• Non ci sono risultati.

L O S TATO E L ’ ORGANIZZAZIONE DELLA CENSURA LA « POLITICA CINEMATOGRAFICA » NELLA F RANCIA DEL F RONTE P OPOLARE

Quando, nell’aprile del 1936, i francesi festeggiano la salita al potere della coalizione di sinistra guidata dal socialista Léon Blum, la situazione che imperversa nell’industria cinematografica nazionale appare in condizioni disastrate; e alla luce di questa drammatica situazione, una speranza di rinnovamento sembra arrivare proprio dal Fronte popolare. I cineasti, contando sull’impulso rigeneratore di cui il nuovo governo si fa portavoce, chiedono l’intervento dello Stato per riportare il cinema nazionale sui passi della competitività. Tuttavia, pur desiderando un aiuto concreto da parte delle istituzioni e pur contando sul sostegno effettivo che questi avrebbe concesso, tanto il settore della produzione quanto quello della distribuzione pretendono di mantenere intatta la propria indipendenza. Le intenzioni delle società al riguardo si rendono manifeste nell’aprile del 1936, quando sulla rivista La

      

59

Cit. in G. Caredda, p. 169, op. cit.

60

Cinématographie Française viene scritto: «…le nostre pellicole e i nostri schermi cinematografici sono un mezzo di propaganda? In nessun modo…!».61 Durante il

governo di Léon Blum l’atteggiamento aggressivo che mostrano alcuni rappresentanti del settore cinematografico è dettato dal timore di una possibile nazionalizzazione delle case di produzione in crisi da parte del governo; un timore generato dalle dichiarazioni di alcuni esponenti socialisti che, saliti al potere, affermano di voler utilizzare il cinema per diffondere la propria politica. Nessuno dei primi governi del Fronte popolare apporta modifiche rilevanti alla struttura cinematografica francese, anche se non mancano – in certi settori – le intenzioni di intervenire al riguardo. Tali propositi si rintracciano già agli inizi del decennio quando si dibatte, senza ottenere però risultati concreti, sulla necessità di riformare il cinema nazionale. Anche nell’amministrazione del Fronte popolare si ragiona, a livello teorico, su possibili soluzioni; ma nei fatti, sembra persistere un costante ritardo nel passaggio dall’elaborazione all’applicazione dei progetti di riforma.62

A seguito dello scandalo che vede protagonista la Gaumont-Franco-Film- Aubert, nel giugno del 1935 Maurice Petsche, pubblica i risultati di un rapporto redatto dopo aver indagato, su richiesta del ministro delle Finanze – Joseph-Marie Caillaux63 – sulla caotica situazione che imperversa nel cinema francese. Il testo, noto come «rapporto Petsche», analizza nel dettaglio lo stato dell’industria cinematografica, le cause della crisi e i problemi relativi al cinema educativo e di propaganda, arriva a definire “deplorevole” la situazione del cinema in Francia e propone un progetto di riorganizzazione del settore cinematografico nazionale.64 Le

      

61

La citazione riportata risale al 18 aprile 1936, quando Pierre Auguste Harlé, direttore della rivista, afferma le intenzioni delle società di difendere ad oltranza l’indipendenza dell’industria cinematografica. Cit. in I. Sánchez Alarcón, La guerra civil española y el cine francés, p. 61

62

É il caso del decreto di riforma del cinema firmato da Albert Lebrun, presidente della Repubblica, il 17 marzo del 1939, quando ormai la seconda guerra mondiale è alle porte.

63

Joseph-Marie Caillaux (1863-1944) è stato a capo del ministero delle Finanze nel 1925, nel 1926 e nel 1935.

64

L’idea generale che anima il progetto di Maurice Petsche e che egli espone dettagliatamente nel suo rapporto, può essere così riassunta: “…Le grandi case della cinematografia nazionale hanno raggiunto dei risultati finanziari deplorevoli…Per procedere ad una riorganizzazione generale del cinema francese è necessario, in primo luogo, proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza imposta dalle produzioni straniere, non solamente difendendola, ma riportando il cinema in una posizione tale che gli permetta di affrontare, ad armi pari, la competizione internazionale, prima sul mercato nazionale poi su quello estero. Bisogna, in sostanza, riaffermare il valore culturale della nostra cinematografia…”. Sull’argomento si veda P. Léglise, Histoire de la politique du cinéma français. Le cinéma et la IIIª République, Paris, Lherminier 1970, pp. 105-113; più nel dettaglio, J. Choukroun, « Aux origines de l’exception culturelle française ? Des études d’expert au « Rapport Petsche »

proposte suggerite da Petsche hanno un’eco rilevante nell’opinione pubblica francese di allora; le principali testate della stampa quotidiana, prime tra tutte Le Petit Bleu,

La Cinématographie, Paris-Soir e Le Jour pubblicano, a più riprese, il testo

completo del rapporto, integrandolo di commenti entusiasti. Di certo, seppur in modo ancora sommario, il «rapporto Petsche» presenta la prima analisi completa della situazione del cinema francese dopo l’avvento del sonoro e stabilisce i presupposti fondamentali sui quali avrebbe dovuto fondarsi la riforma del settore.

