze pesanti, nonostante l’espressione che si trovava all’art. 1 della legge marchi, ora riprodotta all’art. 20 c.p.i., sul consenso del titolare67. Questa soluzione presenta però dei profili di incompatibilità con la norma sulla convalida, in particolare non sembra possibile ritenere che la tolleranza o il
66 Cita questa interpretazione letterale M.S.SPOLIDORO, Il consenso del titolare e gli accordi di
coesistenza, cit., 199 ss., lo stesso Autore però osserva che questo spunto di interpretazione
letterale deve essere lasciato da parte, per osservare il problema su un piano di maggior respiro sistematico, rilevando che la tesi per cui la tolleranza della contraffazione o il consenso del titolare ad un uso suscettibile di divieto costituirebbero di per sé fattispecie di uso ingannevole del marchio, rientranti negli artt. 14.2 e 21 c.p.i., sarebbe contrastante con la disciplina della convalida ex art. 28 c.p.i., infra nel paragrafo.
67 C.GALLI, Attuazione della Direttiva. Commentario, cit., 1148 ss., ha in proposito, in sede di commento dell’art. 41.1 lett. b, nella parte in cui subordinava la decadenza al modo e al contesto in cui il marchio era utilizzato, consigliato di impiegare particolare cautela nel consentire l’uso di segni che il pubblico possa confondere o associare con il loro. Questa opinione per cui,se il titolare consentisse all’uso di un marchio successivo confondibile, correrebbe il rischio di determinare la decadenza del proprio marchio (ai sensi del precedente art. 41.1 lett. b, ora art. 14.2 lett. a), è stata riportata da M. RICOLFI, I segni distintivi, cit., 104. L’Autore fa anche notare che la soluzione così prospettata non è però insuperabile, secondo quanto afferma G. OLIVIERI,
Contenuto e limiti dell’esclusiva, in AA.VV. Commento tematico della legge marchi, cit., 40
ss., il quale distingue il caso in cui il consenso del titolare abbia valenza abdicativa nei confronti di un uso attuato già in precedenza da un terzo iure proprio ed il caso in cui il consenso abbia un’efficacia costitutiva o traslativa. Nel primo caso, quello dei cd. accordi di coesistenza, troverebbe applicazione solo il limite generale dell’art. 20 c.p.i. (ex art. 11 l.m.), perché l’art. 14.2 lett. a presuppone l’imputabilità dell’uso ingannevole al soggetto che presta il consenso, che nell’ipotesi esaminata sarebbe assente.
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consenso ad un uso suscettibile di divieto costituirebbero, di per sé, un caso di uso ingannevole del marchio rientrante sia nell’art. 21 sia nell’art. 14.2 c.p.i., vista la coesistenza espressamente prevista dall’attuale art. 28 c.p.i.68.
La convalida del marchio presuppone infatti che l’uso del marchio posteriore, confondibile con quello anteriore, data la contemporanea permanenza dei due marchi sul mercato, non sia ingannevole in sé e non renda ingannevoli i due marchi, comportandone la decadenza. Se infatti decadesse il marchio anteriore non ci sarebbe più ragione per l’esistenza dell’istituto giuridico della convalida stessa e, se invece decadesse il secondo marchio, l’art. 28 sarebbe senza effetto, essendo decaduto il marchio che sarebbe suscettibile di convalida.
La norma sulla convalida suggerisce l’idea che non basti semplicemente il mancato azionamento della tutela per costituire un uso ingannevole del marchio. Vi sarebbe quindi un inganno del pubblico solo se il consumatore medio non fosse in grado di percepire di trovarsi di fronte a due marchi distinti e veramente risultasse ingannato, presumendo che si tratti di un unico marchio, che individua un’unica fonte di prodotti o servizi; l’inganno nei confronti del pubblico non sussisterebbe invece se il risultato fosse che il pubblico associa i segni, ma li tiene distinti, presumendo che vi sia stato un accordo tra i due titolari, o che il primo titolare non si sia ancora accorto dell’esistenza del secondo marchio, o semplicemente pensi che il primo titolare non voglia difendere il proprio diritto di esclusiva69.
Il problema di coordinamento tra l’art. 28 e l’art. 21.2 c.p.i., che prevede il divieto di uso confusorio del marchio, potrebbe solo porsi in alcuni casi particolari, in cui comunque non sarebbe in discussione la validità di entrambi i marchi, ma si renderebbero semplicemente necessarie delle particolari modalità
68 G.OLIVIERI, Contenuto e limiti dell’esclusiva, in AA.VV. Commento tematico della legge
marchi, già richiamato supra alla nota 67, ha infatti affermato che una soluzione che prevedesse
la decadenza del titolare in tutti i casi in cui questo abbia rinunciato a contestare l’altrui diritto “mal si concilierebbe con quella accolta in tema di convalida del marchio dell’art. 48 l.m., per regolare un comportamento non molto diverso, nella sostanza”.
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di uso, tali di escludere, in concreto, il rischio di confusione70. Sul tema del coordinamento tra la disciplina della convalida ed il generale divieto di inganno al pubblico si tornerà in seguito, nel capitolo dedicato agli effetti della convalida, ai paragrafi 4.1.3 e seguenti.
3.3 Lo stato soggettivo del titolare del marchio successivo. L’uso in buona fede