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Stipulazione di contratto invalido e responsabilità precontrattuale

Capitolo I: Origine ed evoluzione storica della responsabiilità precontrattuale

4. Stipulazione di contratto invalido e responsabilità precontrattuale

208Così M. MANTOVANI, Vizi incompleti e rimedio risarcitorio, cit., p. 194.

209In argomento di recente S. PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, cit. p. 7 e ss.

210E’ corretto ciò che appare ragionevole alla luce delle circostanze della concreta fattispecie e del conflitto di interessi implicato.

211Per una definizione di ragionevolezza nei termini di “soggettiva disponibilità e obiettiva possibilità di un dibattito cosciente con opinioni e argomenti che rendono possibile la formazione del consenso”, J. ESSER,

Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione, trad. it., di Patti e G. Zaccaria, Napoli,

1983, p. 22

212Sullo specifico rapporto fra ragionevolezza ed art. 1337 c.c., in un confronto con le soluzioni adottate dal modello inglese cfr. G. CRISCUOLI, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. Dir. Civ., 1984, p. 730 e ss. 213Sul punto A. RAVAZZONI, La formazione del contratto, cit. p. 152; secondo l’A. l’irrisorietà del danno contribuirebbe a innalzare la soglia della scorrettezza tollerabile; riprende queste conclusioni anche M. MANTOVANI, Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio, cit., p. 197; sul tema della ragionevolezza, il contributo monografico di S. TROIANO, La ragionevolezza nel diritto dei contratti, Padova, 2005, passim.

Il processo di “tipizzazione” quale concretizzazione della clausola generale di buona fede è estraneo alla fattispecie predisposta dall’art. 1338 c.c.

Al contempo la fattispecie non può collocarsi nella tendenza, della quale abbiamo già dato conto, dell’ampliamento tendenziale dell’area di incidenza del fenomeno della responsabilità precontrattuale.

La norma può invece di certo essere considerata una specificazione214 della disposizione

generale introduttiva della tematica della responsabilità precontrattuale215.

Essa dispone, come noto, che “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di

una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere senza sua colpa confidato nella validità del contratto”.

Il rapporto di genus a speciem è desunto - oltre che dalla constatazione che nella norma espressa dall’art. 1338 del codice civile vi sarebbe una sorta di specifica tipizzazione dei doveri espressivi dei principi sottesi alla responsabilità precontrattuale - dalla sussistenza di una medesima ratio sottesa a entrambe le disposizioni (artt. 1337-1338 cc.).

Così come l’inclusione del recesso ingiustificato dalle trattative nel contenuto dell’art. 1337 c.c.216 appare manifestazione dell’esigenza di tutelare i reciproci affidamenti delle parti che

abbiano intrapreso le trattative; al contempo “il danno precontrattuale da conclusione di

contratto invalido si ricollega alla violazione non tanto del dovere di informazione, quanto piuttosto (al pari del danno da rottura della trattativa) del dovere di non deludere l’affidamento sull’affare”217.

214Parte della dottrina ha osservato la superfluità della disposizione sotto il profilo della tecnica legislativa: si è osservato che l’obbligo oggetto della disposizione sarebbe già ricompreso nella disciplina della clausola generale di cui all’art. 1337 del codice civile. La giustificazione della disposizione, a livello storico, sarebbe riconducibile all’influenza della ricostruzione della culpa in contrahendo proposta da Jhering sull’impianto della codificazione; l’utilità residua sarebbe rinvenibile in ragione degli scarsi indici normativi contenuti nell’art. 1337 del codice civile: sul punto F. BENATTI, Culpa in contrahendo, cit. p. 292 e ss.

215Parla di “applicazione peculiare” dell’art. 1337 c.c., V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, in

Enc. Dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, p. 1266.; in argomento anche G. VISINITINI, La reticenza nella formazione del contratto, Padova, 1972, p. 108; G. MIRABELLI, Commento sub. artt. 1337-1338 c.c., Dei contratti in generale, in Commentario al codice civile, IV, t.2, Torino, 1980, sub. art. 1337-1338 c.c., p. 113

216Cfr. infra nel testo.