Appena un anno dopo, l’ispettore delle finanze Guy de Carmoy presenta al Consiglio Nazionale Economico un nuovo rapporto contenente diverse proposte volte al riassetto della cinematografia.65 Il rapporto, meglio conosciuto come «rapporto de Carmoy», rappresenta un modello nel suo genere: basandosi sul testo pubblicato l’anno precedente, Guy de Carmoy traccia un lavoro minuzioso e ragionato sulle condizioni dell’industria cinematografica francese, proponendo soluzioni che, all’unanimità, appaiono come le uniche vie di salvezza. Negando, tuttavia, l’incoerenza e l’anarchismo professionale che era alla base del «rapporto Petsche», e rifiutando di collocare il cinema francese in una situazione così disperata, il nuovo rapporto prevede che l’industria del cinema tenti di riorganizzarsi da sola attraverso le proprie rappresentanze sindacali; solo nel caso di mancata riuscita, allora si penserebbe ad un intervento dello Stato.66 La proposta, accolta con entusiasmo dai professionisti del cinema, sembra essere la migliore del periodo; tuttavia proprio l’eccessivo entusiasmo che anima le intenzioni degli uomini del cinema causa, ancora una volta, il fallimento del progetto.67

       

(1933-1935) », in 1895. Revue de l’association française de recherche sur l’histoire du cinéma, n. 44, décembre 2004, pp. 5-27

65

Dal 1931, il Consiglio Nazionale Economico aveva avviato vaste inchieste sulla situazione economica e finanziaria dei principali settori dell’economia nazionale. Era naturale che anche il cinema diventasse, nel giro di poco tempo, oggetto di un’analisi approfondita. Cfr. J. M, Rénaitour, Où va le cinéma français?, Paris, Baudinière 1937

66

È interessante notare come i toni del «rapporto de Carmoy» differiscano da quelli del «rapporto Petsche». Guy de Carmoy giustifica il caos regnante nell’apparato cinematografico vedendo nel cinema un’industria la cui tecnica tende continuamente al perfezionamento e che, pertanto, necessita di una modernizzazione delle tecniche che sono alla base dei grossi investimenti. Allo stesso modo, benché egli stimi a circa 100 milioni per anno le perdite dell’industria cinematografica, ritiene ugualmente che il periodo economico più difficile sia già passato, riferendosi al 1934 quando alcuni piccoli produttori minacciavano di prendere il posto dei grandi cineasti francesi. Cfr, P. Léglise, op. cit. pp. 122-123

67

In quegli anni si formano diverse rappresentanze sindacali, piccole realtà che tentano di tutelare i diritti dei professionisti del cinema. Tra queste, il Comité du Film o Comité du Cine, che nel

Il responsabile incaricato dal governo di Léon Blum di occuparsi della situazione cinematografica è Jean Zay, ministro dell’Educazione Nazionale dal 1936 al 1939. L’arco temporale in cui ricopre il mandato appare decisamente significativo: sono gli anni in cui si combatte la guerra civile spagnola, ma sono anche gli anni in cui la sua politica in materia di cinema, che mira alla protezione dell’industria nazionale sulla base dell’applicazione della censura preventiva, condiziona fortemente l’informazione data dai cinegiornali. La gestione di Zay non porta a grandi successi, nonostante gli innumerevoli tentativi e le buone intenzioni messe a punto per riordinare la caotica situazione del settore cinematografico. A lui si deve il progetto per uno «statuto del cinema» che, sebbene non introduca cambiamenti sostanziali rispetto alla situazione vigente, stabilisce nel dettaglio le disposizioni per il controllo dei film. Alla scadenza del mandato, prima di lasciare il Ministero dell’Educazione Nazionale, Jean Zay cerca di mettere fine alla dispersione cha aveva sempre caratterizzato l’azione del governo in ambito cinematografico. Di fatto, fino ad allora, il Ministero dell’Interno controllava i notiziari; la Presidenza del Consiglio si occupava di propaganda, mentre il Ministero degli Affari Esteri si occupava del commercio con l’estero dei prodotti cinematografici. Tuttavia anche questo progetto – che avrebbe dovuto porre le basi per una riorganizzazione razionale del cinema francese – non si rivela abbastanza maturo per diventare effettivo. Sotto il governo di Daladier (1937-1939), viene invece adottato un atteggiamento più interventista sulla questione che affligge il cinema. La Francia è vicina al conflitto mondiale e l’amministrazione dimostra una chiara volontà politica di utilizzare il cinema per diffondere l’immagine del prestigio nazionale. Sono attribuibili proprio a questo periodo, le pellicole di fiction in cui si esaltano il valore militare da un lato e le virtù della nazione dall’altro, come elementi sì diversi ma al contempo complementari. Allo stesso modo, ci sono segni evidenti di un interessamento del governo nella        

