• Non ci sono risultati.

“Il più povero degli uomini può, nella sua casetta, lanciare una sfida, opponendosi a tutte le forze della Corona. La casetta può essere fragile, il suo tetto può essere traballante, il vento può soffiare da tutte le parti, la tempesta può entrare e la pioggia può entrare, ma il re d’Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano attraversare la soglia di tale casetta in rovina.”

(William Pitt, Conte di Chatham, discorso pronunciato alla House of Lords nel marzo 1763)

Le parole di Lord Chatham annunciavano con largo anticipo quello che nei nostri anni sarebbe diventato il problema della tutela della privacy. Nonostante la trascrizione del discorso del politico inglese sia poi diventata uno dei primi documenti a favore della protezione della riservatezza individuale, la vera e propria origine dei diritti privacy è rappresentata dal saggio “The right to be alone” di Louis

D. Brandeis e Samuel Warren. I due avvocati, originari di Boston, il 15 dicembre 1890 pubblicarono una loro relazione, riguardante l’ipotesi sulla necessità di istituire un diritto di essere lasciati soli a godere della propria vita. Quando Brandeis diventò uno dei giudici membri della corte suprema statunitense, riaffermò lo stesso principio dello jus solitudinis in una dissenting opinion, relativa a un caso di contrabbando di alcolici, in cui erano state effettuate delle intercettazioni telefoniche per oltre cinque mesi. La maggioranza dei giudici considerava del tutto legittima l’attività investigativa dell’FBI, perchè i cavi del telefono non intaccavano il domicilio dell’imputato. Braides invece, convinto che l’evoluzione della isica e la tecnica avrebbero portato a scovare anche le emozioni

più celate, difese le parti dell’imputato, affermando il dovere della Corte di impedire una possibile invasione dello spazio individuale. (Masera, Scorza, 2016). Internet appartiene ora a una di quelle innovazioni tecnologiche e isiche ipotizzate da Braides un secolo prima. Internet venne utilizzato per la prima volta negli anni Sessanta, con la creazione di ARPANET, una rete di computer limitata, sviluppata per scopi militari dal dipartimento della difesa degli Stati Uniti. Dagli anni Settanta in poi venne adottato anche da alcune università americane come mezzo di comunicazione per la creazione di forum di discussione tra studenti e ricercatori. Parallelamente anche in Europa vennero create delle reti online nazionali, come in Francia, Gran Bretagna e Finlandia. Nel 1989 internet venne de initivamente aperto ai civili, attraverso la ine di ARPANET e la nascita del linguaggio HTML (Gubitosa, 2007).

Rispetto all’1% del 1995, oggi il 53% della popolazione mondiale utilizza internet per informarsi, comunicare, acquistare e vendere, tanto da essere considerato un mondo virtuale a dimensione globale (L’e-commerce in Italia, 2017). Ciò nonostante le legislazioni in tutto il mondo non sono riuscite a regolamentare a pieno la rete, faticando nel restare al passo con le innovazioni digitali.

Negli anni Novanta, la maggioranza degli utenti pensava che internet dovesse restare uno strumento neutro e libero, al di fuori delle logiche nazionali e in particolare dai meccanismi legislativi che regolamentano il mondo. Nell’immaginario comune infatti, si diffuse l’idea di una rete anarchica, giusti icata dal semplice fatto di essere un mezzo di comunicazione, d’informazione e d’intrattenimento internazionale. Il più celebre rappresentante di questa corrente di pensiero fu l’attivista statunitense John Peter Barlow, che nel 1996 pubblicò la sua Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio. Il testo che ancora oggi rappresenta una delle tappe fondamentali per l’evoluzione di internet, si basava sulla visione di un mondo digitale governato da un sistema di cyber-libertarismo, capace di superare i sistemi giuridici nazionali contrari e vincolanti al carattere internazionale e libero dei collegamenti online (Murray, 2016). Il web non doveva essere soggetto a una sovranità nazionale o internazionale, considerata da Barlow come un potere esterno e invadente. Ognuno avrebbe potuto godere dello spazio digitale, al ine di poterlo sfruttare al meglio per esaltare la propria

autodeterminazione al di là dei vincoli giuridici imposti da ogni Stato, considerato ormai come un’istituzione antiquata e decadente.

