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Il trust come strumento di protezione del beneficiario di amministrazione di sostegno

Capitolo V – Trust e amministrazione di sostegno: istituti complementari per la tutela

5.4 Il trust come strumento di protezione del beneficiario di amministrazione di sostegno

Alla luce di quanto fin qui osservato sembra doveroso domandarsi se i trusts interni possano o

meno essere utilizzati alla stregua di un mezzo di protezione a favore di soggetti con difficoltà

psichiche e/o fisiche.

È del tutto evidente infatti come molto spesso gli strumenti tradizionali di protezione risultino

assai penalizzanti per il destinatario o addirittura impraticabili per la mancata integrazione di

tutti i presupposti necessari all’attivazione della misura315.

313 C.M. BIANCA, Conclusioni in AA.VV. La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile a cura di M. BIANCA, Milano, 2007, pp. 196 e 197.

314 S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, cit., pp. 317 ss. 315 M. LUPOI, Trust, cit., pp. 644.

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Addirittura non è mancato chi316 ha ritenuto che i trusts (segnatamente i family trusts)

rappresentino una valida alternativa anche rispetto all’amministrazione di sostegno in un’ottica di tutela patrimoniale e personale dei soggetti diversamente abili.

Il trust infatti consentirebbe di operare una pianificazione familiare in tutti quei casi in cui ad

esempio i genitori decidano di destinare un insieme di cespiti ed i loro frutti a vantaggio del

proprio figlio disabile, in previsione di una loro futura ed eventuale dipartita o propria

condizione fisica o psichica che non gli consenta più di occuparsi di lui.

Taluno317 ha anche sostenuto la possibilità per un soggetto compos sui, analogamente a

quanto previsto in tema di amministrazione di sostegno dall’art. 408, co. 1 Cod. Civ., di

istituire un trust condizionato al verificarsi di una futura ed eventuale incapacità propria del

disponente. In questi casi, al momento del venir meno dell’autonomia del settlor, la titolarità dei beni si trasferirebbe in capo al trustee il quale per altro continuerebbe ad essere vincolato

dalle indicazioni contenute all’interno dell’atto istitutivo.

Tuttavia anche alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza di merito non appare errato

sostenere che trust ed amministrazione di sostegno possano coesistere. Entrambe queste

figure aspirano infatti a tutelare gli interessi dei soggetti deboli senza per questo ridurre in

modo eccessivo la loro capacità di agire. Questa affinità emergerebbe anche da un dato

meramente testuale/linguistico: in entrambi i casi infatti i soggetti protetti dalle rispettive

discipline assumono il titolo e la posizione di “beneficiario”.

A conferma di quanto appena enunciato si ritiene opportuno qui di seguito fare riferimento ad

un provvedimento del Tribunale di Bologna sezione I civile del giorno 11 maggio 2009318.

316 A. PALAZZO, Autonomia privata e trust protettivi, in Trusts e attività fiduciarie, 2003, p. 192

317 M. R. SPALLAROSSA, Amministrazione di sostegno, interdizione, trust a confronto in Soggetti deboli e misure di protezione, a cura di G. FERRANDO e L. LENTI, cit., p. 338..

318 Vedasi Tribunale di Bologna, decreto dell’11 maggio 2009 in Rivista del notariato, 6, 2009 con commento di

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Nel caso di specie l’amministratore di sostegno aveva contestualmente richiesto ai giudici competenti di essere autorizzato ad istituire un unico trust ove far confluire i diritti insistenti

sui beni mobili ed immobili pervenuti al beneficiario in virtù delle successioni da un lato della

madre e dall’altro del padre oggetto di accettazione con beneficio d’inventario.

Non essendo questa la sede idonea per approfondire le peculiarità procedimentali proprie del

caso in esame, si rileva come la finalità di cui l’amministratore si faceva portatore era quella di prevenire la dispersione del patrimonio dell’assistito garantendone contestualmente l’integrità e la corretta amministrazione.

Tale soluzione, promossa dall’amministratore, ha inoltre trovato in sede di contraddittorio il

parere favorevole del beneficiario stesso.

La tipologia del negozio oggetto della richiesta dell’amministrazione è senza dubbio riconducibile alla categoria del trust interno infatti l’unico elemento caratteristico della

fattispecie estraneo e non connesso al territorio italiano è rappresentato dalla legge regolatrice

individuata nella legge di Jersey, Isole del Canale.

