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Le scelte traduttive di El cuento de las comadrejas Poiché l’elaborato si basa su un possibile esempio di traduzione della pellicola

4.1. La traduzione degli insult

Gli insulti presenti nel film rappresentano un valido esempio di linguaggio colloquiale; una ottima variante, da considerare come una buona fonte di studio per analizzare usi linguistici propri di una specifica comunità come quella argentina289. La traduzione degli

insulti in ambito audiovisivo rappresenta da sempre un duro ostacolo, che per essere superato richiederà ogni volta molteplici soluzioni; nella maggior parte dei casi dovremo tener conto della multisemioticità del prodotto audiovisivo, così come degli aspetti pragmatici della traduzione290.

I dialoghi presenti nel film contengono spesso molti insulti, perlopiù rivolti da Mara nei confronti di Norberto e Martín, il che testimonia ancora una volta il difficile rapporto tra i coinquilini. Insulti dunque quasi sempre rivolti a uno specifico interlocutore, da non confondere con semplici sfoghi di necessità neurologica per sfogare la propria rabbia o frustrazione, distinzione peraltro ben spiegata da Bruti (2013)291. Quando la donna

decide di insultare qualcuno, infatti, lo fa con l’intento di denigrare qualcuno, per poter esprimere totalmente disprezo e derisione292.

MARTÍN: ¡Síntesis, Marita, síntesis! ¡Para qué usar tres palabras, con una alcanza! MARA: ¡Ojalá se me ocurrieran cincuenta más! ¡Mediocre, fracasado, cursi, guionista!

¡Sorete de mierda!

Ricordiamo tuttavia pure pochi casi in cui Mara assume un linguaggio volgare semplicemente tramite delle imprecazioni293, che comportano esclamazioni istintive,

come nel seguente esempio. MARA: ¡Puta mierda, carajo!

289 Giménez Folqués D., pp. 2 290 Carlucci L., pp. 321

291 Bruti S., pag. 77 292 Ivi, pag. 80

Tutti questi esempi, oltre a essere stati oggetto di interrogazione in ambito traduttivo, pongono di fronte a un quesito: attenersi oppure non attenersi al loro effettivo significato nella lingua originale del film? La scelta è ricaduta sulla prima soluzione. Si prenda in considerazione la traduzione del termine “sorete”, dalla connotazione puramente dispregiativa, riconosciuto ufficialmente come termine tipico della variante argentina dal Diccionario de americanismos (nato dalla collaborazione delle varie accademie ispaniche, riunite sotto la ASALE, Asociación de Academias de la Lengua

Española294).

MARTÍN: ¡Síntesis, Marita, síntesis! ¡Para

qué usar tres palabras, con una alcanza!

MARA: ¡Ojalá se me ocurrieran cincuenta

más! ¡Mediocre, fracasado, cursi, guionista! ¡Sorete de mierda!

MARA: ¡Puta mierda, carajo!

MARTÍN: Più sintetica, Mara, più

sintetica! Basta una parola, non ne servono tre!

MARA: Se solo me ne venissero in mente

altre cinquanta in più! Sceneggiatore mediocre, fallito, ridicolo! Stronzo e pezzo di merda!

MARA: Cazzo, vai al diavolo!

Un esempio di insulti come questo si può definire, sulla base della categorizzazione di Ángeles Álvarez, come una di quelle forme di violenza verbale che implicano commenti degradanti, insulti o qualsiasi tipo di frase umiliante, aventi come scopo quello di minare l’autostima della vittima295.

Decidere di stravolgere significativamente suddetti insulti nella traduzione avrebbe portato a ridurne l’enfasi. È infatti necessario mantenere pure nella traduzione il contrasto tra i modi di fare eleganti di Mara, che ben si addicono del resto all’immagine di una ex diva del cinema, con i suoi momenti (potremmo dire a tratti comici) di ira, che la portano appunto a stravolgere del tutto il suo tipico registro linguistico.

Se è pur vero che il modo di parlare di Mara Ordaz è quello che cade maggiormente nella tentazione dell’offesa volontaria, capita comunque, guardando il film, di notare pure insulti da parte di altri personaggi.