settembre del 1936 si trasforma in Confédération Générale du Cinéma. Le ambizioni del nuovo organismo causano però il fallimento del progetto: l’idea che lo anima è quella di convertirsi nell’organo esecutivo di tutti i provvedimenti concernenti il cinema in Francia. Tra la fine del 1936 e l’inizio del 1937 si forma inoltre una Commissione interparlamentare presieduta dal deputato Jean- Michel Rénaitour, il «Groupe de Défense du Cinéma», nota anche come «Commissione Rénaitour», che nasce col fine di riunire le opinioni dei diversi settori del cinema francese per redigere un documento (che sarà intitolato proprio Où va le cinéma français?) in cui si rendano esplicite le rivendicazioni dell’industria cinematografica nazionale. Anche in questo caso, il progetto non andrà a buon fine. Cfr. J. M. Rénaitour, op. cit. pp. 77-86

propaganda cinematografica: la circolare di Édmond See, direttore del Servizio di Controllo dei Films, redatta nell’ottobre del 1937, stabilisce l’applicazione preventiva della censura nelle pellicole che trattino di questioni diplomatiche o relative all’esercito.

In Francia l’applicazione della censura cinematografica risale al 1909, quando all’interno di un cinegiornale si proiettano le immagini dell’esecuzione capitale di un uomo a Béthune, nel nord del paese, turbando profondamente le emozioni degli spettatori in sala. È in questa circostanza, che per la prima volta, i poteri statali intervengono in materia di controllo sugli spettacoli cinematografici, con il fine di vietare la proiezione di immagini considerate “pericolose” per l’ordine pubblico.68 Allo stesso modo, durante gli anni della Grande guerra tanto la fiction quanto le pellicole di attualità, sono oggetto di severi controlli da parte delle amministrazioni in rispetto alle norme che regolano la censura, stabilite dal decreto del 16 giugno 1916. Dopo la fine del conflitto, in seguito al cosiddetto «decreto Poincaré» del novembre del 1919, i principi che sanciscono l’applicazione della censura si modificano sostanzialmente, escludendo i notiziari cinematografici – come si legge nell’articolo 1 – dai controlli preventivi.

«…qualunque pellicola cinematografica, ad eccezione di quelle che riproducono fatti di attualità, non può essere esibita in pubblico senza essere stata autorizzata dal Ministero dell’Educazione Pubblica e delle Belle Arti…».69

 

Secondo quanto si evince dallo studio condotto da Paul Léglise, nel periodo tra le due guerre mondiali, le norme che regolano i meccanismi della censura non subiscono sostanziali modifiche. Anzi, a sostegno del «decreto Poincaré», nel marzo del 1928 una nuova ordinanza ribadisce che il materiale dei cinegiornali francesi non debba essere sottoposto a controlli prima di essere proiettato nelle sale cinematografiche, purché oltre un terzo del materiale utilizzato per comporre le

      

68

Si veda il lavoro di J. Bancal, La censure cinématographique, Paris, José Corti 1934

69

notizie non provenga dall’estero.70 Nonostante, in teoria, non esistano leggi che obblighino i notiziari alla censura, nei fatti l’informazione filmata non è libera dai controlli, a causa delle manovre poco lecite adottate da alcuni funzionari pronti ad evitare che certi temi appaiano sugli schermi cinematografici. Di notevole interesse appare la cosiddetta «censura dei sindaci»: i notiziari prodotti in quegli anni vengono sottoposti ad una censura illegale e senza alcuna base normativa da parte dei prefetti e dei sindaci. Una pratica, questa, nata per decisione del sindaco de La Rochelle e che, malgrado i divieti imposti dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione in seguito ai ricorsi presentati dai cittadini, continua ad essere applicata da prefetti e sindaci tanto al cinema quanto al teatro, in maniera del tutto illecita.71 A partire dalla prima metà degli anni Trenta, però, i notiziari diventano oggetto di controlli sempre più severi da parte delle diverse istanze dall’amministrazione francese.