Gli esiti dei ragionamenti sin qui proposti paiono andare nella direzione dell’individuazione di un tratto comune alle disposizioni che coincide di fatto con l’attenzione volta, da entrambe le norme, alla tutela di una tendenziale conformità fra gli interni voleri e le forme di esteriorizzazione di contegni e comportamenti dei contraenti durante le fasi delle trattative, nell’ottica di una necessaria protezione dei reciproci affidamenti.

La predetta relazione fra le disposizioni si apprezza, naturalmente, sulla base del superamento della tradizionale impostazione che vedeva l’art. 1337 del codice civile quale norma sprovvista di valenza precettiva autonoma e pertanto applicabile pel tramite della sua specificazione218.

L’art. 1338 rappresenta, invece, una delle possibili specificazioni della clausola generale: una delle possibili concretizzazioni tipizzate accanto alle quali ne appaiono ammissibili altre, pur nell’assenza di espresse e dirette previsioni legislative.

Corollario della individuazione di una comunanza di ratio e della constatazione della tutela dell’affidamento di controparte quale ratio sottesa anche alla disciplina di cui all’art. 1338 del codice civile219 è la conclusione della possibilità di estendere l’ambito applicativo della

disposizione oltre il senso più squisitamente letterale della norma220.

L’assurgere dell’affidamento a principio generale, discostandosi per questa via dalla c.d.

218Sul punto, come già richiamato, G. STOLFI, Il principio di buona fede, cit., p. 163.

219Sacco in maniera icastica afferma: “l’art. 1338 prevede che un soggetto venga illuso e poi disilluso”: cfr. R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio. La parte generale del diritto civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Milano, 2005, p. 255.

220Del resto nota è l’ampia critica ad un lettura rigida e angusta del principio in claris non fit interpretatio per come tradizionalmente concepito. Secondo la revisione della lettura tradizionale del brocardo, l’attività interpretativa non meramente esegetica dovrebbe sempre e comunque realizzarsi sin quando non si giunga alla “creazione” di norme chiare e coerenti con il sistema. La formula racchiuderebbe, non una causa di esclusione dell’interpretazione, ma il limite sino al quale l’attività ermeneutica dovrebbe spingersi. Sul punto, per limitarsi ad alcuni essenziali riferimenti bibliografici, L.BIGLIAZZI GERI,L’Interpretazione, Milano, 1994, pag. 63 e ss. Cfr. in particolare le osservazioni di P.PERLINGIERI,Il Diritto Civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, pag. 210 e ss., ove si legge che il compito dell’interprete “non può variare a

secondo che sia chiamato ad applicare leggi ‘chiare’ oppure leggi ‘ambigue’, là dove la chiarezza, se v’è, non può essere un prius ma un posterius dell’interpretazione”. Sull’interpretazione in generale si veda, oltre a quanto richiamato nel testo in vari luoghi, E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici,

apparenza pura, consente l’impiego di formule interpretative estensive o analogiche221.

Al contempo la rilettura costituzionale e in senso assiologico dell’istituto consentirebbe di raggiungere le conclusioni appena rassegnate e quelle sulle quali ci soffermeremo subito a seguire.

Dal sistema degli artt. 1337-1338 c.c. è possibile ricavare un generale dovere di informazione, che potrebbe estendersi al di là delle angustie dell’art. 1338 c.c. nel suo contenuto letterale e coprire tutte le circostanze che si rivelino comunque importanti222 ai fini della conclusione dell’affare223.

La disposizione, come è stato osservato, sarebbe pertanto applicabile anche per il caso di contratto inefficace224: essa risulta infatti “puntualmente trasposta nell’art. 1398225, con riguardo alla conclusione di un contratto che, per essere concluso con un falso rappresentante, è affetto non da invalidità, ma da inefficacia”226.

Si è anche osservato, al fine di disancorare la ratio della disposizione da una “visione contemplativa della vittima”, che il fondamento della norma sta nell’aspettarsi qualcosa o meglio un risultato utile e quest’ultimo non può coincidere con la vicenda di un rapporto giuridico, ma ha certamente a che fare con una prestazione227.

La visione contemplativa sarebbe esplicata dal pensiero della vittima dell’illecito: “quel negozio giuridico ontologicamente esiste e non è colpito da causa di nullita’”.