Bárbara, ad esempio, pare abusarne particolarmente nelle scene finali, una volta resasi conto che ogni tentativo di convincere Mara a vendere la casa è stato reso vano dalla magistrale recitazione da parte dei tre uomini di casa. La sua reazione consiste nell’uso di una locuzione apparentemente neutra, ma carica di un intento minaccioso proprio in quanto tale296.

294 Giménex Folqués, pp. 9 295 Carlucci L., pp. 322 296 Bruti S., pag. 79

BÁRBARA: Se van a pudrir en la cárcel,

¡viejos chotos! BÁRBARA: Marcirete in carcere, fottuti vecchi!

Come osserviamo leggendo la traduzione, anziché considerare la frase eccessiva optando per una scelta eufemistica, è stato deciso di non alterare l’essenza del verbo “pudrir”, tradotto pertanto ricorrendo a una scelta praticamente sinonimica, il che permette di trasmettere all’ipotetico pubblico italiano della pellicola tutta la frustrazione provata dalla giovane impiegata.

Citiamo poi questo esempio, che vede per l’occasione Martín offendere Mara. Il modo di parlare dell’ex sceneggiatore si può considerare un eccellente esempio di “polite language”, quindi in questo caso abbiamo a che fare con una autentica eccezione, adottata dall’ex sceneggiatore per rendere nota la sua attitudine del momento.

MARTIN: Para inscribir a Gertrudis, me

inspiré en vos.

MARA: ¡Abrí! ¡Boludo! MARTÍN: Vete a cagar…

MARTÍN: Per scrivere “Gertrude”, mi sono

ispirato a te.

MARA: Apri! Imbecille! MARTÍN: Vai a cagare…

In queste battute appena riportate, che ci forniscono peraltro una ulteriore testimonianza del tipo di insulti adottati da Mara, notiamo quanto il modo di insultare di Martín sia del tutto giocoso, un uso per così dire secondario297, senza alcun fine

denigratorio; una formula quale “Vete a cagar”, in realtà, rientra tra le tipiche formule, per così dire, “scortesi”, dal momento in cui danneggiano l’immagine di chi ascolta, rendendo più distanti i nostri interlocutori298. Ricordiamo, peraltro, che la scelta insolita

per il modo di parlare di Martín di insultare Mara viene scatenata dal precedente insulto di quest’ultima; del resto, “una condizione per cui il parlante usi queste espressioni è quella che il suo interlocutore o la persona a cui la formula viene diretta abbia realizzato una azione precedente, che sia verbale o non verbale299”.

Aznréz Mauleón (2019) ci ricorda che nella varietà standard di spagnolo esistono almeno 19 varianti di questa espressione, caratterizzata dalla struttura Vete a + sintagma verbale o nominale, col verbo “ir” talvolta presente alla terza persona singolare in forma di cortesia (“Váyase”) o nelle corrispondenti forme al plurale (“Idos” o “Váyanse”), il che ci fa intuire che possano esistere delle differenze di significato300. Ad ogni modo,

ciascuna di queste versioni è accomunata dal manifestare la realizzazione di un atto locutivo di rifiuto da parte dell’interlocutore301. A proposito delle formule di rifiuto,

nell’articolo della autrice preso in considerazione viene fatto accenno a una

297 Bruti S., pag. 79 298 Aznaréz Mauleón M., pp. 426 299 Ivi, pp. 431 300 Ivi, pp. 421 301 Ivi, pp. 425

classificazione tra quattro diverse tipologie302, importante da citare per capire in modo

più accurato quale sia il tipo di formula usata da Martín. Le categorie individuate sono:

- quella comprendente formula che indicano il desiderio, da parte del parlante, che l’interlocutore si allontani da lui (Es.: Vete a paseo);

- quella comprendente formule con cui, in maniera più specifica, viene indicato il desiderio da parte del parlante che il suo interlocutore resti lontano da lui per parecchio tempo (Es.: Vete a fréir espárragos);

- quella comprendente formule con cui viene indicato il desiderio da parte del parlante che il suo interlocutore vada in un logo sgradevole (Es.: Vete a la mierda, peraltro impiegata nel corso del film da Mara),

- quella comprendente formule con cui viene indicato il desiderio da parte del parlante che al suo interlocutore succeda qualcosa di sgradevole (come Vete a

tomar por el culo, o anche, di conseguenza, l’espressione impiegata da Martín, Vete a cagar).

