Capitolo V – Trust e amministrazione di sostegno: istituti complementari per la tutela
5.2 Il trust interno e le principali questioni ad esso collegate
Parte della dottrina266 sostiene, e la prassi non può che confermarlo, che il tipo legale
rappresenterebbe la traduzione positiva di una fattispecie socialmente tipica.
Cinquanta sentenze della Corte di Cassazione negli ultimi quattro anni - sezioni civili, sezioni
penali, sezioni tributarie, sezioni unite - non permettono più di dubitare della legittimità della
266 A. ZACCARIA, in Commentario breve al codice civile a cura di in G. CIAN – A. TRABUCCHI, ed. VIII,
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figura del trust interno e al tempo stesso, sommate alle oltre 300 pronunce dei giudici
inferiori, mostrano la diffusione del trust in Italia267.
Il principale problema interpretativo sollevato all’indomani della legge di ratifica della Convenzione dell’Aja relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento (di seguito detta
anche “Convenzione”) ha riguardato la possibilità di ritenere ammissibile o meno nel nostro ordinamento giuridico il c.d. “trust interno”.
Oggi con tale locuzione, coniata nel 1992 da Maurizio Lupoi268, si intende definire quel
rapporto giuridico descritto nel paragrafo precedente i cui elementi caratterizzanti (tra cui
senza dubbio vi rientrano il luogo in cui i beni sono ubicati, il luogo dove lo scopo del trust
dovrà essere perseguito, la cittadinanza e la residenza del disponente e del beneficiario269)
siano localizzati all’interno del nostro paese ma che tuttavia risulti regolato da una legge straniera scelta arbitrariamente dal disponente270.
Per questa sua peculiarità di separare nettamente da un punto di vista logico-giuridico la scelta
di diritto sostanziale (lex causae) da quella di diritto processuale (lex fori), tale negozio viene
fatto rientrare nel novero dei contratti anomali271.
Ictu oculi sembrerebbe la stessa convenzione dell’Aja del 1985, e precisamente l’art. 6, ad
attribuire al disponente la facoltà di scegliere la legge che disciplini i trusts istituiti nei paesi
che abbiano recepito detto accordo internazionale.
Dopo un dibattito ultradecennale che a tratti ha assunto le sembianze di un vero e proprio
conflitto dai toni durissimi272, oggi la tesi dominante portata avanti dalla gran parte della
dottrina ritiene pienamente ammissibile l’operatività dell’istituto in esame nel nostro Paese.
267 M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario – Italia, reperibile sul sito www.Cortetrust.sm
268 M. LUPOI, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, in Vita notarile, 1992, p. 976.
269 G. CONTALDI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, cit. pp. 156 ss.
270 L. GATT, Il trust c.d. interno: una questione ancora aperta,in Rivista del notariato, 3, 2011, p. 280. 271 Ibidem p. 281
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Tuttavia, per una completa analisi del fenomeno si è scelto di riportare qui di seguito gli
argomenti addotti a sostegno delle due tesi contrapposte.
I sostenitori della tesi contraria all’ammissibilità del trust interno sottolineano come a fondamento del nostro sistema civilistico vi siano tra gli altri due principi inderogabili:
- la tipicità dei diritti reali ed il susseguente principio dell’unicità del diritto di proprietà,
espressi tra l’altro dall’art. 51 della legge 218 del 1995 con cui si è riformato il sistema italiano di diritto internazionale privato e
- la tipicità delle ipotesi di separazione patrimoniale, le quali per volontà del secondo
comma dell’art. 2740 Cod. Civ. devono essere stabilite dalla legge.
Entrambi i principi a dire di questi autori273 sarebbero inevitabilmente violati
dall’applicazione nel nostro ordinamento del trust: infatti, questo implica da un lato una peculiare forma di dualismo proprietario completamente sconosciuta nei paesi di civil law
(come si è pocanzi evidenziato) o comunque un peculiare diritto reale, dall’altro un fenomeno di segregazione patrimoniale non disciplinato dalla legge.
Per questi autori non sarebbe sufficiente a superare le obiezioni succitate neppure la ratifica
della Convenzione dell’Aja, poiché questa rappresenterebbe una fonte meramente
internazionalprivatistica274 e conseguentemente non ambirebbe ad introdurre una disciplina
sostanziale del trust nei singoli Stati aderenti, quanto piuttosto a risolvere gli eventuali
conflitti tra leggi di ordinamenti che non contemplino una disciplina del trust o lo
regolamentino in modi differenti.
272 Vedasi il contrasto di posizioni tra Lupoi favorevole alla figura negoziale in esame e Gazzoni strenuo
sostenitore della tesi radicalmente opposta.
273 G. CONTALDI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, cit. p. 155;
F. GAZZONI, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista “non vivente” su trust e trascrizioni), in
Rivista del notariato, 2001, pp. 11 ss.
