Alan Turing, all’interno dell’articolo del 1950 “Computing machinery and intelligence” pubblicato sulla rivista Mind, si chiedeva se le macchine potessero
pensare171. È, con ogni evidenza, una domanda a cui non risulta semplice dare
171 TURING, Can machines thinks?
una risposta soprattutto senza aver dato, preliminarmente, una definizione al sostantivo “macchina” e al verbo “pensare”172.
Proprio per tale ragione, Turing ha progettato un esperimento concettuale (Gedankenexperiment)173, al fine di verificare se una macchina sia, o meno, in
grado di svolgere un’attività, quale quella di pensare, che è tipicamente afferente all’essere umano. Il test di Turing174 è una variazione del “gioco
dell’imitazione”.
La versione originale del gioco prevede la presenza di tre soggetti: un uomo A, una donna B e un esaminatore C. Quest’ultimo che, indifferentemente, può essere un uomo o una donna, si trova in una stanza separata dagli altri partecipanti. Qual è lo scopo che persegue l’esaminatore? Riconoscere, tra i due individui, chi sia l’uomo e chi sia la donna. Egli conosce i partecipanti con le etichette “X” ed “Y” e, soltanto al termine del gioco, darà la soluzione: “X è A e Y è B” o viceversa.
Lo scopo di A è quello di ingannare C e fare in modo che C dia una soluzione sbagliata. B, al contrario, ha il compito di aiutare l’esaminatore.
Per determinare la risposta, l’esaminatore si può basare solo su una serie di domande poste ad A e B. Allo scopo di non influenzare l’esaminatore con il tono di voce o la scrittura, le risposte possono essere battute a macchina o, in alternativa, si prevede la possibilità di mettere in comunicazione le due stanze
172 BRACCINI, Intelligenza artificiale: test di Turing e alcune questioni filosofiche, 3 ss. 173 SFORNA, Alan Turing, il confine tra uomo e macchina, in www.unipg.it
tramite una telescrivente. Altra alternativa, invece, prevede la presenza di un intermediario che ha il compito di ripetere domande e risposte175.
A questo punto Turing immagina di sostituire ad A una macchina e pone una domanda: “L’interrogante darà una risposta errata altrettanto spesso di quando
il gioco viene giocato tra un uomo e una donna?”. Quest’ultima domanda,
pertanto, sostituisce quella originale: “Possono pensare le macchine?”176.
Se la percentuale di volte in cui C indovina chi sia l’uomo e chi la donna è simile, prima e dopo la sostituzione di A con la macchina, allora la macchina stessa dovrebbe essere considerata intelligente, dal momento che, in questa situazione, sarebbe indistinguibile da un essere umano.
Per “macchina intelligente”, Turing ne intende una in grado di pensare, ossia capace di mettere in relazione delle idee e abile ad esprimerle. Per l’Autore, quindi, tutto si limita alla produzione di espressioni dotate di significato.
L’ultima versione del gioco dell’imitazione, proposta dallo stesso, ha il pregio di fornire una esauriente definizione operativa di intelligenza senza fare alcun riferimento ai termini “macchina” e “pensare”; così facendo, quindi, si evitano le difficoltà attinenti al significato di queste parole. L’utilità di questo esperimento non sta tanto nella risposta che può fornirci quanto “alla possibilità che esso offre di analizzare concetti come mente, pensiero e intelligenza”177.
175 Ibidem.
176 BRACCINI, op. cit. 177 Ibidem.
Il test di Turing si qualifica, quindi, come un gioco che consente di misurare se una macchina sia in grado o meno di pensare, di farlo autonomamente e in maniera simile alle persone fisiche178.
Nonostante siano passati molti decenni dalla sua formulazione, il principio e la riflessione che stanno alla base del test sono ancora oggi attuali, anzi lo sono più di prima, vista l’evoluzione della robotica e, più in generale, dell’intelligenza artificiale179, questioni che sono state affrontate all’interno del primo capitolo.
Per quale ragione si è ritenuto opportuno fare riferimento a questo famoso esperimento? Turing180 ipotizza che soltanto, probabilmente, a partire dal 2050
i robot saranno in grado di superarlo181. Ad oggi, quindi, le macchine dotate di
intelligenza artificiale non sono ancora idonee a svolgere un’attività, quale quella di pensare, che si qualifica come esclusivamente tipica dell’essere umano. Ricollegandoci, di conseguenza, a quanto sostenuto nel secondo capitolo e,
178 SFORNA, op. cit.
179 https://www.robotiko.it/test-di-turing-cose/
180 TURING, Computing machinery and intelligence, op. cit.
181 Si richiama il caso di Eugene Goostman – cleverbot in grado di sostenere conversazioni – messo a punto da Vladimir Veselov e Eugene Demchenko. Gootstman è riuscito a superare il test di Turing convincendo il 33% dei giudici che fosse un ragazzo di 13 anni. Robert Llewellyn, uno dei giudici che ha partecipato all’esperimento ha commentato tale fatto: “Il test di Turing è stato incredibile. Dieci sessioni di 5 minuti, 2 schermi, un essere umano, una macchina. Ha
indovinato quattro volte. Piccolo robot intelligente!”.
https://www.wired.it/attualita/tech/2014/06/09/computer-superato-test-turing/
In realtà, però, non mancano gli scettici: il fatto che Gootsman simuli un ragazzo di 13 anni, non madrelingua inglese, rende perfettamente ragionevole che non sappia molte cose. Robert T. Gonzalez e George Dvorsky sostengono che ciò sia tecnicamente giusto ribadendo, però, “che faccia meno impressione, quanto meno dal punto di vista cognitivo”. Secondo quanto ritengono, infatti, Gootsman non stava pensando realmente, ha soltanto simulato delle conversazioni umane. Il test di Turing, pertanto, non è stato superato.
GONZALEZ-DVORSKY, A Chatbot has ‘Passed’ the Turing test for the first time. Articolo pubblicato su www.io9.gizmondo.com il 6/08/2014.
Nonostante, dunque, il caso di Goostman, tra l’altro dubbio, nessuna macchina dotata di IA ad oggi, è mai stata in grado di superare il test di Turing. Ci sarà da aspettare per vedere se, effettivamente, le previsioni del famoso matematico che prevedono il superamento del suddetto test nel 2050 si realizzeranno.
specificamente, nel paragrafo dedicato allo statuto ontologico dei robot, si può affermare che, in riferimento alla disciplina attinente al diritto d’autore, sia opportuno individuare soggetti di diritto “ordinari” come titolari dei diritti patrimoniali, come responsabili in caso di plagio; in questo caso, però, come in quello attinente alla titolarità dei diritti morali, le problematiche che si pongono non sono affatto di facile soluzione. Non si ritiene, infatti, al momento, possibile poter qualificare una macchina intelligente come titolare dei diritti sopra individuati, ma neanche come possibile responsabile nel caso in cui l’opera da essa creata fosse considerata, successivamente, plagio di un trovato artistico già esistente.