Come abbiamo capito, è l’ultima categoria a stuzzicare il nostro interesse. Questa include espressioni suddivisibili in due ulteriori sottogruppi303: quello di natura sessuale

(come ad esempio “tomar por el culo”) e quello di natura escatologica (come, per l’apppunto, Vete a cagar).

Al quesito relativo alle possibili differenze semantiche di queste diciannove espressioni, trova risposta lo studio condotto dalla autrice, attraverso l’applicazione della

Metalingua Semantica Naturale (Metalengua Semántica Natural, NSM la sigla in lingua

inglese), che consente di analizzare in maniera completa il valore semantico e pragmatico di una espressione. Da questo stesso studio, emerge dunque che non esiste una totale equivalenza semantica e pragmatica tra tutte queste formule, por potendo essere considerate varianti l’una dell’altra. Alla base della NSM vi è l’idea che tutte le lingue condividano una serie di concetti basici, per l’esattezza 65, definiti come primitivi semantici, che consentirebbero ai parlanti di comprendere tutti gli altri concetti

esprimibili, e per i quali sono stati identificati, anche in lingue tipologicamente molto diverse tra loro, degli esponenti lessicali. Il processo di spiegazione del significato

lessicale di una parola attraverso queste 65 parole prende il nome di spiegazione semantica e si realizza sotto forma di una parafrasi riduttiva304. Nel caso delle formule

con struttura Vete a + sintagma verbale o nominale, i primitivi di riferimento sarebbero PENSAR (riferito al parlante) e HACER (riferito al suo interlocutore), mentre il loro impiego sarebbe reso chiaro dai primitivi SENTIR, ALGO e MALO.

Quella impiegata da Martín nell’esempio appena citato rappresenterebbe un tipico caso di quelle che Aznaréz Mauleón definisce formule di routine (fórmulas rutinarias),

fortemente dipendenti dal contesto socioculturale in cui vengono impiegate, nonchè dalle attitudini e dalle emozioni degli interlocutori305. In base alla idiomaticitá di queste

formule, è inoltre possibile una distinzione tra formule idiomatiche, (nel caso in cui il

significato non sia ottenibile dalla scomposizione di una espressione nei suoi vari componenti), semiidiomatiche (qualora, invece, presenti una certa relazione tra il suo

significato complessivo e quello dei suoi componenti) e non idiomatiche (significato in

302 Ivi, pp. 434 303 Ivi, pp. 439

304 Bulat Silva Z., pp. 449

questo caso totalmente letterale), categoria a cui la formula impiegata da Martín appartiene.

In ogni caso, è importante decidere di risolvere l’indecisione tra il mantenimento dell’insulto stesso oppure la scelta per parole che non destino particolare clamore, ovvero parole che, in parole povere, non corrano il rischio di essere soggette alla censura nel mercato di arrivo. Questo rischio è stato rappresentato dal seguente esempio.

MARA: ¿Quién fue el ladrón? ¡Apagá eso!

¡Vamos, digan! El escritor acabado, el

paralí…el director de cuarta…a ver,

¿quién fue el ladrón?

MARA: Forza, fuori il rospo! Lo scrittore

dimenticato, il paralitico, il direttore di

scenette …vediamo, chi è il ladro?

I diversi approcci mostrati da ogni singolo personaggio nei confronti degli insulti, come abbiamo notato, ci fanno intuire quanto sia necessario basarsi sulle dinamiche situazionali e sul contesto306. D’altro canto, una persona educata come Martín non

avrebbe certo osato rivolgersi in tal modo a Mara nell’esempio precedente, se non fosse stato per la sua risposta.