Fatte salve le considerazioni già precedentemente esposte sull’ammissibilità di questa

soluzione a cui espressamente si rimanda, dalla giurisprudenza quasi unanime emerge un

atteggiamento di favor nei confronti di quei trust (ancorché disciplinati da una legge straniera)

la cui specifica meritevolezza risieda nella tutela degli interessi propri di soggetti minori od

incapaci319.

Nel caso in esame, inoltre, si era antecedentemente tentato di pervenire ad una pronuncia di

interdizione con due distinti ricorsi che tuttavia vennero puntualmente rigettati.

319 Vedasi Tribunale di Pisa, Giudice Tutelare, decreto del 22 dicembre 2001 in Rivista del notariato, 2002, con

nota di M. LUPOI, p. 383;

vedasi Tribunale di Verona, Giudice Tutelare, Decreto dell’ 8 gennaio 2003 in Trusts e attività fiduciarie, 2003, p. 409;

con riferimento all’amministrazione di sostegno decreto del Tribunale di Genova, Giudice Tutelare, del 14 marzo 2006 in Trusts, 2006, p. 415.

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Infatti in entrambi i casi, al fine di proteggere in modo idoneo il soggetto in difficoltà senza

tuttavia intaccarne in modo sproporzionato la capacità di agire, il giudice aveva ritenuto

preferibile l’utilizzo dell’amministrazione di sostegno in conformità con il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione già esposto a suo tempo320.

In conclusione il Tribunale, accogliendo il ricorso ex art. 747 cod. proc. civ. presentato

dall’amministratore di sostegno, ha valutato in modo positivo l’istituzione del trust de quo affermando che in questo modo si realizzerebbe un’opportuna scissione dei compiti e dei

poteri fra trustee e amministratore di sostegno.

In questo modo, mentre da un lato il trustee potrà concentrare prevalentemente i suoi sforzi in

un’ottica di conservazione e gestione economica dei beni sfruttando le proprie competenze, dall’altro l’amministratore potrà convogliare le proprie risorse incentrandole sulla cura personae del beneficiario.

Avallando la complementarità dei due ruoli suddetti321, il giudice ritiene in questo modo di

aver valorizzato al massimo le aspirazioni e l’autonomia residua del beneficiario che già da tempo manifestava segnali di insofferenza verso la gestione patrimoniale dell’amministratore. A quadratura del cerchio il Tribunale ha ritenuto opportuno istituire un guardiano del trust il

quale, vigilando sull’operato del trustee, ne assicura la conformità alla finalità di tutela del beneficiario. Nel caso di specie il guardiano non costituirebbe solo una figura inerente il

negozio di destinazione, ma sarebbe altresì l’interlocutore privilegiato del giudice che in

questo modo potrebbe contare sull’apporto informativo di un soggetto ulteriore rispetto all’amministratore di sostegno. Chiaramente perseguendo questa irta strada il lavoro del giudice stesso rischierebbe di divenire assai complicato dovendo egli essere in ogni momento

320 Vedasi nota n. 126.

321 In questo senso anche M. LUPOI, Il giudice, il trust e la tutela del soggetto debole negli atti del convegno Il trust in favore dei soggetti deboli, tenutosi a Lecco il 26 marzo 2009 e reperibile in www.emendea.it

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pronto ad intervenire per risolvere gli eventuali conflitti che potrebbero sorgere tra due o più

dei soggetti coinvolti322.

322 Vedasi Tribunale di Bologna, decreto dell’11 maggio 2009 in Rivista del notariato, 6, 2009 con commento di

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CONCLUSIONI

Come si è cercato di mettere in evidenza, nonostante l’istituto disciplinato dagli artt. 404 e ss.

del codice civile abbia poco più di un decennio di vita, su di esso si registra già un coacervo

inestricabile di opinioni e pronunce giurisprudenziali tale da rendere assai ardua l’opera

dell’interprete.

Le ragioni di siffatto fenomeno devono essere ricondotte, da un lato, all’esponenziale

diffusione della nuova misura di protezione e, dall’altro, alle numerose incertezze e lacune

normative molto spesso non colmabili se non mediante ricorso ad un’interpretazione di tipo

creativo.

Entrando nel merito, ci si deve domandare in che misura l’amministrazione di sostegno abbia

comunque raggiunto la sua finalità primaria ovverosia quella di creare una forma di

protezione alternativa alle misure tradizionali, che tuttavia, non rappresenti necessariamente

per il beneficiario una strada a senso unico verso l’inferiorità giuridica e l’isolamento sociale. A fronte di numerosi nodi critici ad oggi ancora irrisolti di cui si è detto, il giudizio

complessivo sulla riforma, a parer di chi scrive, non potrà che essere positivo per le ragioni di

cui si darà conto in appresso.