274 In aggiunta ai predetti autori anche G. OBERTO, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in famiglia e diritto, 2004, pp. 206 ss.
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Coloro i quali ammettono invece il trust interno sostengono all’opposto che la Convenzione
avrebbe anche natura sostanziale, per cui la sua ratifica non potrebbe che comportare
l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto in esame a prescindere dall’esistenza di un conflitto di norme provenienti da ordinamenti differenti. Tale considerazione farebbe
inevitabilmente venir meno l’assunto per il quale l’Italia rientrerebbe tra i Paesi cc.dd. no- trust e questo in forza di una disciplina la quale, benché minima ed extra codicem,
regolamenta il fenomeno.
Come emerge anche dall’esame delle decisioni delle corti275, sostenere che il trust si ponga in contrasto con i principi del nostro sistema giuridico finirebbe per rendere del tutto vana la
legge di ratifica della Convenzione.
I sostenitori di quest’ultima tesi risultano però a loro volta divisi con riferimento alla natura della situazione proprietaria del trustee: non tutti infatti ritengono che in capo a quest’ultimo
soggetto possa configurarsi l’ordinario diritto di proprietà ex art. 832 Cod. Civ.276, sostenendo invece l’esistenza di una nuova forma di “proprietà-funzione”277 introdotta anch’essa con la legge di ratifica della Convenzione.
Per quanto riguarda il primo punto, in forza del quale il trust si porrebbe in contrasto con il
principio di unicità del diritto di proprietà e della tipicità dei diritti reali, si è detto che tali
principi risulterebbero ormai ridimensionati dal dato positivo per mezzo di recenti figure
giuridiche quali la multiproprietà278 o i fondi comuni di investimento279, caratterizzati
rispettivamente da un godimento turnario e temporaneo del bene e da un fenomeno di
dissociazione tra godimento e gestione. Tuttavia tale constatazione, trovandosi a dover fare i
275 Vedasi Tribunale di Brescia, 12 ottobre 2004, in Trust e attività fiduciarie 2005 p. 83. 276 M. LUPOI, Lettera ad un notaio conoscitore dei trust in Rivista del notariato, 2001, p. 1164.
277 A. GAMBARO, Un argomento a due gobbe in tema di trascrizione del trustee in base alla XV Convenzione dell’Aja, in Rivista di diritto civile, 2002, II, pp. 919 ss.
278 Disciplinati dal D.lgs. n. 427 del 1998. 279 Disciplinati dal D.lgs. n. 58 del 1998.
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conti con la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost., in assenza di un’espressa deroga di rango primario sembrerebbe destinata a soccombere.
Analoga contro argomentazione, alla luce della riserva di legge prevista altresì dall’art 2740, co. 2 Cod. Civ., si potrebbe eccepire a quanti ritengano l’erosione del principio della tipicità
delle ipotesi di separazione patrimoniale. Infatti se è vero che il legislatore extra-codicistico
abbia introdotto molteplici forme di patrimonio separato, non risulta ad oggi in discussione la
vigenza della norma contenuta all’interno dell’articolo 2740 comma secondo del codice
civile280.
Sempre in merito all’art. 2740 Cod. Civ., coloro che sono a favore dell’ammissibilità del trust interno affermano che esso non violerebbe la norma in questione, perché non realizzerebbe
alcuna limitazione della responsabilità281:
- Per quanto riguarda il disponente/settlor, il suo atto dispositivo potrà certo essere
impugnato mediante l’azione revocatoria;
- Per quanto riguarda il trustee, invece, i beni destinati in trust non andrebbero ad
incrementare nemmeno per un solo istante la garanzia patrimoniale generica, cosicché i
suoi creditori giammai potranno fare affidamento su tali cespiti.
Tuttavia anche in questo caso, come si è già detto, laddove non si ritenga esistente una norma
sostanziale disciplinante espressamente tale fattispecie, non appare superabile la riserva di
legge prevista dall’articolo in commento.
Fermo restando quanto fin qui asserito, il vero nodo da risolvere in merito all’ammissibilità del trust interno è rappresentato dall’interpretazione della disposizione contenuta nell’articolo
13 della Convenzione, laddove prevede: “Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi/importanti, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di
280 A. NERI, Il trust e la tutela del beneficiario, CEDAM, Padova, 2005, p. 108.
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amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla
legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. Durante i lavori preparatori di tale disposizione fu avanzata, tra le altre, la c.d. “variante b”,
poi accantonata, che prevedeva che nessuno Stato sarebbe stato tenuto a riconoscere un trust
in cui il disponente avesse scelto una legge regolatrice straniera o designato un trustee
straniero, nonostante tutti gli altri elementi caratterizzanti la fattispecie risultassero ubicati
all’interno di detto Stato282.
