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La teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento come tentativo di correttivo

LA DIMENSIONE SPAZIALE

SOMMARIO 1. Introduzione – 2 La bancarotta fraudolenta propria e il problema

2. La bancarotta fraudolenta propria e il problema del nesso di causalità 1 Lo stato dell’arte del delitto di bancarotta fraudolenta propria

2.5. La teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento come tentativo di correttivo

Un significativo tentativo di rivitalizzare la teoria della zona di rischio penale è rappresentato dalla teoria della c.d. imputazione oggettiva dell’evento358.

Di particolare interesse e attinenza è l’applicazione pratica di tale teoria alla disciplina della bancarotta fraudolenta359, figura, quest’ultima, le cui problematiche in tema di causalità e imputazione soggettiva possono essere risolte attraverso il ricorso alla citata teoria.

L’analisi prende avvio con la constatazione riguardante la situazione contraddittoria e problematica che caratterizza il sistema delineato dall’art. 216 l. fall. Seguendo la citata impostazione, il cagionamento del dissesto – o, per meglio dire, l’aumento del rischio del suo verificarsi – viene, infatti, a rappresentare, nella maggior parte dei casi, un addebito meramente eventuale.

A tal riguardo, gli autori della costruzione dogmatica in parola360 riconoscono come il fallimento non verrebbe punito di per sé, bensì le sanzioni scatterebbero, comunque, solo nel caso di un suo palesamento; la ragione di tale situazione viene rintracciata nella volontà del legislatore di permettere ampi spazi di manovra all’imprenditore nella gestione del patrimonio dell’impresa, purchè riesca a mantenerla in bonis. Nel caso in cui l’imprenditore riesca a soddisfare tale esigenza, si è sostenuto che l’ordinamento gli conceda la facoltà di affrontare qualunque rischio. A ben vedere, gli atti illeciti sui beni dell’impresa – ad eccezione di reati comuni (ad es. appropriazioni indebite) o reati connessi alla sua professione (ad es. falsi in bilancio o reati tributari) – resterebbero civili prima del fallimento, con la conseguenza di dover considerare penalmente leciti i rischi, se reputati ex ante; questi diventerebbero penalmente illeciti solo ex post, una volta dichiarato il fallimento.

Tuttavia, proprio tale sistema configurerebbe, per i teorici dell’imputazione oggettiva dell’evento, un’”insanabile contraddizione etica”: un fatto, invero, non può

un connotato qualificante, ma come potenzialità intrinseca e non come causalità sviluppata”; il nesso, quindi, è visto solo come eventuale e non imprescindibile.

358 DONINI, L’imputazione oggettiva dell’evento. Nesso di rischio e responsabilità per fatto proprio,

Giappichelli, 2006, p. 2 ss. In senso fortemente critico, per tutti, si segnala la posizione di MARINUCCI,

Non c’è dolo senza colpa: morte della imputazione oggettiva dell’evento e trasfigurazione nella colpevolezza?, in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1991, p. 26 e ss.

359 DONINI, L’imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 138 ss. 360 DONINI, L’imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 138.

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diventare illecito per il verificarsi di un evento sopravvenuto e non imputabile, come appunto l’insolvenza (e il conseguente fallimento)361.

Prima del fallimento, infatti, l’imprenditore è salvo da qualsiasi atto di distrazione, di dissipazione, di occultamento di beni, di pagamento preferenziale, ecc.; con la decozione dell’impresa, al contrario, quei comportamenti pregressi diventano punibili.

Ma la gravità della situazione, secondo l’impostazione in parola, risiederebbe nel fatto che quelle condotte sono punite ex post anche se al tempo della loro realizzazione risultavano del tutto prive di pericolosità rispetto all’integrità del patrimonio di impresa per l’ampia capienza di quest’ultimo rispetto ai debiti sociali.

Proprio al fine di superare tale descritta contraddizione, i fautori della teoria in parola hanno ritenuto opportuno coordinare il tema dell’evento-insolvenza con quello dell’imputazione oggettiva, selezionando i rischi penalmente rilevanti, all’interno di un campo tipicamente doloso come quello della bancarotta fraudolenta: l’attenzione, dunque, deve essere posta sul rapporto tra imputazione oggettiva dell’evento e dolo, segnatamente sul c.d. rapporto di rischio nei reati dolosi362.

Secondo tale logica, dovrebbero essere sanzionate solamente le violazioni strettamente collegate allo stato di insolvenza, sul quale hanno avuto un’incidenza economica e in rapporto alla cui sussistenza si profila il disvalore di azione.

In tal modo, la condotta illecita non sarebbe più quella che, casualmente, venisse a trovarsi di fronte ad una procedura concorsuale, bensì quella che approfondisse il rischio di un’insolvenza esistente o che ne fosse la causa. Si attuerebbe così un’imputazione oggettiva tra condotta prefallimentare e stato d’insolvenza, e quindi fra rischio illecito attivato e quello realizzatosi.

Solo di questo andare, infatti, il fallimento, seppur con il valore di condizione obiettiva di punibilità, non farebbe pagare all’imprenditore colpe dipendenti dal caso fortuito, rispettando compiutamente il principio della responsabilità per fatto proprio363.

361 DONINI,L’imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 139. 362 DONINI, L’imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 140. 363 DONINI, L’imputazione oggettiva dell’evento, cit., p. 142.

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Tuttavia, occorre notare come tale lettura dei reati di bancarotta fraudolenta alla luce della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento è stata oggetto di attenzione da parte di altra dottrina364.

In particolare, è stato rilevato come, seguendo l’impostazione della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, il nesso di rischio verrebbe ad indicare la congruità tra il rischio attivato dalla condotta tipica dolosa e lo stato di insolvenza, e allo stesso tempo darebbe corpo al pericolo concreto cui è esposto il bene protetto per effetto del comportamento illecito: in particolare, l’idoneità della condotta distrattiva a compromettere la garanzia patrimoniale dovrebbe valutarsi in relazione alla situazione di rischio di dissesto (zona di rischio) che, invero, qualificherebbe il pericolo, concretizzandolo.

Pertanto, si è sostenuto che non dovrebbe essere considerata punibile a titolo di bancarotta fraudolenta la condotta distrattiva che colpisse il patrimonio societario in modo tale da non impedire un successivo risanamento della situazione economica dell’impresa, attuato, ad esempio, attraverso una ricapitalizzazione: in un caso del genere, infatti, non sarebbe stato in grado di “attivare” quel rischio di insolvenza, che solo successivamente si sia prodotto in un contesto della vita dell’impresa caratterizzato dall’assenza di comportamenti “a rischio”.

Alla luce di tali riflessioni, viene ammesso che il giudice non debba andare a ricercare un vero e proprio nesso eziologico tra la condotta distrattiva e l’insolvenza, in quanto ciò significherebbe trasformare il reato di pericolo in reato di danno, la qual cosa è contraddetta dal dato positivo; ma, al contrario, che si debba stabilire un continuum temporale tra le situazioni di rischio: il rischio attivato dalla condotta tipica e la situazione d’insolvenza nel quale esso si concretizza365.

3. La bancarotta fraudolenta impropria e il problema dell’aggravamento del

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