Non può infatti sfuggire come l’introduzione della nuova misura abbia ravvivato, soprattutto a

livello locale, il senso di solidarietà sociale propugnato dall’articolo 2 della nostra carta

fondamentale. Questo dato sembra trovare conferma con riferimento alla proliferazione su

tutto il territorio nazionale di enti no-profit istituiti allo scopo di formare e prestare costante

assistenza ad amministratori e soggetti svantaggiati destinatari della riforma.

Purtroppo ancora oggi, tali formazioni sociali non risultano supportate da un progetto di

ampio respiro di matrice statale, per questo, molto spesso, sono costrette a reperire le risorse

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L’amministrazione di sostegno si presenta innanzitutto assai flessibile ed in grado di coprire

una vasta gamma di situazioni patologiche psichiche o meramente fisiche senza tuttavia

comportare un eccessivo aggravio dei costi e della complessità della procedura, la quale,

estremamente destrutturata, appare ad una prima analisi riconducibile alle forme della

volontaria giurisdizione.

Permarrà quindi in capo al Giudice Tutelare un assai ampio potere discrezionale di

provvedere in ogni tempo, anche d’ufficio, alla revoca o alla modifica dei poteri attribuiti

all’amministratore di sostegno.

Questo non significa che in concreto all’interno dei procedimenti finalizzati alla nomina

dell’amministratore di sostegno non si possano configurare momenti di forte conflittualità tra i soggetti coinvolti.

Tuttavia qualora si decidesse di riconoscere a tali ipotesi natura contenziosa ne deriverebbero

conseguenza tutt’altro che trascurabili.

Infatti non solo si dovrebbero rendere pienamente operativi i crismi del giusto processo

cristallizzati all’interno del nuovo art. 111 della Costituzione ma si renderebbe altresì necessario l’intervento di un difensore tecnico.

Si registra in giurisprudenza, proprio con riferimento all’obbligatorietà della presenza della

difesa tecnica una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione del 29 novembre 2006323

consolidata poi con interventi successivi.

Con tale sentenza la Corte ha evitato in modo alquanto astuto di prendere una posizione netta

sulla questione, affermando che la difesa tecnica diviene necessaria solo laddove il

provvedimento riguardi diritti fondamentali riconducibili alla esplicazione della personalità dell'individuo. Tale soluzione ha finito per ampliare ulteriormente i poteri attribuiti al giudice

323 Cfr. sentenza Corte di Cassazione Sezione I civile del 29 novembre 2006 n. 25366 consultabile sul sito www.altalex.com.

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con importanti conseguenze non solo sul piano processuale ma anche sull’onerosità della

procedura stessa.

A completamento del presente elaborato monografico si rendono necessarie alcune

considerazioni conclusive che tengano conto, seppur in sintesi, di quanto fin qui emerso.

Le tradizionali misure di protezione previste dal Codice Civile (interdizione ed inabilitazione)

mediante una capitis deminutio, ambiscono a garantire all’incapace una efficace tutela

patrimoniale. Questa soluzione tuttavia col tempo ha assunto i caratteri di una vera e propria

condanna all’emarginazione di questi soggetti le cui facoltà residue apparivano destinate ad

un ineluttabile destino di assopimento.

In epoca relativamente recente, all’insegna della valorizzazione del dettato costituzionale, la

persona umana ha conquistato nella gerarchia dei valori fondamentali una posizione apicale.

La Legge 6/2004, operando in questo senso, ambisce proprio ad anteporre la dignità dei

soggetti deboli rispetto a qualunque altro interesse di natura patrimoniale.

La varietà delle situazioni sussumibili all’interno della nuova fattispecie consente, tra l’altro,

di comprendere a pieno il significato profondo e la portata del principio d’uguaglianza in

senso sostanziale, che a ben vedere impone trattamenti differenziati sulla base delle peculiari

situazioni soggettive dei singoli.

Percorrendo questa strada si è giunti ad affermare che la capacità del beneficiario potrà essere

ridimensionata solo in relazione agli atti espressamente indicati dal giudice nel decreto di

nomina e che comunque tale limitazione mai potrà tangere i diritti fondamentali spettanti ad

ogni individuo in quanto tale, a prescindere dall’ampiezza della sua capacità di discernimento.

