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tino ialiii. 381 allontanavano adatto dalla vita austera clie a v

Nel documento BASSO IMPERO D A ss&ima a a. (pagine 36-43)

ca-tto fio allora condotta. La tavola deisuni mi-It-cessori era stata decentemente frugale,e servivano per condimento della medesima la cordialitàfraterna, e Pedificanti conferenze.

Nella sua legnavano I’abbondanza, il lusso, le parole licenzioseed una smoderata allegrezza.

I divertimenti, che ad essasuccedevano, era-no ancor più tumultuosi. I monaci, riscaldati dal vino, ed allontanati unavolta dalla profes-sione regolar»; e modesta, più non osservava-no quella ritenutezzae quella decenza, chela educazione insegna ai mondani di mantenere

fin nei loro piaceri.

Dopo

Pasqua, l*imperatore convocò un con-cilio in s. Sofia. Il nuovo patriarca vi presie-deva, insieme con Costantino,figlio di Leone,

il quale non volle assistervi in persona, per timore di anatemaltizzare collasua sottoscri-zione 1.»fede, che aveva giurata al suo innal-zamento all’impero, sebbene non temesse di sp ergiurare neisuoi editti; scrupolo strano, cui smentiva lasua condotta. Sifecela lettu-ra degli atti delconcilio tenuto sotto Costan-tino Copronimo, ed onorato col

nome

di set-timoconcilio generale. Niceforp, e tutti i ve-scovi ortodossi furono anatemitizzati.Vi furo-no strascinati a forza molti prelati Cattolici:

se ne laceraronogli abiti:furorib gettriU per

382

LEOKÈ

V. l’i B J(B S O, terra

, e calpestiti; edopo tutti gl*insultied

i furori d*una truppafanatica e sfrcuala, mal-conci, insanguinati, furono rinchiusi nelle car-ceri,dallequali furono trattialcunigiorni ap-prèsso, per vedere se tautiindegni trattamenti avessero infiacchito il loro coraggio.

Ma

essen-dostati trovati non

meno

costanti che prima, furono abbandonati alla severitàdell' imperato-re, il qualegli esiliò:

ma

pocosoddisfattodi una pena,secondo Itti

, troppo leggiera, man-dava a quando a quando carnefici, ed alcuni giudicinon

meno

crudeli, per far loro soffri-rà i più rigorosi tormenti.Nella terza sessione futerminato il concilio, colla soscrizione dei vescovi iconoclasti, e del figliodell’imperatore.

La persecuzione,munita diquel decreto, di-venne piùviolènta. Furonoabbattute,o bru-ciateleimmaginiintutte lechiese rotti ivasi sagri, sopra i quali si vedeva qualchefigura; tagliata la lingua a quelliche osavano

mormo-rare contro 1*empietà; e lacerati sottole sfer-ze gli uomini e le dono-», che non aderivano all*errore.La confiscazione dei beni succedeva sempre alsupplizio. L’esilioera una grazia

,

ma

si procuravadirenderlo incomodoe dolo-rosoal maggiorsegno, presciegliendoquei paesi barbari, incui il

nome

cristiano era inorrore.

Ma

niun ortodosso era trattato più rigorosa-mentedei vescovi e deimonaci. Gli uni

spi-LIBRO

LXYlll. 38‘5 ravano sottolesferzate, e gli altri cuciti nei sacellierano gettati in mare.

Non

si trovava asilo, che lisalvasse dalla crudeltà dell’ impe-ratore, il quale li perseguitava 6n negli antri de’monti edelle roccie.La stessa Costantino-poli era divenutaun luogoselvaggio.

Una

bar-bara inquisizione rendeva la capitale dell’ im-pero un covile di bislieferoci. Le ricompense promesse ai delatori avevano rotti tutti i

lega-mi

, non solo della società civile,

ma

della stessa natura. Gli schiavi accusavanoipadroni e si videro i figliuoli tradire quelli

, da cui

ricevuta arcano la vita. Avere un’immagine,

un libroche ne approvasse il culto, dai ri-cetto adesuli,servire ad unprigioniero, era-no delitti riputati degni della flagellazione e dell’esilio. La madre dell’imperatore si sfor-zava invano di moderare labarbariedelfiglio:

le rimostranzee preghiere di lei venivano ri-gettate con disprezzo; eglicredevadifarmolto perdonandole all’ imbecillità della vecchiaja.

Giovanni Leconomanteera il solo, che fosse ascoltato dal principe; il patriarca non ne era che il miuistio. Questo prelato ignorante si maravigliava deliostrepito prodotto dalla ca-duta delle immagini. Educato nelle massime del despotismo militare

, credeva che la reli-gione dovesse ubbidireaqualunque cennodella volontà delsovtaco.

Maudò

le sue lettere

si-584 L F. O N E V. l’A R

M

E N O.

noduli a papa Pasquali1, il quale ricusò di ri-ceverle,e deputò alcuni legati per sostenere lacausa delle immagini;

ma

la loro missione non servi che arenderli testimoni degliorroii eli’essi volevano impedire. Il papa non poten-do far cessare la tempesta insorta contro gl»

ortodossi, lu ridotto a procurar loro un asilo facendo fabbricare in

Roma

il monasterodis.

Prassede, perricevervi i Greci fuggitivi, oh»?

trovavano in quel ritiro la sussistenza ed il

riposo, eh’era loro negato nella patria. La-scio alla storia ecclesiastica il particolarizzare

i mali, che solforisino alla fine del regno di questo principe un gran

numero

di prelati, di monaci e di laici religiosi, I’invincibile co-raggiodei quali è impresso a caratteri inde-lebili nei registri del cielo , e negli annali dellaChiesa che devono esserne la copia.