Contraddicendo lo spirito del «decreto Poincaré», la libertà di cui gode l’informazione filmica in Francia non è affatto reale, essendo sottoposta come tutta la produzione cinematografica ad un controllo amministrativo arbitrario ma ugualmente restrittivo.72 Come diretta conseguenza di questo atteggiamento, i produttori dei notiziari impongono una forte auto-censura sulle notizie da trattare e arrivano a sopprimere tutti quegli argomenti che i funzionari avrebbero potuto considerare “illegali”.73 Un esempio al riguardo chiarifica le posizioni delle società cinematografiche nei confronti della censura: nel novembre del 1933 gli operai del Nord in sciopero marciano verso Parigi cantando l’Internazionale e rilasciando ai       

70

Si tratta della legge del 31 marzo 1928 che, in applicazione del decreto del 18 febbraio 1928, mirava ancora una volta alla protezione dell’industria cinematografica francese e al contenimento dei film provenienti dall’estero. Ibidem, pp. 252-255

71

La motivazione addotta dai sindaci e dai prefetti, per giustificare le loro pratiche illecite relative alla censura, era la seguente: “…da qualche mese ormai, tanto il cinema quanto il teatro trattano pubblicamente cose immorali…”. Cit. in P. Léglise, op. cit., p. 251. Ancor prima degli studi di Léglise, un’analisi esaustiva in merito alla “censura dei sindaci” è stata oggetto delle ricerche condotte da George Altaman proprio negli anni Trenta. Cfr. G. Altaman, Ça, c’est du cinéma!, Paris, Les Revues 1931, pp. 233-137

72

É opportuno ricordare che, in seguito alle manifestazioni fasciste del febbraio del 1934, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Parigi adottano misure diverse che culminano però nel divieto comune di proiettare le immagini dello scontro all’interno dei notiziari. Ciò che viene mostrato al riguardo sono grandi gruppi di gente che si muovono in maniera caotica e disordinata senza un motivo apparente. Come nota Gaston Thiery, un giornalista del Paris-Midi, nell’edizione del 23 febbraio del 1934, esponendo le ragioni di questo divieto dice: “il pubblico ignora che tutto ciò che vede nei notiziari di attualità racconta velatamente ciò che realmente accade. Se l’attualità filmata un giorno scomparirà è perché qualcuno vuole nascondere la verità”. Ibidem p.120

73

Questo sembra essere il punto di vista di diversi autori che hanno studiato il cinema di quegli anni e il rapporto di questo con lo Stato e le autorità locali. Si veda al riguardo, R. Jeanne e C. Ford, Le cinéma et la presse, 1895-1960, Paris, Armand Colin, 1961 pp. 200-210

microfoni forti dichiarazioni. Le società titolari di notiziari filmano l’evento, ma dalla Prefettura di Parigi ricevono l’ordine di tagliare determinate scene, previa la mancata proiezione del cinegiornale. Le società accettano e “l’incidente” non ha seguito. Tuttavia, si tratta di una sanzione ancora arbitraria; solo in seguito al «decreto Sarraut» del 27 maggio del 1936 viene istituzionalizzata la censura preventiva anche per la stampa filmata.74 In questo contesto, l’analisi della documentazione giuridica disponibile sul tema permette di esemplificare e di comprendere le contraddizioni e le incertezze tipiche nel periodo. Il decreto del 7 maggio 1936, detto “Regolamentazione del controllo cinematografico”, regola nel dettaglio tutte le questioni relative all’importazione e all’esportazione delle pellicole, fissa i termini legali per il controllo e la proiezione dei film, aggiungendosi di fatto alla lista dei testi che mirano a proteggere l’industria cinematografica nazionale.75 Tuttavia, è interessante osservare che il decreto del 7 maggio lascia i cinegiornali in regime di libertà.