Allo stato attuale quindi nel nostro ordinamento giuridico l’amministrazione di sostegno

convive con le misure tradizionali e se da un lato siffatta scelta ha evitato una rottura drastica

con il passato dall’altro ha reso tutt’altro che preciso e netto il confine tra queste tre

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Quello del discrimen tra l’amministrazione di sostegno e le misure tradizionali ha

rappresentato e rappresenta tuttora uno di punti più discussi che, ne’ la Corte Costituzionale

con la sentenza n. 440 del 2005, ne’ la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 13584

del 2006, sembrano aver risolto in modo del tutto soddisfacente.

Muovendoci su un terreno contiguo ci si è dovuti poi domandare se ed eventualmente in che

misura il beneficiario di amministrazione di sostegno possa acquistare lo status di incapace.

Nonostante l’importanza delle conseguenze in tema di preclusioni e decadenze che derivino da tale risposta, in dottrina siamo oggi lontani da una soluzione condivisa e questo lo si può

osservare con maggior chiarezza per quel che concerne i cc.dd. atti personalissimi.

Per questa tipologia di atti riguardanti la sfera più intima dell’individuo, tradizionalmente si

escludeva in modo categorico l’operatività di ogni qual si voglia meccanismo rappresentativo. La rigorosità di tale soluzione tuttavia mal si conciliava con la finalità della riforma esplicitata

in modo lapidario all’interno del suo articolo 1.

Per scardinare questa vetusta costruzione dottrinale si sono resi necessari plurimi interventi

della Corte di Cassazione che facendo ricorso ad escamotages interpretativi, come nel caso

Englaro, ha cercato di ripristinare la coerenza del sistema codicistico.

Perfino con riferimento ai presupposti applicativi della nuova disciplina contenuti nell’art.

404 Cod. Civ. non vi è stata nel tempo unità di vedute. L’attenzione degli studiosi si è posata

in larga misura sulla possibilità di attivare l’amministrazione di sostegno per quei casi in cui il

soggetto abbia difficoltà di natura meramente fisiche, risultando pienamente in grado di

volere e comprendere la portata delle sue scelte e azioni.

Ebbene anche sotto questo profilo una risposta affermativa è giunta dalla giurisprudenza

dominante, la quale ha così assentito a che l’amministratore di sostegno possa detenere poteri

di rappresentanza concorrenti rispetto a quelli rimanenti in capo al beneficiario.

Di grande interesse pratico si è poi mostrata la questione inerente la gratuità dell’ufficio

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si limita ad un mero rinvio alla disciplina della tutela, il Giudice Tutelare ove all’interno della

cerchia familiare del beneficiario non vi sia un soggetto idoneo a ricoprire l’ufficio de quo,

procedere alla nomina di un giureconsulto che per la sua predisposizione al patrocinio, meglio

di altri saprà farsi promotore e custode degli interessi del soggetto in difficoltà.

Tuttavia molto spesso un medesimo avvocato, viene, col tempo, nominato amministratore di

una pluralità di soggetti e questo inevitabilmente, se da un lato finisce per sottrarre tempo e

risorse alla sua attività professionale, dall’altro non gli consente un’adeguata ed esaustiva

dedizione alla protezione del singolo.

In conclusione, dato l’insufficiente grado di completezza e determinatezza di alcune tra le

disposizioni introdotte con la riforma, i soggetti coinvolti appaiono lasciati in balia delle

altalenanti pronunce giurisdizionali che danno vita ad una diffusione territoriale dell’istituto

disomogenea.

Per tutte queste ragioni, constatando che il cambiamento giuridico e culturale è in atto, si

mostra opportuno un intervento legislativo che affronti analiticamente le criticità emerse nella

prassi e delle quali si è tentato di dar conto col presente lavoro.

Appare utile evidenziare, a completamento di quanto appena asserito, che già a partire dai

primi anni successivi all’entrata in vigore della nuova riforma si sono susseguiti numerosi progetti volti a novellare la materia in commento.

In virtù del gran numero di adesioni tra accademici, magistrati ed associazioni di volontariato,

il progetto promosso dal Professor Paolo Cendon e presentato al Parlamento nel 2007

costituisce in questo senso il più significativo tentativo di riforma del Codice Civile.

Suddetto elaborato, intitolato "Rafforzamento dell'amministrazione e abrogazione

dell'interdizione e dell'inabilitazione" aspira ad annichilire ogni incertezza interpretativa

creando la nuova categoria di "inadeguatezza gestionale". Tale categoria socio-giuridica, per

volontà dei promotori stessi, amplierebbe in modo assai significativo le realtà sussumibili

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basso", affinché tutto si giochi sul piano concreto lontano dalle standardizzazioni proprie delle

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