Ma

non potrei senza ingratitudine passarsotto si-lenzio l’elogio, che merita Teofane, la cui opera, sebbenescritta rozzissimamente, e po-coesatta in ispecialitàriguardo agli affari

del-1’Occidente, mi è statanondirnancoutilissima.

Ne ho già parlato, trattando del concilio di Nicea, acui egli intervenne. Teofane,

quando

\ Leone montò il trono,era abatedelmonastero\

; di Sigriana in Bitinia. Il principe, persuaso\

\ che Vesempio d’un

uomo

di tal merito po-etesse produrre ungrand’effetto infavore del- \

L 1 BB O LXV11I. 385 l’eresia, fece tutti gli sforzi per indurlo u, condannare il culto delleimmagini;

ma

sicco-;

rneTeofane si eradimostratoinflessibileatul-j te le di lui sollecita/ioni,cosi fu caricato di-catene, c condotto in Costantinopoli, sebbene per malattiafosse confitto inletto daunanno.

Costantenei suoi rifiuti, fu posto in prigione, e sofferì per due anni i più crudeli tratta-menti. Indebolito finalmente da tantimali,ed avendo appena forza di respirare, fu traspor-tato.nell’isola di Samotracia, dove visse per soli ventitré giorni. Egli è onorato del titolo di confessore.La di lui opera, intitolata Cro-nografia, incomincia dal primo anno di

D

io-cleziano, e termina nel primo del regno di Leone1’Armeno.

I terremoti, i caldieccessivi, e le siccità se-guite dalla peste,dallafame, dai tnmnlti po-polari edalle sedizioni, tutti questi mali, che

si credettero annunziati dauna gran cometa,

fenomeno sempre terribile agli occhi del vol-go,si riguardaronodaipopoli

come

altrettanti flagelli per punire l’empietà dell’imperatore (an,817, 818, 819.).Leone meritavain fattL/

d*essere castigato dal cielo perla sua ostina-zione nel sostenere 1’eresia.

Ma

gli autori cat-tolici,chelochiamanol'Amatecilaperlaguerra che faceva agli ortodossi, confessano eziandio che senza quel funesto capriccio, sarebbestato

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LEONE

V. L’

ARMENO,

un principe degno di stima. li suo valore non era equivoco,avendoneeglidate luminose pio-' ve anche prima di pervenire all’impero.

Non

vi fu principe piùintento amantenere, o ri-stabilire ladisciplina. Lasuavigilanzasi esten-deva sopra tutte leparti dell’ordine pubblico.

Prima di lui, luttosivendeva nella corte:i fa-voriti facevautraffico ditutte le cariche;il de-naro creava i magistrati,i governatoriditutte le provinole,gli uffiziali civili e militari,i ge-nerali degli eserciti.Egliabolìquel vergognosa commercio.Disinteressatoed incorruttibile,non premiava cheil merito.Attivo ed istancabiie,

ignorava i piaceri,e privavase stesso del ri-poso per procacciarloaisuoi popoli.

Sempre

a cavallo, consumaval’invernonell’esercitare le sue truppe, e la state nello scorrere le pro-vincie, correggendogliabusi,punendo le ves-sazioni e le ingiustizie, ristabilendo le cittàe le fortezzeruinate dalla guerra, rialzando le frontiere dell’impero, forzate tante volte dai Bulgari,uellaTracia enellaMacedonia. Istrutto uellc leggi,enell’ordine giudiziario, losi vi-de sovente)presiedere ai tribunali,giudice

te-muto

duljdelitto,e principalmente dall’abuso del poterti.

Un

giorno, in cui uscivadal pa-lazzo, unpovero cittadinoglipresentòuna sup-plica

,nellaqualegliesponeva, chegliera stata aaprtu la moglie daun senatore, e eh’

essen-L l i: » o Ì.XTIIV. 3H7 dosato lamentato col prefetto delia città, non ne aveva potuto otteneregiustizia. Leone co-luandu, che glisieno condotti, al suo ritorno, l'offeso, Toffensore, ed il prefetto. Entrato nel palazzo, ascoltaperminuto laquerela;ed essendo stato 1*accusato convinto per la sua propria confessione,ei lorimisealbracciodella giustizia peressere punito secondo il rigore delle leggi.Volgendosiposciaalprefetto:

E

tu, gli disse,perchènonhai punita questa violen-za?Avendo ilmagistrato addottala scusadella condizione del reo:- «

Tu

stesso servirai di

« prova, ripigliò I’imperatore4 che non v' è

« dignità

, la qutde possa ricoprire il

de-« litio. Ti dichiaro decaduto dalla

prefettu-« ra, ed incapace di esercitarealcuna carica.

Ciò non ostante,siccome le stesse virtù nelle anime imperfettesi alterano, toccando i con-fini del vizio, così il suoduroe crudel carat-tere traspariva, malgrado i suoi atti di giu-stizia. Eccessivonei castighi, nonessferva ve-runa proporzionefra laqualità deldelitto, ed

ilrigore della pena.Percolpe leggierefaceva tagliarlemembra,che restavanoattaccatemolti giorni alle piazze della città: spettacolo orribi-le, chefaceva raccapricciarepiù per la giu-stizia, che per il delitto. Nondimeno si può dire, che nell’eccessodellacorruttela e del di-sordine, che alloraregnava,la stessa crudeltà

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