SUL CONTROLLO CINEMATOGRAFICO E SULLE RAPPRESENTAZIONI PUBBLICHE:

 

Art. 1: I film cinematografici destinati alla pubblica rappresentazione sono sottomessi al

controllo del Ministero dell’Educazione Nazionale. Sotto la riserva delle disposizioni sancite dall’articolo 3, nessun film potrà essere presentato in pubblico se non ha ottenuto – anche per quanto riguarda il titolo e i sottotitoli – il visto del Ministero dell’Educazione Nazionale. Questo visto può essere accordato solamente dalla Commissione di controllo cinematografico istituita presso l’amministrazione delle Belle Arti. Per la deliberazione del visto, la Commissione prende in considerazione l’insieme degli interessi nazionali in gioco e soprattutto l’interesse della difesa dei buoni costumi e del rispetto delle tradizioni nazionali. Il rifiuto del visto può essere opposto ai film importati dall’estero, suscettibili di essere posti sotto controllo, nel caso in cui si stabilisce che il produttore abbia partecipato alla rappresentazione in pubblico, fuori dal territorio francese, di film contrari agli interessi nazionali francesi.

      

74

Albert Sarraut (1872-1962) è un politico francese appartenente al partito dei Radicali e negli anni precedenti la Prima guerra mondiale è stato ministro della Pubblica Istruzione e delle Belle Arti. Nel 1936 è ministro dell’Interno. Cfr. www.gouv.france.org

75

Due anni prima, con il decreto emanato il 10 agosto del 1934, si stabilivano le premesse per la protezione della cinematografia nazionale. In più, un articolo stabiliva che ciascun operatore cinematografico entrasse in possesso di una “carta di identità”, in cui fosse chiaramente espressa l’appartenenza allo stato francese e l’autorizzazione alla ripresa delle immagini. Sull’argomento, P. Léglise, op. cit. pp. 177-182

Art. 2: Le spese di esame e del visto di un film, comprese quelle per la verifica della

traduzione dei titoli e dei sottotitoli, che sono fissate dalle tariffe stabilite dalla legge, sono a carico degli interessati.

Un nodo fondamentale relativo all’applicazione della censura sui notiziari di attualità si riscontra nell’art. 3 del decreto dove, nonostante le espressioni assai vaghe utilizzate dai redattori, l’allusione a “certe categorie di film” è chiaramente riferita ai cinegiornali. Si legge nel testo:

 

Art. 3: Ad ogni rappresentazione, il riferimento al visto e al suo numero devono essere

proiettati sugli schermi, subito dopo il titolo del film. È vietato proiettare un film che abbia un titolo diverso rispetto a quello accordato dal visto. Per ordinanza del Presidente del Consiglio, del ministro dell’Interno e del ministro dell’Educazione Nazionale, certe categorie di film possono essere esonerate dal visto.

Art. 4: I film devono essere sottoposti alla Commissione di controllo cinematografico

almeno otto giorni prima della rappresentazione in pubblico.

Art. 5: È istituita presso l’Amministrazione delle Belle Arti, per l’esame preliminare dei film

soggetti al visto ministeriale, una Commissione detta «Commissione di controllo cinematografico», il cui presidente e i membri sono nominati dal ministro dell’Educazione Nazionale. Questa commissione comprende:

   

- due rappresentanti della Presidenza del Consiglio - tre rappresentanti del Ministero dell’Interno

- tre rappresentanti del Ministero dell’Educazione Nazionale

- un rappresentante di ogni dipartimento ministeriale: Affari Esteri, Giustizia, Guerra, Marina, Aviazione.

- Dieci membri scelti dal Ministero dell’Educazione Nazionale, al di fuori dei funzionari

amministrativi qui di seguito menzionati e delle imprese o gruppi corporativi importanti nell’industria cinematografica.

[…] Il direttore generale delle Belle Arti, il direttore generale della Sicurezza Nazionale e il capo dell’ufficio della Musica e degli Spettacoli alla Direzione generale delle Belle Arti, sono membri di diritto della Commissione. I rappresentanti di amministrazioni diverse possono, in caso di impedimento, farsi sostituire da altri funzionari dello stesso servizio.

Art. 6: Il Presidente stabilisce l’ordine del giorno di ogni seduta e designa i membri che

devono assistervi sia con voce consultativa, sia con voce deliberativa. Le decisioni della Commissione sono prese a maggioranza relativa. Gli autori, i produttori o i distributori che hanno sottomesso un film all’analisi della Commissione possono essere ammessi dal Presidente a presentare le proprie osservazioni verbalmente o per iscritto.

Art. 7: Tutti i film sonori in lingua straniera sottomessi all’esame della Commissione devono

essere presentati nella versione originale e integrale, deve essere indicato il luogo in cui il film è stato proiettato, il paese d’origine, con la traduzione esatta e completa dei titoli, dei sottotitoli e dei dialoghi.

Art. 8: I membri della Commissione di Controllo cinematografica, su presentazione di una

carta d’identità che viene loro rilasciata dall’amministrazione delle Belle Arti, hanno liberamente