Anche questa lettura attenta alla traslazione dell’attenzione per il risultato piuttosto che per la vicenda del rapporto, tende ad avvalorare una intepretazione tendenzialmente estensiva

221Sul punto C. AMATO, op. cit., p. 90 e ss.

222Sul tema più in generale cfr. quanto già sottolineato nel testo

223Per una condivisibile ricostruzione della relazione fra gli artt. 1337-1338 c.c. le riflessioni di M. FRAGALI, in Commentario del codice civile, a cura di D’Amelio e Finzi, Firenze, 1948, p. 369; più di recente M. MANTOVANI, Vizi incompleti e rimedio risarcitorio, cit., p. 150

224La dottrina ha esteso il contenuto precettivo dell’art. 1338 del codice civile con precipuo riferimento al suo amibito oggettivo; sull’autore di un negozio unilaterale graverebbero anche gli obblighi di avviso che la disposizione sembrerebbe, ad una prima lettura, limitare all’ambito contrattuale: così F. BENATTI,

Responsabilità precontrattuale, cit. p. 27 e ss.; contra G. PATTI, S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, cit. p. 230 e ss.

225Sul rapporto fra art. 1338 c.c. e 1398 c.c., di recente, le osservazioni di L. NIVARRA, Tutela

dell’affidamento e apparenza nei rapporti di mercato, in Europa e diritto privato, 2013, p. 838 e ss.

226Cfr. V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 183.

227R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio. La parte generale del diritto civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. SACCO, cit., p. 255.

del contentuo della disposizione nonostante la tipizzazione della fattispecie a livello normativo.

La riconduzione della responsabilità precontrattuale all’ambito di uno dei modelli tipizzati (responsabilità contrattuale/responsabilità extracontrattuale) assieme alla verifica circa la sussistenza di un rapporto genus/species fra le disposizioni richiamate, possono rappresentare indici al fine di verificare alcuni atteggiamenti della dottrina in virtù dei quali nella fattispecie in esame sarebbe necessario anche un comportamento doloso o colposo del soggetto.

La letteratura giuridica, in questo ambito, ha osservato che ai fini del corretto adempimento degli obblighi di cui all’art. 1338 del codice civile non è sufficiente che la parte “abbia

comunicato all’altra ciò che sapeva in ordine alle cause di invalidità del contratto, ma occorre che essa abbia accertato alla stregua dell’ordinaria diligenza le cause di invalidità o inefficacia che rientrano nel suo ambito di controllo”228.

Qualora questo comportamento non venga posto in essere la parte sarà responsabile per colpa, pur dovendosi escludere la mala fede229.

Con specifico riferimento alle cause di annullabilità del contratto il “dover conoscere” di cui all’art. 1338 c.c. è stato assimilato al requisito di riconoscibilità dell’errore ai sensi dell’art. 1431 c.c.

Ne è derivata la possibilità di configurare una responsabilità della controparte dell’errante che non comunichi l’eventuale causa di invalidità del contratto, non conosciuta, ma conoscibile a mezzo dell’impiego della normale diligenza230.

Si segnala per completezza l’orientemento del formante giurisprudenziale231, recepito

anche da quello dottrinario232, che considera il raggiungimento della prova della violazione della regola di correttezza fondata sulla buona fede oggettiva elemento in grado di garantire il raggiungimento della prova della colpa che sarebbe implicita nella lesione.

228Cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, cit., p. 171 e ss.

229La medesima dottrina ritiene che “il fatto lesivo […] non è costituito dalla mancata comunicazione delle cause di invalidità o inefficacia ma, direttamente, dalla stipulazione del contratto invalido o inefficace da parte di chi conosce o dovrebbe conoscere tali cause”: così C. M. BIANCA, op. cit., p. 171.

230In argomento cfr. M. MANTOVANI, Commento sub art. 1338, cit. p. 496. 231Cfr. Cass. 30 agosto 1995, n. 9157.

Questa lettura aprirebbe di fatto al consolidarsi della tendenza “al progressivo passaggio dalla responsabilità per colpa alla responsabilità oggettiva”233.

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