dal 5 novembre 1977 e dal 4 giugno 1979 scavo dei resti del rogo funebre.
III.5 La Tomba Ellenistica con pira in situ
Località: Verghina – antica Aegae.
Denominazione tumulo/sepoltura: Tumulo Σ (preistorico)/Tomba Ellenistica. Data di rinvenimento/scavo: estate 1959.
Descrizione della sepoltura: tomba del tipo a cista di forma quadrata di piccole
dimensioni (dim. est. 1,80 x 1,80 m; dim. int. 0,74 x 0,77 m), costruita in età ellenistica intaccando un precedente tumulo di epoca preistorica142. La sepoltura era stata costruita (pareti, pavimentazione, copertura) con grandi blocchi di calcare, alcuni dei quali rimossi dalla loro posizione originaria sul lato settentrionale della tomba, durante il saccheggio avvenuto in antico (tav. LXXV, fig.1). La superficie del filare superiore della struttura era dotata di un incasso per la sistemazione di una copertura in legno; le pareti recavano tracce di un’originaria intonacatura. Al centro della pavimentazione era stata creata una cavità circolare (dim. 0,36 x 0,11 m) per l’alloggiamento dell’urna cineraria, probabilmente una kalpis. Del corredo della tomba non si è salvato niente; tutti i rinvenimenti provengono, quindi, dai resti in situ della pira funebre corrispondente che ci rivelano anche il genere del defunto incinerato.
Datazione sepoltura: fine del IV sec. a.C.
ROGO FUNEBRE (resti di incinerazione)
Ubicazione: 5 m a N della tomba e ad una quota più alta di circa 1 m rispetto al
piano di impostazione della sepoltura.
Giacitura: primaria.
Descrizione: l’area del rogo funebre, di forma rettangolare (dim. 4,40 x 3,07 m),
era stata delimitata da un largo e piatto cordolo di terra rossa, induritosi dall’azione del fuoco. La sua parte meridionale era stata asportata durante la depredazione della tomba (tav. LXXV-LXXVI, figg. 2-4). Tra le stratificazioni carboniose si rinvennero le offerte ancora in situ.
Presenza di strutture: assente; il terreno aveva subito comunque una sorta di
preparazione con la creazione del cordolo.
Oggetti provenienti dal rogo:
Materiale fittile:
- Una lucerna143 a v/n con un beccuccio; reca tracce di combustione (tav. LXXVII, fig. 5).
142 A
NDRONIKOS 1959a; ID. 1959b.
143
DAPPHA NIKONANOU 1969, 227-228. Sulla base dei lati diritti e del bordo piatto della lucerna oltre alla mancanza di una base e di un presa caratteristiche, la lucerna è stata collocata nel gruppo del Tipo 23D che Howland ha datato all’ultimo quarto del IV sec. a.C., prendendo come
- Un poppatoio144 a v/n; la vernice si era quasi completamente sfaldata a causa del fuoco ma sul bordo si conservavano le tracce di una decorazione con tralci di vite; datato alla fine del IV sec. a.C. (tav. LXXVII, fig. 6).
- Due skypoi acromi di diverse dimensioni, senza anse145 (tav. LXXVII, figg. 7-8). - Tre idrie a v/n lucida, di piccole dimensioni (alt. 20,7 cm); si conservano quasi integre anche se deformate dalla forza del fuoco.; avevano il collo impreziosito da una decorazione a fiori di loto; si datano al 330-320 a.C.146 (tav. LXXVIII, fig. 9). - Una pelike a f/r in frammenti, recante forti tracce di combustione (tav. LXXVIII, fig. 10). Sul lato principale del vaso rimaneva una vaga immagine della raffigurazione della lotta degli Arimaspi contro i grifoni; in effetti, la figura umana stante sul carro, rivolta all’indietro, è stata identificata con un Arimaspo147 (tav. LXXIX, fig. 11). Il lato secondario del vaso recava invece la raffigurazione - molto comune per l’epoca - di tre giovani avvolti nel loro himation. È Erodoto148 che ci racconta della mitica tribù dei monocoli Arimaspi che abitavano a Settentrione vicino agli Iperborei. Il tema dell’attacco dei grifoni contro gli Arimaspi e della contesa dell’oro presente nel fiume Arimaspio è assai raro fino al V sec. a.C.; diventa improvvisamente molto amato nel IV sec a.C. dalla ceramografia. La preferenza di questo tema deve essere collegata alla rinascita in questo periodo delle teorie pitagoriche in Magna Grecia prima, e in Grecia poi, e allo sviluppo nel IV sec. a.C. delle relazioni commerciali con le aree nord orientali, che crearono un nuovo interesse per quest’antica tradizione. Le mitiche lotte, raffigurate su vasi e sarcofagi rinvenuti nelle sepolture, allo stesso modo della sparizione e della ricomparsa dopo sette anni di Aristea del Proconneso che scrisse i “versi Arimaspei”, simboleggiavano la speranza degli uomini per la vita dopo la morte, vicino alla divinità. La pelike è di difficile attribuzione ad un pittore determinato, data la sua frammentarietà; sulla base della forma può essere datata alla fine dello stile a figure rosse, intorno al 320-310 a.C.
Materiale di metallo:
terminus post quem il 348 a.C., dal momento che ad Olinto non si sono ritrovati simili esemplari.
Cfr. HOWLAND R.H. 1958, The Athenian Agorà IV, Greek Lamps and their survivals, Princeton, 61,
tavv. 8 e 37, n. cat. 238. 144 DAPPHA NIKONANOU 1969, 228. 145 D APPHA NIKONANOU 1969, 229. 146 DAPPHA NIKONANOU 1969, 229-230. 147
Al centro della raffigurazione si sono salvate le teste e le zampe posteriori di due cavalli incedenti verso destra; a sinistra si distinguono le tracce di una figura umana rivolta verso sinistra. Del carro trainato da cavalli, sopra il quale stava la figura umana, si salvano solo due ruote. Sul lato sinistro della rappresentazione un grifone attacca l’auriga; un secondo grifone all’estremità destra attacca invece i cavalli. Tra il cavallo e il grifone di destra si intravede un oggetto emisferico che potrebbe essere lo scudo caduto del combattente; due anthemia decoravano l’area sottostante l’attacco delle anse. DAPPHA NIKONANOU 1969, 231-233.
148
- Uno strigile in bronzo149 (tav. LXXIX, fig. 12; tav. LXXX, fig. 15).
- Una forbice di bronzo150; probabile sorta di pinze (tav. LXXIX, fig. 13; tav. LXXX, fig. 15).
- Uno spillone di bronzo (manca la documentazione fotografica). - Uno stilo in osso frammentario (tav. LXXIX, fig. 14; tav. LXXX, fig. 15). - Carbone e cenere.
Genere del defunto incinerato: femminile; rimandano direttamente al mondo
muliebre le forbici, lo spillone, la pelike; lo stilo potrebbe riferirsi ad un’attività intellettuale della defunta durante la vita terrena. La presenza del poppatoio potrebbe far ritenere che la donna avesse appena partorito o fosse morta di parto.
Datazione incinerazione: fine del IV sec. a.C.
BIBLIOGRAFIA