Ebbene tale formulazione, di certo più felice di quella attuale, avrebbe semplificato
notevolmente l’opera interpretativa in quanto per un trust privo degli elementi di internazionalità, ma disciplinato da una legge straniera, non vi sarebbe stato l’obbligo di
riconoscimento da parte degli Stati aderenti.
Tuttavia, in forza della mancata adozione di detta variante e ritenendo che l’applicazione della Convenzione non sia subordinata alla presenza di un conflitto di leggi, parrebbe ragionevole
concludere che anche nelle fattispecie prive di internazionalità il disponente possa di regola
decidere di scegliere una legge regolatrice straniera a proprio piacimento, purché preveda una
disciplina del trust.
Tornando sulla versione attuale dell’articolo 13 della Convenzione, questo ha inteso fissare un limite alla regola generale per cui la legge regolatrice del trust possa essere liberamente scelta
dal disponente (art. 6 Convenzione), vuoi nei casi in cui la fattispecie sia priva degli elementi
di internazionalità, ma anche nel caso in cui questi siano presenti.
Sicuramente da una lettura a contrario è certo che, qualora la fattispecie costituiva del trust sia
strettamente connessa ad un ordinamento che conosce e disciplina il trust o la categoria di
trust in questione, l’art. 13 Convenzione non potrà operare e di conseguenza nessun limite
282 P. PICCOLI, L’avanprogetto di Convenzione sul trust nei lavori della Conferenza di diritto internazionale privato de l’Aja ed i riflessi di interesse notarile, in Rivista del notariato, 1984, p. 857;
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potrà essere posto alla libertà del disponente di scegliere discrezionalmente la legge
regolatrice.
Per semplificare ulteriormente, sarà possibile, in uno Stato che regolamenta la fattispecie in
oggetto, un trust che, a prescindere dal fatto di essere privo o meno di elementi di
internazionalità, sia sottoposto alla legge di un altro Stato che disciplini a sua volta il trust.
Tale conclusione risulta tuttavia insufficiente ai fini della nostra indagine, in considerazione
del fatto che il trust interno prevede il collegamento di tutti gli elementi caratterizzanti il trust
ad uno Stato, l’Italia, che non prevede alcuna regolamentazione della fattispecie.
Il nostro è il caso prototipico di applicazione del limite al riconoscimento imposto
dall’articolo 13 Convenzione agli stati firmatari.
La tesi favorevole ai trust interni sembrerebbe sostenere che l’articolo 13 Convenzione
indichi non già un divieto di riconoscere tali negozi, ma piuttosto escluda l’esistenza di un obbligo del loro riconoscimento.
E conseguentemente l’Italia, essendo in sede di ratifica limitatasi a recepire il contenuto della Convenzione senza prevedere alcuna norma vietante il riconoscimento in questione,
sembrerebbe aver assentito implicitamente all’ammissibilità del trust interno283.
Tuttavia, come hanno osservato la miglior dottrina e giurisprudenza284, sono comunque
presenti ipotesi di non obbligatorietà del riconoscimento e cioè per quei trust che mirino ad
eludere le norme, si pensi al trust interno istituito a scopo di evasione o elusione fiscale.
E’ quindi stata la giurisprudenza285 stessa ad attribuire all’articolo 13 della Convenzione la funzione di norma di chiusura, al pari dell’art. 1344 Cod. Civ. rubricato “Contratto in frode
283 A. MOJA, Trust “interni” e società di capitali: un primo caso in Giurisprudenza commentata, 1998, II, pp.
770 ss.
284 M. LUPOI, Trust, Giuffrè, Milano, 2001, p. 545;
vedasi Tribunale di Firenze pronuncia del 2 luglio 2005, in Trust e attività fiduciarie, 2006, p. 89.
285 Tribunale di Bologna pronuncia del 16 giugno 2003 in Trust e attività fiduciarie, 2003 p. 580;
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alla legge”, mediante la quale il giudice si riserva il potere di escludere nel caso concreto la meritevolezza del trust interno sottoposto alla sua attenzione.
Dall’altro lato, i sostenitori della tesi contraria ritengono l’art. 13 Convenzione sia portatore di
un vero e proprio divieto di costituzione di siffatti trust, giungendo a negare la qualifica di
disciplina sostanziale alla Legge di ratifica della Convenzione286.
Tuttavia non convince neanche la tesi di quanti, aderendo a queste conclusioni, farebbero
discendere l’inammissibilità del negozio in esame dal fatto che il trasferimento al trustee risulterebbe privo di causa, poiché detto negozio troverebbe la propria causa nell’attuazione
del programma destinatorio contenuto nell’atto istitutivo del trust287.
5.3 Il delicato rapporto tra trust interno ed atti di destinazione ex art. 2645-ter Cod.