Le ideologie di libertà e autoregolamentazione della rete vennero presto smentite dalla realtà dei fatti, con le diverse violazioni al diritto sulla privacy e alla libertà di espressione. Uno dei casi più importanti fu quello relativo all’arresto del giornalista cinese Shi Tao, che nel 2004 utilizzò Yahoo! Mail per comunicare in anonimato a un sito in lingua cinese, la decisione del partito comunista di boicottare la ricorrenza del massacro di piazza Tienanmen. Sotto le pressioni delle autorità cinesi, Yahoo! comunicò le informazioni tecniche sul mittente del messaggio, rivelando in questo modo l’identità dello scrittore, al quale venne imposto il carcere. Le reazioni internazionali di sdegno da parte delle associazioni di giornalisti e delle istituzioni pubbliche, fecero pressione sul governo cinese, che tuttavia scarcerò il giornalista solo nel 2013. L’operato di Yahoo! venne fortemente criticato, riaccendendo il dibattito sulla necessità di una regolamentazione della rete uniforme a livello internazionale (Ji, 2014).

A oggi Internet, è una tecnologia indispensabile per lo sviluppo economico, sociale e culturale di tutti gli Stati che basano i propri ordinamenti su un sistema democratico. Gli utenti della rete infatti, sono in primo luogo cittadini, a cui ogni ordinamento attribuisce diritti e facoltà, che non possono essere messi a rischio nella dimensione virtuale, vantaggio di agenti economici privati, gestori delle piattaforme online. Questo perché la rete è composta da miliardi di persone che proiettano la propria identità nel mondo digitale, attraverso i dati che loro stessi lasciano ogni giorno online. Le informazioni costituiscono l’identità di ogni essere umano, che in rete rischiano di essere messe alla mercé di tutti. A differenza di quanto avviene nella realtà, in internet gli utenti tendono a sottovalutare il valore dei propri dati personali, focalizzandosi di più sui bene ici ottenuti dall’uso della rete. Per questa ragione non sempre chi naviga online riesce a comprendere i rischi che comporta una tale esposizione. Le istituzioni pubbliche hanno dunque il dovere di agire per garantire a tutti coloro che usufruiscono della rete di esser tutelati contro i possibili abusi sui propri dati personali, perpetrati sia da grandi aziende che da singoli individui. (Masera, Scorza, 2016).

2.1.1

Regolamentazione della rete internazionale

Nel corso degli anni Novanta, molte istituzioni internazionali si posero la questione su come affrontare il tema della gestione della rete, nonostante sussistessero ancora forti ripulse sulla necessità di una governance del mondo del web. Uno dei primi documenti a cui è possibile far riferimento è la dichiarazione prodotta da Educause nel 1992, chiamata “Rights and Responsibilities of Electronic Learners”. L’atto conteneva una serie di norme relative alla produzione e all’uso delle informazioni online, destinate all’educazione e in particolare agli istituti universitari. Nei primi anni del Duemila, altre associazioni internazionali decisero di seguire le orme di Educause, contribuendo alla formazione di un sistema normativo comune. Tra questi, i progetti più rilevanti furono la realizzazione di una bozza della “Internet Rights Charter” prodotta dall’Association for Progressive Communication e la formazione di una seconda costituzione internazionale del web, promossa dall’associazione “The Web We Want” di Tim Barners-Lee. Ancora oggi il tema della governance della rete è affrontato periodicamente, nel corso di vari summit a carattere internazionale, organizzati dalle organizzazioni di settore tra cui Electronic Frontier Foundation, NETMundial Multistakeholder Statement e Internet Governance Forum (Mensi, Falletta, 2015).

Una delle svolte più rilevanti per la de inizione di una normativa internazionale fu l’intervento di Hillary Clinton a supporto di alcune organizzazioni giornalistiche statunitensi, che nel 2005 chiesero all’ONU l’universalizzazione del diritto di Free Speech a fronte dell’arresto del giornalista cinese Shi Tao. Il principio di libertà di parola invocato in quel contesto, rappresenta infatti, uno dei diritti fondamentali riconosciuto non solo nella Costituzione statunitense, ma anche nella Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite. A riguardo, l’ordinamento ONU sui diritti umani è ancora oggi un punto di riferimento per la de inizione dei diritti di navigazione online, essendo un sistema legislativo valido in tutto il mondo, che riconosce e fa valere i diritti fondamentali anche nel contesto digitale. La normativa permette di tutelare chiunque navighi nella rete, de inendo quali sono le attività